martedì 21 aprile 2020

Le parole del virus: Regole

In questo terribile periodo dominato dal coronavirus sono molte le parole di cui abbiamo scoperto, o riscoperto, il vero significato. Sembra doveroso fissare questi pensieri in una specie di piccolo vocabolario per non dimenticarli quando questo orrore sarà passato.
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Ogni giorno il bollettino che ci informa sul procedere della lotta contro il Covid-19 presenta, tra le tante cifre da interpretare e da digerire, anche quella delle persone sanzionate perché sorprese fuori casa senza uno dei “validi motivi” previsti dai vari decreti: a prima vista è un numero che comunque fa sbigottire per l’incoscienza, ma è davvero piccolo – meno del 3 per cento – rispetto al numero dei controlli eseguiti; ed è infinitesimo in assoluto, se si pensa che coloro che escono sono una frazione limitatissima di tutti i cittadini italiani.

Questo vuol dire che un paese proverbialmente indisciplinato tutt’a un tratto diventa osservante delle regole? E, domanda successiva: questo accade perché è la paura – sia del coronavirus, sia della salata sanzione amministrativa – a rendere gli italiani disciplinati? Non credo sia questo il motivo. Anzi, immagino che per trovare la risposta sia necessario guardare il problema da un’angolatura diversa.

Provate a pensarci: generalmente l’obbedienza cieca e assoluta non è un indice di responsabilità; anzi. La si trova nei regimi assolutistici e dipende dalla paura più che dall’adesione, dalla sottomissione più che dal ragionamento. La stessa parola “regola”, del resto, deriva dal nome di un’assicella di legno di misura fissa e, quindi, indica qualcosa di decisamente rigido.

In democrazia, invece, spesso abbiamo visto distinguere il concetto di legalità da quello di giustizia perché la legalità non sempre è etica e, quindi, è sempre legale, ma non sempre legittima. Un esempio non soltanto recente, ma purtroppo ancora in vigore, è costituito dai cosiddetti “decreti sicurezza” di Salvini che vorrebbero imporre di lasciar morire coloro che stanno annegando nel Mediterraneo pur di non lasciarli entrare in Italia. E in tantissimi si ribellano a questa criminale follia.

Quindi, se oggi i dettami del decreto scritto per combattere il coronavirus sono seguiti in maniera così corale, questo significa che li si ritiene anche eticamente ammissibili, in quanto si accetta di limitare la propria libertà personale, ma con lo scopo di perseguire il bene dell’intera comunità.

Il fatto è che soltanto in casi di grande gravità sembriamo essere capaci di recuperare la perduta cognizione dell’etica del limite. Troppo spesso non sappiamo fermarci quando è doveroso farlo e non siamo in grado di capire quando è obbligatorio non farlo. Troppo spesso abbiamo un unico obbiettivo in testa e, per raggiungerlo, siamo disposti a travolgere qualsiasi cosa, o persona; o a lasciare che lo facciano gli altri.

Viviamo in un mondo in cui dominano le aste a ribasso infinito, a prescindere dal risultato qualitativo; in cui paghiamo sempre il meno possibile, anche se sappiamo benissimo che la catena dei prezzi influisce su se stessa, sia dal produttore al consumatore, sia in senso opposto; e che è proprio per questo che, in basso, i poveri schiavi che raccolgono pomodori, o frutta, al sud sono pagati a 50 centesimi a cassa da 20 chili. Viviamo fregandocene dei danni che ognuno di noi porta all’ambiente.

L’assenza dell’etica del limite appare con evidenza soprattutto nella contrapposizione tra valori e prezzi, tra etica ed economia in cui nessuno sembra più accorgersi che la cultura – chiamiamola così – del creare guadagno è ben diversa dalla cultura del creare ricchezza; eppure è solo la prima a invadere ogni campo. Se non coltiviamo più quella che una volta veniva chiamata virtù, quando mai ci ricorderemo che ognuno di noi è il primo argine contro la corruzione, pur minuscola, di noi stessi? Se non abbiamo più dei valori da rispettare, quando mai sapremo quando è obbligatorio fermarsi e quando bisogna andare avanti?

Cultura, in definitiva, vuol anche dire comprendere natura, complessità, duplicità dei limiti. E in questo il passare dei secoli non muta la sostanza: i limiti sono invalicabili quando, se li si supera, si possono cagionare dei danni ad altri uomini; devono essere, invece non soltanto superabili, ma addirittura da valicare al più presto se sono soltanto di ostacolo al progresso dell’umanità. Lo ha espresso benissimo Eschilo nelle sue due tragedie che hanno per protagonista Prometeo, lo ha ribadito con forza Dante nella cui concezione della giustizia di Dio i casi limite hanno un ruolo centrale visto che nella “Divina commedia” egli crea un’elaborata e apparentemente rigida geografia normativa, ma poi ne esplora con puntiglio le eccezioni. E le regole sono velocemente assimilate dai lettori, per essere poi altrettanto velocemente infrante: i pagani sono salvati, i dannati compatiti, i giuramenti infranti, le condanne ridefinite. E anche lo stesso viaggio di Dante è infrangere un limite terribile: lui ha il privilegio di andarsene in giro per l’altro mondo, rimanendo, però, immune alle sue leggi.

Evidentemente sia Eschilo, sia Dante hanno avuto ben presente che i limiti e i confini non devono essere troppo rigidi altrimenti si rischia l’indifferenza verso l’altro; altrimenti nessun adolescente, attratto inevitabilmente dalla trasgressione – l’abbiamo provato tutti – saprebbe rilevare quale sua violazione sia accettabile e quale no, attivando, così, un autocontrollo necessario per crescere.

L’etica del limite, invece, dovrebbe impedire che si propalino macroscopiche falsità, che si sobillino impunemente le persone, che si operi per far restare la gente nell’ignoranza, che si attivino trasmissioni televisive nell’orario di maggiore ascolto per urlare slogan, insulti e strumentalizzazioni. Dovrebbe tendere a ridurre a zero le ingiustizie e le disuguaglianze che inquinano democrazia, pace, ambiente. Dovrebbe cancellare il disastro dell’ignoranza compiaciuta, della “mercato-latria” e della “cultura dello scarto”, delle fake-news create ad arte per imbrogliare gli altri.

Perché l’etica del limite è il presupposto necessario per creare regole accettate. E per capire, in tempo di coronavirus, che la salvezza generale – che poi è anche la propria – merita sicuramente qualche sacrificio personale, se giustificato dalla ricerca del bene comune.

Le altre parole: Abbraccio, Ambiente, Anonimo, Anziano, Burocrazia, Confine, Democrazia, Denaro, Dignità, Dubbio, Empatia, Eroismo, Europeismo, Fede, Futuro, Infodemia, Lavoro, Lettura, Libertà, Memoria, Natura, Paesaggio, Quarantena, Scelta, Scienza, Sogno, Solidarietà, Tempo, Vulnerabilità.

Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/

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