martedì 30 novembre 2021

Rimpianto delle ideologie

Comune Alla fine il sindaco Fontanini, la sua giunta e la sua maggioranza hanno dovuto cancellare dall’articolo 9 dello Statuto comunale la frase da loro proposta «famiglia come società naturale fondata sul matrimonio» e sostituirla, come proposto dal consigliere Enrico Bertossi, con «famiglia come società naturale comunque costituita».

Potrebbe sembrare una vittoria per la quale esultare, ma non la vedo assolutamente così. A difendere le unioni non ufficializzate dal matrimonio e i figli che ne possono nascere sarebbero comunque bastate la Costituzione con il suo spirito ribadito da una giurisprudenza abbondante e univoca, e una serie di leggi dello Stato che avrebbero resa comunque carta straccia la piazzata fontaniniana. Resta in piedi, invece, l’arroganza di un personaggio che vuole imporre a tutti il proprio pensiero e non si rassegna al fatto che il progresso sociale ha fatto molti passi in avanti dai tempi, dai luoghi e dagli ambienti in cui si è formato e fermato lui.

Se, quindi, appare lodevole lo sforzo fatto da Bertossi per silenziare i rigurgiti della destra andando a ispirarsi alle parole usate da Aldo Moro, resto estremamente perplesso sulla sua motivazione: andare a cercare un «contributo per riunificare – ha detto – il Consiglio comunale». Anzi, alla luce, delle dichiarazioni ulteriormente divisive rilasciate in mattinata da Fontanini che poi, in consiglio, ha preferito starsene zitto, viene naturale chiedersi per quale motivo ci si dovrebbe riunificare con chi la pensa in maniera diametralmente opposta su argomenti di importanza primaria.

Tanto per dirne una, visto che Fontanini e i suoi dicono di essere tanto preoccupati per i bambini, perché vogliono difendere soltanto quelli nati all’interno di un matrimonio canonico e non gli altri? Perché, ammesso e non concesso che il matrimonio possa essere considerato l’unico vincolo di convivenza lecito, la colpa dell’eventuale illiceità dovrebbe essere scaricata proprio sugli elementi più deboli di queste unioni? Come si può trascurare la semplice constatazione del fatto che un diritto che non sia per tutti, in realtà è un privilegio per pochi.

In realtà, forse dovremmo ringraziare Fontanini perché ha fatto notare a molta più gente una cosa già evidente: che quelli che hanno berciato, a lungo e insistentemente, contro le ideologie lo hanno fatto non perché ritengono che senza ideologie il mondo possa diventare migliore, ma soltanto per scardinare le ideologie altrui al fine di lasciare più spazio alle proprie. E, quindi, la conseguenza appare naturale: le ideologie non soltanto non sono da demonizzare, ma, anzi, sono le uniche realtà capaci, con il loro serrato confronto democratico, di farci sperare in un futuro migliore.

Tornando alla “condivisione” di cui parla Bertossi, viene naturale chiedersi perché mai dovrebbe essere auspicabile? Anche perché, vista la natura maggioritaria delle elezioni comunali, le maggioranze hanno la tendenza a sentirsi non soltanto autosufficienti, ma anche infallibili, o almeno onnipotenti. E lasciando pur perdere le considerazioni per me molto negative su questo sistema, viene da chiedersi perché una minoranza dovrebbe accettare, mediazioni, non su leggi o regolamenti, ma su principi che, invece, determinano le differenze tra le parti politiche in causa. Perché, tra l’altro, è assurdo pensare che quando si vota per il comune si stia scegliendo soltanto in un’ottica amministrativa e non politica.

Forse tutto nasce da quella assurda vanteria che è andata tanto di moda per troppi anni e che ancora si sente ripetere: «Io non faccio politica». Assurda perché irrealistica in quanto qualunque azione ognuno di noi compia è inevitabilmente politica in quanto presuppone una scelta, o un disinteresse. E anche il disinteresse – anche se molti preferirebbero non sentirlo dire per non sentirsi responsabili – è un’azione politica, proprio come lo è il silenzio, visto che in entrambi i casi si dà inevitabilmente forza a chi sta apparendo di più.

È proprio in quest’ottica che appare doveroso ridare spazio alle ideologie che non sono certamente infallibili, né a destra, né a sinistra, né al centro, ma che portano con sé principi per i quali ci si sente obbligati a combattere idealmente, perché, se non lo si fa, ci si rende colpevoli del peccato di omissione che è il più grave di tutti in quanto, mentre pensieri, parole e opere possono sfuggire in un momento di sovreccitazione. L’omissione è sicuramente deliberata e spesso può portare a disastri immani per la piccina ricerca di ottenere qualche minuscolo vantaggio, o di evitare qualche sopportabile fastidio.

Pensate forse che questa assurda querelle su uno statuto comunale, senza possibili effetti, se non di tipo propagandistico, avrebbe potuto cominciare e durare così a lungo, se tutti quelli che sono contrari avessero fatto capire immediatamente la loro opposizione e se i partiti, ai quali va dato comunque il merito di aver sollecitato le coscienze dei cittadini udinesi, avessero coinvolto gli stessi cittadini nei tempi debiti, e cioè subito?

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giovedì 4 novembre 2021

L'aspetto delle armi

0 no vax Con tutto il rispetto inevitabilmente dovuto alla carica istituzionale, non posso non dichiararmi in totale disaccordo con il prefetto di Udine, Massimo Marchesiello, che ha respinto la richiesta del sindaco di Udine, Fontanini – con il quale per una volta sono perfettamente d’accordo – di far «evitare che cortei e manifestazioni pubbliche si svolgano in spazi ristretti come le vie del centro, o piazza Libertà». La motivazione del prefetto è che «Udine oggi può contare su una situazione epidemiologica molto diversa da quella di Trieste e le manifestazioni sin qui organizzate non hanno causato problemi legati all’ordine pubblico». Cioè, se interpreto bene la decisione, si potrà chiudere la stalla soltanto quando i buoi, come a Trieste, saranno tranquillamente scappati, lasciando dietro di sé focolai di infezione e, purtroppo, anche morti.

Qui non si tratta assolutamente di minare il dettato costituzionale proibendo di manifestare la propria opinione o il proprio dissenso, bensì di rispettarlo proibendo di portare in piazza armi atte e creare pericolo per tutta la comunità. Mi sto riferendo all’articolo 17 della nostra Carta che recita così: «I cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente e senz’armi. Per le riunioni, anche in luogo aperto al pubblico, non è richiesto preavviso. Delle riunioni in luogo pubblico deve essere dato preavviso alle autorità, che possono vietarle soltanto per comprovati motivi di sicurezza, o di incolumità pubblica».

Il problema che mi impedisce di plaudire al rigetto della richiesta del sindaco, al di là della sottile ma importante differenza tra “luogo aperto al pubblico” e “luogo pubblico”, probabilmente, consiste nell’interpretazione della parola “armi” che evidentemente, secondo il prefetto, può essere applicata soltanto a fucili, pistole, coltelli, o, a essere larghi, a bastoni e tirapugni. Secondo me, e anche secondo la maggior parte dei vocabolari, invece, l’interpretazione del concetto di “arma” è quella di qualsiasi cosa che possa essere atta a causare danni, anche gravi, alle persone. E il virus del Covid 19 ha certamente questa capacità, visto che finora ha tolto la vita a circa 140 mila italiani e ad alcuni milioni di persone nel mondo intero.

Vogliamo negare che una cosa invisibile possa essere considerata un’arma? Difficile perché basterebbe ricordare come nell’antichità molti assedi siano stati risolti scagliando con delle catapulte, o dei trabucchi, dentro le mura degli assediati dei cadaveri di persone uccise dalla peste, o anche soltanto i loro vestiti. E il bacillo della peste, pur decisamente più grande di ogni virus, resta comunque invisibile a occhio nudo.

Vogliamo pensare che a Udine, per un qualche miracolo non potrebbe succedere quello che è accaduto a Trieste con centinaia di nuovi infetti e con la concreta possibilità che la città possa tornare in zona gialla soltanto per causa di quell’esigua minoranza che rifiuta i vaccini e i green pass? Vogliamo pensare che davanti a un divieto a Trieste e a una totale libertà a Udine, ricordando anche che alla fine in piazza erano pochissimi i triestini e moltissimi quelli che arrivavano dal resto d’Italia, Friuli compreso, a nessuno verrà mai in testa di spostare la sede di una molto teorica capitale dei no-vax e no-pass?

Vogliamo pensare che non ci siano problemi legati all’ordine pubblico nel fatto che in queste manifestazioni – anche in quelle già viste a Udine – la gente giri senza mascherina e facendosi un baffo della distanza minima da osservare, pur non essendo queste non semplici raccomandazioni, ma parole esplicite contenute in svariati decreti?

Al di là del rischio di veder ammalarsi e morire altre persone per la follia di alcuni, a mio modo di pensare, c’è anche il rischio di veder ulteriormente aggravarsi le condizioni di salute della nostra democrazia; di mettere ad ancor più serio rischio la sua sopravvivenza, perché in questo periodo si sta rovesciando il concetto stesso dell’etimologia della parola “democrazia” in cui il “cratos”, il potere, è delegato al “demos”, al popolo, con il sistema della maggioranza.

Si potrebbe dire che proibendo le manifestazioni, o semplicemente spostandole in periferia, si favorirebbe la maggioranza del momento e si attenterebbe alla libertà di espressione di alcuni. Ma così non sarebbe perché l’eventuale blocco riguarderebbe qualsiasi tipo di manifestazione e in quanto il blocco non dovrebbe nemmeno avere ragione di esistere, se fossero usate le mascherine e rispettate le distanze.

Libertà di parola e di pensiero assolutamente sì, insomma. Libertà di uccidere inevitabilmente no.

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