In questo terribile periodo dominato dal
coronavirus sono molte le parole di cui abbiamo scoperto, o riscoperto,
il vero significato. Sembra doveroso fissare questi pensieri in una
specie di piccolo vocabolario per non dimenticarli quando questo orrore
sarà passato.
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Ogni
giorno il bollettino che ci informa sul procedere della lotta contro il
Covid-19 presenta, tra le tante cifre da interpretare e da digerire,
anche quella delle persone sanzionate perché sorprese fuori casa senza
uno dei “validi motivi” previsti dai vari decreti: a prima vista è un
numero che comunque fa sbigottire per l’incoscienza, ma è davvero
piccolo – meno del 3 per cento – rispetto al numero dei controlli
eseguiti; ed è infinitesimo in assoluto, se si pensa che coloro che
escono sono una frazione limitatissima di tutti i cittadini italiani.
Questo vuol dire che un paese proverbialmente indisciplinato tutt’a
un tratto diventa osservante delle regole? E, domanda successiva: questo
accade perché è la paura – sia del coronavirus, sia della salata
sanzione amministrativa – a rendere gli italiani disciplinati? Non credo
sia questo il motivo. Anzi, immagino che per trovare la risposta sia
necessario guardare il problema da un’angolatura diversa.
Provate a pensarci: generalmente l’obbedienza cieca e assoluta non è
un indice di responsabilità; anzi. La si trova nei regimi assolutistici e
dipende dalla paura più che dall’adesione, dalla sottomissione più che
dal ragionamento. La stessa parola “regola”, del resto, deriva dal nome
di un’assicella di legno di misura fissa e, quindi, indica qualcosa di
decisamente rigido.
In democrazia, invece, spesso abbiamo visto distinguere il concetto
di legalità da quello di giustizia perché la legalità non sempre è etica
e, quindi, è sempre legale, ma non sempre legittima. Un esempio non
soltanto recente, ma purtroppo ancora in vigore, è costituito dai
cosiddetti “decreti sicurezza” di Salvini che vorrebbero imporre di
lasciar morire coloro che stanno annegando nel Mediterraneo pur di non
lasciarli entrare in Italia. E in tantissimi si ribellano a questa
criminale follia.
Quindi, se oggi i dettami del decreto scritto per combattere il
coronavirus sono seguiti in maniera così corale, questo significa che li
si ritiene anche eticamente ammissibili, in quanto si accetta di
limitare la propria libertà personale, ma con lo scopo di perseguire il
bene dell’intera comunità.
Il fatto è che soltanto in casi di grande gravità sembriamo essere
capaci di recuperare la perduta cognizione dell’etica del limite. Troppo
spesso non sappiamo fermarci quando è doveroso farlo e non siamo in
grado di capire quando è obbligatorio non farlo. Troppo spesso abbiamo
un unico obbiettivo in testa e, per raggiungerlo, siamo disposti a
travolgere qualsiasi cosa, o persona; o a lasciare che lo facciano gli
altri.
Viviamo in un mondo in cui dominano le aste a ribasso infinito, a
prescindere dal risultato qualitativo; in cui paghiamo sempre il meno
possibile, anche se sappiamo benissimo che la catena dei prezzi
influisce su se stessa, sia dal produttore al consumatore, sia in senso
opposto; e che è proprio per questo che, in basso, i poveri schiavi che
raccolgono pomodori, o frutta, al sud sono pagati a 50 centesimi a cassa
da 20 chili. Viviamo fregandocene dei danni che ognuno di noi porta
all’ambiente.
L’assenza dell’etica del limite appare con evidenza soprattutto nella
contrapposizione tra valori e prezzi, tra etica ed economia in cui
nessuno sembra più accorgersi che la cultura – chiamiamola così – del
creare guadagno è ben diversa dalla cultura del creare ricchezza; eppure
è solo la prima a invadere ogni campo. Se non coltiviamo più quella che
una volta veniva chiamata virtù, quando mai ci ricorderemo che ognuno
di noi è il primo argine contro la corruzione, pur minuscola, di noi
stessi? Se non abbiamo più dei valori da rispettare, quando mai sapremo
quando è obbligatorio fermarsi e quando bisogna andare avanti?
Cultura, in definitiva, vuol anche dire comprendere natura,
complessità, duplicità dei limiti. E in questo il passare dei secoli non
muta la sostanza: i limiti sono invalicabili quando, se li si supera,
si possono cagionare dei danni ad altri uomini; devono essere, invece
non soltanto superabili, ma addirittura da valicare al più presto se
sono soltanto di ostacolo al progresso dell’umanità. Lo ha espresso
benissimo Eschilo nelle sue due tragedie che hanno per protagonista
Prometeo, lo ha ribadito con forza Dante nella cui concezione della
giustizia di Dio i casi limite hanno un ruolo centrale visto che nella
“Divina commedia” egli crea un’elaborata e apparentemente rigida
geografia normativa, ma poi ne esplora con puntiglio le eccezioni. E le
regole sono velocemente assimilate dai lettori, per essere poi
altrettanto velocemente infrante: i pagani sono salvati, i dannati
compatiti, i giuramenti infranti, le condanne ridefinite. E anche lo
stesso viaggio di Dante è infrangere un limite terribile: lui ha il
privilegio di andarsene in giro per l’altro mondo, rimanendo, però,
immune alle sue leggi.
Evidentemente sia Eschilo, sia Dante hanno avuto ben presente che i
limiti e i confini non devono essere troppo rigidi altrimenti si rischia
l’indifferenza verso l’altro; altrimenti nessun adolescente, attratto
inevitabilmente dalla trasgressione – l’abbiamo provato tutti – saprebbe
rilevare quale sua violazione sia accettabile e quale no, attivando,
così, un autocontrollo necessario per crescere.
L’etica del limite, invece, dovrebbe impedire che si propalino
macroscopiche falsità, che si sobillino impunemente le persone, che si
operi per far restare la gente nell’ignoranza, che si attivino
trasmissioni televisive nell’orario di maggiore ascolto per urlare
slogan, insulti e strumentalizzazioni. Dovrebbe tendere a ridurre a zero
le ingiustizie e le disuguaglianze che inquinano democrazia, pace,
ambiente. Dovrebbe cancellare il disastro dell’ignoranza compiaciuta,
della “mercato-latria” e della “cultura dello scarto”, delle fake-news
create ad arte per imbrogliare gli altri.
Perché l’etica del limite è il presupposto necessario per creare
regole accettate. E per capire, in tempo di coronavirus, che la salvezza
generale – che poi è anche la propria – merita sicuramente qualche
sacrificio personale, se giustificato dalla ricerca del bene comune.
Le altre parole: Abbraccio, Ambiente, Anonimo, Anziano, Burocrazia, Confine, Democrazia, Denaro, Dignità, Dubbio, Empatia, Eroismo, Europeismo, Fede, Futuro, Infodemia, Lavoro, Lettura, Libertà, Memoria, Natura, Paesaggio, Quarantena, Scelta, Scienza, Sogno, Solidarietà, Tempo, Vulnerabilità.
Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/
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