martedì 29 dicembre 2015

Il diritto alla speranza

Poco meno di una ventina di giorni fa Debora Serracchiani, dal palco della Leopolda, ha affermato: «Chi a sinistra del Pd dice che lo spazio c'è solo fuori dal nostro partito si assumerà la responsabilità di lasciare spazio ai populismi». Credo che questa, mentre l’anno vecchio se ne sta andando, sia una frase perfetta per capire cosa si vorrebbe avere da quello nuovo. Anzi, per meglio dire, cosa si vorrebbe avere in restituzione da quello nuovo: quel diritto alla speranza che, praticamente con l’unica eccezione legata a Prodi, ci è stato sempre più sottratto dai governi che si sono succeduti da Craxi fino a Renzi. 

Debora Serracchiani in pratica vuole dirci che nel nostro futuro o ci sarà ancora il PD, o le alternative possono essere soltanto la destra antieuropea, xenofoba e razzista di Salvini con Berlusconi e Meloni come ruote di scorta, o la democrazia illiberale, autocratica e antieuropea di Grillo. È la cancellazione, insomma, di ogni speranza di miglioramento.

Per essere sincero, non escludo di poter votare, pur con molti sforzi, per il meno peggio e per il non populista in situazioni di ballottaggio, ma non è nemmeno detto che nelle macerie che ci circondano possa essere individuato un meno “peggio” e un non populista. Perché, se vogliamo dirla tutta, populista è anche chi fa finta di essere di sinistra e si proclama tale, ma fa cose di destra, salva le banche e affossa i risparmiatori, aiuta gli industriali e non i lavoratori, continua a cercare risorse nei soliti modi senza andare mai a colpire i grandi patrimoni, ma preferendo risparmiare sui malati e continuando a definire “sprechi da evitare” quelli che in realtà sono furti da punire.

Sono tutti punti sui quali tenterò di tornare nei prossimi giorni. Per oggi vorrei soltanto augurare a questo Paese che qualcosa possa cambiare e sia in grado di offrirci un ventaglio di scelte più ampio, che possa portare a un cambiamento, che possa ridare tridimensionalità a quei valori di sinistra di cui molti si riempiono la bocca, ma che si guardano bene dal mettere in pratica.

E contemporaneamente vorrei anche sottolineare che la speranza, se si vuole che possa tornare a essere un diritto, ancor prima deve essere un dovere. Se si pensa davvero, insomma, che qualcosa possa e debba cambiare in meglio, che si possa riprendere a sperare, allora è necessario impegnarsi su quello che ognuno sa fare meglio, ma anche sulle cose che si devono ancora imparare. Tutto questo, ovviamente, se si è davvero convinti che la propria dignità sia importante.

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mercoledì 16 dicembre 2015

Maggioranza e giustizia

La vicenda delle quattro banche salvate con i soldi dei truffati dalle banche stesse sarebbe già gravissima di per sé, ma i corollari finiscono per mettere in luce aspetti ancora più preoccupanti per il futuro di questo nostro Paese.
 
Già sarebbe sufficiente a lasciare esterrefatti la constatazione che un ministro, Maria Elena Boschi, creda di essere perfettamente a posto limitandosi a non essere presente al Consiglio dei ministri in cui si votano le iniziative di salvataggio per la Banca Etruria con la quale la sua famiglia è fortemente connessa. Lascia con la bocca aperta anche perché non si era mai finito di criticare Berlusconi che aveva avuto lo stesso comportamento quando si decidevano azioni che favorivano le imprese della sua famiglia.

Ma ancor più grave mi appare la frase pronunciata dalla medesima ministra davanti alla notizia che contro di lei sarà presentata una mozione di sfiducia. «Discuteremo – ha replicato – voteremo in aula e poi vedremo chi ha la maggioranza». E lo dice con la sfrontata tranquillità di chi sa di godere in partenza, a prescindere dallo scontato andamento del dibattito parlamentare, di un’ampia maggioranza. Ma una delle caratteristiche fondamentali della democrazia, rispetto ai regimi autocratici, consiste nel fatto che avere la maggioranza significa che si può decidere, ma non necessariamente che si è anche nel giusto. E, infatti, il voto può punire proprio il fatto di sbagliare nelle decisioni.

Nella fattispecie, è evidente che alla ministra Boschi, ma anche al suo presidente Renzi, importa ben poco di uscire da questa vicenda a testa alta dal punto di vista etico, mentre interessa molto di restare al suo posto.

Tutto questo appare ancora più grave se viene visto in prospettiva generale perché sottolinea per l’ennesima volta che per il Parlamento esiste soltanto la maggioranza, mentre non esiste la giustizia che nulla mai c’entra nella sentenza, di condanna, o di assoluzione che sia. Ed è evidente che un simile contesto è anche determinante nel contribuire a creare quella terribile situazione che è stata ottimamente descritta qualche settimana fa al Centro Balducci dal Procuratore della Repubblica de L’Aquila, Fausto Cardella, che ha detto: «Il problema più grave è che in Italia ormai sembra essere diventato indistinto il confine tra il bene e il male; tra l’onesto e il disonesto».

In questo quadro desolante spicca poi il fatto che in un Paese condotto da un governo che si autodefinisce di centrosinistra i cittadini siano sempre più sottomessi a quello che una volta veniva definito “capitale” e che oggi, nell’ansia di camuffamento del vocabolario, si preferisce chiamare “i mercati”.

Ed è evidente anche che a molti interessa dire – come dimostrano le parole dell’ossequiente e fidissimo Nardella – che non ha più senso parlare di destra e di sinistra. Perché una vera sinistra cose simili le combatterebbe con tutte le sue forze.


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lunedì 7 dicembre 2015

Italia, coraggio!

Dall’indistinto e velleitario brusio che contraddistingue la cosiddetta politica italiana in questi ultimi mesi, si staccano soltanto voci stridenti e insensate, come quella del ministro del Lavoro Poletti, che nella sua cupidigia di servilismo nei confronti di chi ha davvero il potere, sembra dimenticare che il cottimo nei lavori dipendenti è stato praticamente cancellato molti anni fa per la sua evidente iniquità.

Ora, però, merita mettere in rilievo una frase pronunciata da Luigi Zanda, presidente dei senatori PD, a una signora non più iscritta al partito, durante la manifestazione indetta da Renzi – “Italia, coraggio!” – a Campo de' Fiori, a Roma. Il senatore, da un po’ di tempo ferreamente renziano, ha detto alla signora, che affermava che non avrebbe più votato per il PD: «Non dia retta solo alla pancia, usi anche la sua testa».

Dobbiamo essergli grati perché poche frasi avrebbero potuto spiegare meglio lo spirito del PD renziano.

«Non dia retta solo alla pancia» è la prima parte della frase, quella più emblematica perché non parla né di cuore, né di cervello. Zanda non considera possibile che qualcuno possa essere in disaccordo con Renzi perché non approva razionalmente quello che sta facendo, o in quanto è ancora legato ai vecchi valori della sinistra di cui il renzismo sta facendo strame. Per lui soltanto la pancia può essere coinvolta con un irriflesso momento di antipatia non ragionato e non sofferto; non è neppure sfiorato dal dubbio che l’allontanamento di tantissimi iscritti e di ancor più simpatizzanti, possa essere dovuta al fatto che coloro che se ne vanno non si riconoscono più in questo PD. Il partito – ragiona Zanda – è al governo: come si fa a non esserne contenti a prescindere da cosa Renzi faccia a palazzo Chigi?

Ma anche la seconda parte della frase merita di essere ripresa con attenzione: «Usi anche la sua testa». A prescindere dal fatto che pronunciare questa frase nel PD di oggi è un evidente ossimoro, a cosa può servire la testa – si chiede implicitamente il senatore – se non per apprezzare il fatto che attualmente il PD è al potere.

Ed è qui che si spiega benissimo la diaspora che sta riducendo drasticamente sezioni e iscritti. La differenza tra chi resta e chi se ne va, eccezion fatta per alcuni, convinti che ci sia ancora spazio per cambiare il PD dall’interno, consiste nella scelta di cosa sia più importante: la vittoria elettorale, o la fedeltà ai propri valori? Il bene dell’economia, oppure il bene, non soltanto economico, dei cittadini; di tutti i cittadini?
 

Dicono che chi contesta Renzi continuerà a perdere. È possibile. Ma provate a guardare cosa accade quando la cosiddetta sinistra vince rinunciando a se stessa. In Francia, per fare l’esempio più vicino in termini di spazio e di tempo, il socialista Hollande – già in netta crisi prima dei fatti di Parigi e non perché fallimentare nel campo della sicurezza, bensì in quello delle politiche sociali – è sprofondato al terzo posto, mentre il primo partito è il Fronte nazionale di estrema destra. E a questo punto quel che rimane della sinistra si dividerà in due: una parte continuerà a sognare e a lottare, mentre l’altra cercherà nuovi trucchetti per vincere. Io non ho dubbi su quale delle due parti scegliere.

Sul titolo dato da Renzi alla sua manifestazione, però, siamo perfettamente d’accordo: “Italia, coraggio!”. Ce ne vuole davvero.

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