domenica 28 maggio 2023

Il monopolio della violenza

Assaporate, per favore, questa frase: «Lo Stato ha il monopolio della violenza, può e deve usarla». L’ha pronunciata Italo Bocchino (che sollievo non dover più accostare l’appellativo “onorevole” al suo nome), attuale direttore del Secolo d’Italia, una volta quotidiano del Movimento Sociale Italiano e oggi, solo on line, di Fratelli d’Italia. Pur avendo suscitato scarse reazioni sugli organi di stampa, è stata pronunciata nella trasmissione “Piazza pulita”, su La7, mentre si stava discutendo su un servizio che aveva presentato dei tremendi filmati di violenze fisiche e mentali ripresi nel CPR di Gradisca in cui in questi ultimi anni almeno quattro prigionieri si sono tolti la vita.

 

Vi ho chiesto di assaporarla perché il sapore che una frase simile ci lascia non può che essere simile a quello che lascia in bocca una vera e propria schifezza, per non dire di peggio. Ma ora vi chiedo anche di analizzarla prestando molta attenzione alle parole usate da Bocchino. Parole che, essendo Bocchino praticamente il portavoce ufficiale della Meloni e rappresentandola quasi in ogni talk show, non possono essere state usate a caso e neppure con disattenzione. 

 

Indubitabilmente ha scelto il vocabolo “violenza” e non “forza”, sia perché le immagini appena viste erano, appunto, violente, sia in quanto, mentre la forza può essere graduata nella sua applicazione, la violenza è sempre al massimo della scala e, quindi, automaticamente si sottrae a qualsiasi tipo di giudizio che non sia di totale accettazione, o di totale rifiuto.

E altrettanto sicuramente ha usato il vocabolo “monopolio” e non la locuzione “diritto all’uso”, in quanto, secondo lui, monopolio non significa soltanto che lo Stato è l’unico soggetto a poter usare questa potestà esclusiva, ma anche che può scegliere come e quando applicarla sentendosi comunque, in ogni caso, pienamente autorizzato a farlo. Non credo proprio che sia un caso che al G8 di Genova, alla caserma Diaz, polizia e carabinieri dovessero rispondere agli ordini di Gianfranco Fini, allora segretario di Alleanza Nazionale e punto di riferimento politico di Bocchino.

Per il resto su quello che accade a Gradisca, non ha detto praticamente nulla, sforzandosi di travisare il fatto concreto che la maggior parte dei migranti reclusi in quella fattispecie di carcere non ha mai commesso reati, ma è responsabile soltanto di irregolarità amministrative e ripetendo che la nascita dei CPR è ascrivibile a Napolitano e che nel loro terribile sviluppo hanno influito pesantemente sia Renzi, sia Minniti. Che il PD debba vergognarsi di questo e che già lo abbia pagato pesantemente in termini di elettori che hanno abbandonato quel partito, o addirittura la voglia di votare è indubitabile. Ma altrettanto indubitabile è il fatto che la destra di Meloni e Salvini, ben lungi dal tentare di migliorare la condizione dei migranti, tenta di rendere più difficile la loro vita e di impedire l’azione dei soccorritori, aumentando i CPR, imponendo limiti numerici agli aiuti da portare e imponendo trasbordi via mare prima di consentire gli sbarchi di quelli salvati dall’annegamento.

Aggiungete l’imposizione di Chiara Colosimo, amica di Luigi Ciavardini, o almeno a lui vicina, condannato per la strage di Bologna, a capo della Commissione antimafia; ascoltate il ministro Francesco Lollobrigida che sostiene che il presidente Mattarella non si riferiva a lui, che pur era stato l’unico in questi ultimi mesi a evocare le parole “razza” ed “etnia”, quando ha affermato che i diritti inalienabili dell’uomo vanno applicati a ogni singola persona e non a etnie o a gruppi di vario genere; pensate a quello che sta succedendo nella Rai. E allora ditemi se non vi viene da ridere, sia pure molto amaramente, quando sentite qualcuno dire che non c’è alcun pericolo che il fascismo ritorni.

Quel qualcuno ha ragione perché, in realtà, il fascismo non se ne è mai andato davvero. 

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venerdì 12 maggio 2023

Gli alberi e la foresta

È sicuramente vero che fa più rumore un albero che cade rispetto a una foresta che cresce, ma è altrettanto incontestabile che di quell’albero, alla lunga, non si ricorderà più nessuno, mentre la foresta, a meno di interventi umani vandalici, continuerà a vivere per lunghissimi periodi. E questo è esattamente quello che sembra stia succedendo nel PD dopo le primarie che hanno consegnato a Elly Schlein la segreteria del partito. Gli alberi che cadono sono i dirigenti che se ne sono andati perché non accettano la spinta verso sinistra promessa e impressa dalla Schlein. La crescita della foresta è costituita sia dalle migliaia di nuovi tesserati, sia dai sondaggi – per quello che possono valere – che hanno visto la nuova segretaria prendere il partito al 15 per cento di gennaio e portarlo fino al 21 per cento l’8 maggio, prima di una leggera flessione dello 0,3. Quindi il PD perde parlamentari, ma contemporaneamente cresce nei sondaggi.

A ben pensarci tutto questo è coerente con il fatto che proprio le primarie hanno sottolineato come ci siano pochi contatti tra i dirigenti del PD e i simpatizzanti del medesimo partito. La netta vittoria di Elly Schlein ai gazebo, infatti, ha ribaltato la netta vittoria di Stefano Bonaccini nei circoli degli iscritti, sottolineando che i votanti si aspettano dal PD cose molto diverse da quelle realizzate dai dirigenti negli ultimi anni, o, forse, decenni. Da questo è derivato quasi naturalmente il riavvicinamento alle tessere e l’aumento delle intenzioni di voto andando a recuperare consensi tra i 5stelle, quelli di sinistra e soprattutto tra coloro che ormai non andavano alle urne perché sulle schede non trovavano più un partito che potesse dare garanzie di volere solidarietà sociale, giustizia, determinazione in difesa della democrazia molto prima di dedicarsi alla cura delle alchimie elettorali interne ed esterne. Un’immagine emblematica di questa tendenza è quella dell’operaio che dona alla segretaria una tuta blu a sottolineare che finalmente la vecchia classe operaia, e in genere la sterminata categoria di poveri e nuovi poveri, spera di essere di nuovo rappresentata nelle proprie necessità e speranze anche a livello politico.

Le uscite, ovviamente fanno più rumore. Beppe Fioroni, ex Margherita ed ex ministro in un governo Prodi, è il primo ad andarsene per fondare nuovo soggetto politico cattolico denominato Piattaforma Popolare - Tempi nuovi. Lo segue il senatore Andrea Marcucci, capogruppo del PD al Senato, quando alla segreteria del partito c’è Renzi; a sorpresa non lo segue in Italia Viva, ma adesso mette riparo a un equivoco evidente. Sempre di origini democristiane è Enrico Borghi che definisce il Pd della Schlein «troppo estremista» e se ne va da Renzi, portando però con sé anche il seggio al Copasir che resta senza alcun rappresentante del PD. Più netto il salto di Caterina Chinnici, figlia del magistrato Rocco, ucciso dalla mafia, che va a militare in un partito (Forza Italia) che ha al suo interno illustri condannati per concorso esterno in associazione mafiosa.

Un capitolo a parte lo merita il quinto dimissionario: Carlo Cottarelli, liberale dichiarato, ma anche, sul piano della solidarietà sociale, del fisco, della giustizia, e delle regole democratiche, lontanissimo dall’attuale destra. Lui non cambia casacca, ma, in maniera eticamente ineccepibile, se ne va dal Parlamento e lascia il suo posto alla prima dei non eletti, Cristina Tajani che considera la Schlein coerente con il mandato ricevuto dalle primarie.

Ci sono poi quelli che, pur della parte sconfitta alle primarie, sono rimasti nel partito e il cui comportamento influirà in maniera determinante sul futuro del centrosinistra. Se gli insoddisfatti parteciperanno al cambiamento, il PD potrebbe finalmente mostrare una faccia riconoscibile e non camuffabile per ogni apparente necessità elettorale. Se, invece, se ne andranno, il mascheramento politico comunque non avrebbe seguito e la missione del partito cesserebbe di essere quella di cercare alleanze a tutti i costi, e diventerebbe quella che gli elettori delle primarie hanno chiesto con forza: lottare contro le disuguaglianze per inseguire il bene di tutti, difendendo sanità, istruzione pubblica ed equità fiscale, facendo, come già altre volte ho detto, opposizione in Parlamento, e resistenza, come espressione del dissenso, nella vita di ogni giorno. Impegnando, cioè, com’era una volta, sia i parlamentari, sia la gente comune, cioè noi stessi.

E, come primo impegno, ci sarebbe proprio quello di difendere la Costituzione che è evidentemente sotto assedio da parte di una destra che ne vuole cancellare quell’antifascismo che è la sua forza vitale necessaria e inalienabile. Qualcuno ha il dubbio che l’attacco alla Costituzione non ci sia? Gli esempi che lo attestano sono tanti, ma voglio farvene uno solo, tra l’altro tra quelli che hanno attirato minori attenzioni: alla notizia che la Corte dei Conti ha cominciato a esaminare molte procedure del PNRR, il ministro Fitto si è scandalizzato e ha affermato, nell’assordante silenzio della Meloni e dei suoi colleghi ministri, che l’intervento della suprema magistratura economica, che ha funzioni di controllo e vigilanza su entrate e spese pubbliche all'interno del bilancio dello Stato è «un’invasione di campo».

Capito? Non disturbate il manovratore, come se questo avesse tutti i diritti e nessun dovere nei confronti delle leggi per servire le quali, fino a quando sono in vigore, è stato eletto. Ma a questo punto si rischia che anche le leggi fastidiose possano essere cambiate, pur contraddicendo spirito e lettera costituzionali.  

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