giovedì 31 dicembre 2020

Virus e vaccini

Per definire la serietà politica e intellettuale dell’iniziativa basterebbe pensare che Renzi vorrebbe che la delega ai servizi segreti fosse data a Ettore Rosato, quello che è riuscito, sotto dettatura, a intitolarsi il peggior sistema elettorale della storia; per comprendere la gravità della situazione è sufficiente constatare che, mentre servirebbe accelerare il lavoro organizzativo e progettuale per poter ottenere i miliardi di euro già stanziati dall’Unione Europea, la quasi totalità dell’attività politica italiana è assorbita dal ricatto portato avanti da Renzi che, con il suo 2 per cento abbondante attualmente attribuitogli dai sondaggi, vuole comandare tutto e tutti imponendo i suoi desideri legati alla quantità e qualità di poltrone da ottenere adesso, quando alle viste ci sono momenti di tale apparente ricchezza da far dimenticare con facilità i debiti futuri.

Per carità, il governo Conte non sarà certamente ricordato come il migliore della storia italiana, ma sta di fatto che il capo di un partito che ha scelto di darsi il nome di “Italia viva” sta cinicamente operando per sfruttare al massimo le minacce di morte per quella stessa Italia che, senza i contributi europei, sprofonderebbe non soltanto economicamente. Al suo confronto Turigliatto (per chi non se lo ricordasse, quell’erede di Bertinotti che fece cadere il secondo governo Prodi) sembra avere la statura dello statista: lui, almeno, aveva un ideale che, pur nella sua miopia, non coincideva soltanto né con il potere, né con il denaro.

Potrebbe riuscire difficile comprendere come questo Paese possa prefigurare per sé un futuro accettabile se si considera quello che è accaduto in questi ultimi dieci mesi di un anno da dimenticare. Gente che ha messo, nella scala dei valori, il proprio diritto al divertimento davanti al diritto alla vita di decine di migliaia di altre persone; “politici” – chiamiamoli così per deprecabile abitudine – che, pur in presenza di un dramma di proporzioni planetarie, hanno continuato a comportarsi come se l’unica cosa importante fosse la prossima campagna elettorale, a prescindere da quando arriverà; operatori sanitari di ogni genere e grado che vorrebbero lavorare negli ospedali, ma senza vaccinarsi, senza neppure pensare a quanti loro colleghi hanno dovuto sacrificare la vita perché volevano fare il loro dovere pur senza avere la possibilità di difendersi efficacemente; e si potrebbe andare avanti a lungo senza trarre consolazione alcuna dal fatto che le medesimi cose stanno accadendo anche in altre parti del mondo. Saranno minoranze, ma riescono a inceppare un intero meccanismo.

E, a proposito di vaccini, mentre guardiamo ammirati una scienza che in meno di un anno è riuscita a trovare delle contromisure per poter opporsi a quel nemico invisibile, ma spietato, che si chiama Covid-19, non possiamo non chiederci come da millenni non riusciamo a trovare un vaccino che possa combattere la tentazione di mandare il cervello all’ammasso preferendo, alla fatica di ragionare com-patire e impegnarsi, la comodità di seguire un capo capace di far finta di avere soluzioni che servano a tutti e non soltanto a se stesso. Un vaccino che non soltanto renda difficile a gente come Trump, Putin, Bolsonaro e mille altri, veri e propri "virus", tra cui, in sedicesimo, i nostri Renzi, Salvini, Meloni di arrivare a posti di potere, ma, soprattutto che obblighi la gente a pensare prima di votare.

Auguri a tutti. Ne abbiamo davvero bisogno.

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martedì 15 dicembre 2020

Pensierini di Natale

«Come sapete ci aspetta un Natale molto magro perché stanno pensando addirittura di aggravare ulteriormente le proibizioni. Io penso che le persone siano un po’ stanche di questa situazione e vorrebbero, alla fine, venirne fuori. Anche se qualcuno morirà, pazienza». Non è una frase estrapolata da uno dei tanti social grondanti odio per qualsiasi persona diversa da chi lo scrive, né è stata necessariamente scritta (ma forse anche sì) da un integralista degli aperitivi, da un elemento di estrema destra, o da un resistente alla cosiddetta “dittatura sanitaria”. A pronunciare queste parole inqualificabili, un vero e proprio pensierino di Natale all’incontrario, è stato il presidente di Confindustria Macerata, Domenico Guzzini, mentre parlava del Covid e delle ricadute economiche della pandemia durante un evento ufficiale on line dedicato alla moda.

In questa frase c’è una disumanità talmente forte da non essere tollerabile, da rendere difficile non soltanto credere alle proprie orecchie, ma anche accettare che a pronunciarla sia stato un essere umano. Eppure dovremmo avere la capacità di non stupirci grazie al callo creato da una storia di nefandezze inimmaginabili, e non soltanto in un’antichità che spesso guardiamo con la spocchia di chi, da presunto evoluto, guarda quelli che considera un po’ selvaggi, ma anche in epoche praticamente contemporanee quando uomini come Hitler, Mussolini, Stalin, Pol Pot e, per venire a giorni ancora più vicini a noi, Osama Bin Laden, Sharon, Bush, e una sfilza di persone che sarebbe troppo lungo elencare, che hanno avuto il potere di far uccidere tanti altri uomini da non poterne tenere un conto esatto. Mentre altri forse non hanno ammazzato con le armi, ma hanno ucciso con la fame e con le umiliazioni.

Subito dopo sono arrivate le scuse dello stesso Gozzini: «Sinceramente chiedo scusa a tutti e in particolare alle famiglie toccate dal dramma del Covid, per la frase che ho pronunciato. Ho sbagliato nei contenuti e nei modi; ho fatto un’affermazione sbagliata, che non raffigura il mio pensiero, né tantomeno quello dell’Associazione che rappresento».

Il problema, però, non è quello delle scuse: ormai valgono sì e no un centesimo la tonnellata e nessuno si scompone più neppure se deve smentire se stesso, magari accampando una temporanea incapacità di intendere e di volere. Il problema è che nessuno potrebbe mai pronunciare una simile bestialità se prima non l’avesse già pensata; se non fosse convinto che qualcuno di quelli che l’hanno ascoltata alla fine, sottovoce, dirà all’oratore: «Hai fatto bene. Era ora che qualcuno lo dicesse».

Scandalizzarci è naturale ancor prima che obbligatorio: può rassicurarci del fatto che possediamo ancora qualche briciola di umanità, ma serve davvero a ben poco. Avremmo dovuto farlo ben prima; quantomeno quando si sono aperte le porte dei campi di sterminio e si è visto cosa c’era dentro; quantomeno quando, assieme ai nostalgici fascisti, sono apparsi i negazionisti; quantomeno quando si è assistito al fatto che sempre più flebili sono state le reazioni alla scandalosa pretesa di parificare i partigiani desiderosi di libertà e democrazia ai repubblichini schiavi di Hitler e dei suoi criminali aguzzini; quantomeno quando Salvini, dietro al motto “Prima gli italiani”, ha creato decreti che hanno fatto morire nel Mediterraneo migliaia di persone che nessuno è andato più a salvare; quantomeno quando abbiamo lasciato che un partito che si definisce di centrosinistra, dopo aver accettato di avere tra le proprie file un ministro come Minniti, ha lasciato che i decreti Salvini restassero in vigore a lungo per poi ammorbidirli, ma non ancora cancellarli del tutto. Dovremmo scandalizzarci in primis di noi stessi.

I Guzzini ci sono stati, ci sono e ci saranno sempre: innamorati più del benessere proprio che della vita altrui, indifferenti al fatto di poter favorire il diffondersi del contagio, interessati più alla possibilità di bere e mangiare in compagnia che ai bollettini di morte diffusi ogni pomeriggio, sensibili più alle esigenze del mercato che a quelle della vita, convinti che a morire saranno sempre gli altri. Ma il vero problema non sono loro: sarebbero trascurabili inezie se sbattessero contro quell’indignazione generale che è sempre stata la molla per ogni progresso sociale. Oggi quella molla appare allentata e se non si riuscirà a darle nuovamente tono, i veri colpevoli saremo noi.

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domenica 13 dicembre 2020

Le due competenze

Tutte le grandi crisi – e la pandemia causata dal Covid-19 non fa eccezione – portano con sé disastri, lutti e sofferenze, ma anche momenti di chiarificazione che solo apparentemente sono più o meno importanti, mentre in realtà sarebbero sempre utilissimi se diventassero, pur in un mondo terribilmente ed egoisticamente distratto, preziosi momenti di insegnamento per tutti.

Provate a pensare alla violenta polemica che rischia di mandare a casa un governo pur in piena crisi pandemica, regalando probabilmente il potere a figuri come Salvini e la Meloni e rischiando di perdere almeno una fetta dei miliardi di euro stanziati per l’Italia dall’Unione Europea. È una polemica che si sviluppa proprio sull’indirizzamento e sulla gestione di questa massa di miliardi davanti ai quali si sono inevitabilmente scatenati quei tantissimi appetiti che mai vanno in crisi, ma, anzi, si rallegrano davanti alle disgrazie altrui. Ricordate i due che, pensando ai futuri guadagni derivanti da appalti e mazzette, si telefonavano ridacchiando subito dopo la scossa che aveva raso al suolo L’Aquila e un bel po’ di Abruzzo?

Da una parte c’è Conte che vorrebbe una gestione piramidale, con lui stesso al vertice e, sotto, una nutritissima schiera di “tecnici”. Dall’altra Renzi che, non potendo pretendere di essere lui stesso al vertice, ha come prima preoccupazione quella di impedire di raggiungere quella posizione a chiunque altro e, per ottenere questo scopo, rivendica il primato della politica sulla tecnica nelle scelte. In mezzo, con infinite sfumature, tutti gli altri, generalmente con un occhio più attento al bene proprio che a quello generale.

Lasciamo perdere il fatto che ogni cosa detta da Renzi puzza lontano un miglio di interesse privato, ma questa volta c’è la netta sensazione che entrambe le posizioni abbiano in sé qualcosa di giusto e qualcosa di sbagliato. E tutto deriva, come spesso accade, dal fatto che uno stesso vocabolo può essere usato con intenzioni del tutto diverse, se non diametralmente opposte.

Questa volta a finire sul banco degli accusati è la parola “competenza” che ha, appunto, almeno due significati. Nella prima accezione, competenza significa «Piena capacità di orientarsi in un determinato campo»; nella seconda, invece, vuol dire «Legittimazione normativa di un’autorità, o di un organo, a svolgere determinate funzioni». E le due cose sono immediatamente percepibili come potenzialmente molto lontane. Un esempio chiaro è rappresentato da Danilo Toninelli che, quando era incredibilmente ministro delle infrastrutture e dei trasporti nel primo governo Conte, aveva indubbiamente la “competenza” per firmare qualsiasi carta ministeriale, ma non necessariamente quella per capire a fondo cosa vi era scritto e, tantomeno, quella, ben più importante, per dare un’impronta a una politica utile alla nazione nel settore di sua “competenza”.

La stessa cosa si potrebbe dire oggi anche di Luigi di Maio che ha la “competenza” del Ministero degli Affari esteri, ma sicuramente non quella necessaria a trattare davvero gli “affari esteri”: la stessa evanescenza davanti all’omicidio Regeni ne è una dimostrazione indiscutibile.

Sul perché politica e competenza non coincidano quasi mai si potrebbe discutere a lungo tirando in causa in primis il fatto che, visto che la quasi totalità dei partiti punta soprattutto a guadagnare voti per le elezioni successive, la competenza è inevitabilmente subordinata alla visibilità, la sostanza all’apparenza, la qualità alla rinomanza. Ma è anche indiscutibile il fatto che la competenza scientifica finirebbe per mettere irreversibilmente in crisi troppo spesso la politica, quando le scelte sono fatte pensando, appunto, alla visibilità e non alla concretezza.

Così non fosse non staremmo assistendo alle grandi discussioni su come passare Natale e capodanno e su come uscire dal proprio comune senza minimamente pensare alle decine di migliaia di morti causati da quella specie di “liberi tutti” estivo che ha favorito la diffusione del coronavirus e ci staremmo domandando, invece che gioirne, come mai la nostra regione, con tanti morti e tanti contagiati da essere citata come “maglia nera” in Italia dal New York Times, possa essere considerata “gialla”.

Dall’altra parte si può sicuramente argomentare che alcune scelte scientificamente inappuntabili, se totalmente avulse dalla situazione sociale del posto e del momento, finirebbero per creare scompensi più gravi dei benefici.

Resta il fatto che tentare non soltanto di mettere insieme le due “competenze”, ma addirittura di unirle, quando si è ai vertici è praticamente impossibile. Bisognerebbe lavorare per compenetrarle quando si è ancora giovani e aperti, anche perché non ancora irrigiditi dalle abitudini e dall’autostima.

Un’utopia? Assolutamente no. Una volta all’interno dei partiti educare politicamente e dare strumenti di giudizio per affrontare problematiche le più diverse possibili era la regola; e nessuno si vergognava di interpellare dei tecnici per acquisire anche la competenza scientifica da appaiare a quella istituzionale. Poi, più che sparire questa pratica, sono spariti i partiti, non tanto come nome, ma come sostanza costituzionale, come gruppi capaci di raccogliere persone che la pensano più o meno allo stesso modo ed entità in grado di percepire i problemi della gente e di trasportarli, come un’efficiente cinghia di trasmissione, nelle stanze dove si può decidere. Ora tutto questo non c’è più e fin quando non tornerà le due competenze non potranno mai compenetrarsi.

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