mercoledì 20 febbraio 2019

La patologia e l’epidemia

A Melegnano, in Lombardia, sul portone di una famiglia che ha adottato un ragazzo senegalese, i soliti coraggiosissimi ignoti hanno scritto «Ammazza al negar» (Ammazza il negro) che, tra l’altro, dimostra che va bene “Prima gli italiani”, ma che ancor prima dell’italiano va messo il dialetto. Il tutto è firmato con una svastica (tra l’altro disegnata con orientamento inverso da quello giusto). Sullo stesso portone una settimana fa con la stessa calligrafia era stata vergata un’altra frase elegante: «Pagate per questi negri di merda».
 
Sempre ieri, a Napoli, un nero, mentre rincasava dal lavoro, è stato insultato, strattonato e immobilizzato con lo spray al peperoncino solo per lo schifoso divertimento di un gruppo di giovanissimi. E in questi ultimi mesi si sta assistendo a un moltiplicarsi di episodi di razzismo, con sparatorie, violenze fisiche e verbali, intimidazioni di ogni genere, dichiarazioni pubbliche che fanno rabbrividire. Tra l’altro, di solito all’antisemitismo francese, attualmente in grande spolvero, fa eco quello nostrano che non vuol sentirsi inferiore. E, quindi, c’è da attendersi qualche altra schifezza.

Teoricamente un ministro degli Interni dovrebbe avere come compito primario non tanto quello di cambiare felpa a seconda del posto dove va, bensì quello di far mantenere l’ordine pubblico. Ma qualcuno ha mai sentito Salvini impegnarsi contro il razzismo (e finiamo di chiamarlo intolleranza, perché la tolleranza viene praticata dai superiori nei confronti degli inferiori; e qui siamo tutti uguali), o soltanto nominare la parola “razzismo”, se non per negare che esista?

Nessuna sorpresa. Il ministro della paura è perfettamente coerente nei confronti dei migranti in mare e in terra.

Sull’acqua tenta di impedire che si vada a salvare chi sta annegando perché – questo è il suo limpido ragionamento – così sapranno quali rischi corrono e non si metteranno in mare. Come se non sapessero già che la loro vita è stata messa a rischio, già prima che in mare, nel deserto, o tra le mani dei libici o di altri aguzzini di frontiera. Come se la loro scelta di andarsene fosse libera e non obbligata da disperazioni che possono derivare da guerre, torture, dispotismi, carestie e altre calamità del genere. Come se non fossero già morti a migliaia anche quando il soccorso in mare era considerato un dovere e non un delitto.

A terra la filosofia di Salvini deve essere più o meno la stessa: lasciamo che i più scalmanati li mettano in pericolo, magari sparando loro alla testa mentre stanno tentando di recuperare qualche lamiera abbandonata per fare da tetto a una capanna di legno e cartone, così capiranno che qui è pericoloso stare e così non verranno più in Italia.

L’elenco di fatti gravi è già troppo lungo, ma è ancora poco se si pensa a come le parole e i silenzi di Salvini abbiano sdoganato gli istinti più bassi di un popolo che amava definirsi “Italiani brava gente”. Anche se è una frase senza senso perché le responsabilità e i meriti sono sempre individuali e anche se già avevamo dimostrato che collettivamente non è proprio così.

Le parole e i silenzi di Salvini, ma anche i silenzi e le mezze parole di chi avrebbe dovuto, più che potuto, opporsi: i politici, ma anche tutti noi che abbiamo consentito che la patologia di alcuni diventasse epidemia per molti, che abbiamo permesso che la cultura di questa gente italiana, da sempre imbastardita – e quindi migliorata – da mescolanze indotte dalla storia cambiasse profondamente fino a non riconoscere più se stessa, fino a non capire che ormai il problema non sono i migranti, ma siamo noi.

So che queste sono parole scontate per coloro che la pensano come me e sono del tutto inutili per i seguaci convinti di Salvini, i volonterosi fiancheggiatori di chi è, per il momento al potere. Ma spero che qualche parola raggiunga coloro – i grillini, in primis – che permettono che il governo Salvini – chiamiamolo com’è giusto chiamarlo – stia in piedi; che siano sentite da coloro che stanno zitti davanti a vere bestemmie laiche che si sentono in strada, nei negozi, nei bar e in televisione; che facciano breccia in coloro che favoriscono questa situazione con il loro non voto perché «la politica è una cosa sporca». Vi assicuro che il razzismo lo è ancora di più.

Tocca a tutti questi, a tutti noi darsi da fare perché questa maledetta notte finisca il più presto possibile.


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sabato 2 febbraio 2019

I subdoli negazionismi

Questo commento è già apparso questa mattina sull'edizione in carta del Messaggero Veneto come risposta all'ennesima indecente strumentalizzazione espressa in un'intervista rilasciata da Fontanini (anche se gli spetta mi è difficile chiamarlo con l'appellativo di sindaco, parola per la quale avevo sempre nutrito un profondo rispetto).
 
È vero che il sindaco Fontanini non usa giri di parole, ma forse proprio perché non le gira, finisce per guardare in un’unica direzione, in quanto sta parlando di una realtà che, al di là di pochissime eccezioni che in ogni frangente esistono, nessuno si sogna di negare: le foibe sono esistite e sono una delle pagine feroci della storia umana di cui a Trieste, la città in cui sono nato, si è sempre parlato perché tutti hanno avuto un parente, o un conoscente, che ne è stato direttamente, o indirettamente coinvolto.

Non c’è alcun negazionismo, insomma, e, anzi, questo negazionismo tirato in ballo a ogni pie’ sospinto appare soltanto un metodo non per negare (sarebbe impossibile), ma per tentare di sminuire la gravità di un’altra delle grandi tragedie della seconda guerra mondiale: la Shoah.

È anche un tentativo, anche se Fontanini dice di non volerlo fare, di strumentalizzazione politica visto che l’argomento non viene tirato giustamente in ballo soltanto nel giorno del ricordo delle foibe, appunto, ma anche nella giornata della memoria per i milioni di vittime dei Lager nazisti di cui uno – a proposito di viciniorità – era anche a Trieste, nella Risiera; anche nel giorno dedicato alla commemorazione dei deportati nei Lager; anche il 25 aprile, perché evidentemente qualcuno la Resistenza non l’ha mai bene digerita.

Sarebbe il caso che Fontanini, ma non solo lui, ricordasse che non è che il ricordo di una malvagità possa cancellare un’altra malvagità. Nelle tragedie valgono le stesse regole della matematica: se sommi due numeri negativi, il risultato non si avvicinerà allo zero, ma sarà ancora più negativo. Sarebbe come se i fantomatici negazionisti ogni volta che sentono parlare di foibe, dicessero «Ma la Shoah…». Sarebbe, insomma, un’emerita stupidaggine.

Ancora una cosa: se fosse vero che «la memoria condivisa non può prescindere dalla verità storica…» denunciando tutti i crimini commessi dai vari regimi, sarebbe il caso anche di ricordare che la spirale di violenza slava non è giustificata, ma almeno parzialmente spiegata dallo spirito di vendetta innescato dalle stragi fasciste nella Slovenia occupata. Il generale Mario Robotti, il 4 agosto 1942, scriveva da Lubiana ai comandanti alle sue dipendenze che «Si ammazza troppo poco». Scriveva e non “diceva” e, visto che “scripta manent”, il testo è ancora disponibile e lo si può trovare all’indirizzo http://www.criminidiguerra.it/DocumRob.shtml.

E tutto questo non per tentare un altro stupido tentativo di annullare un orrore con un altro orrore, ma semplicemente per evitare un altro «subdolo negazionismo».
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venerdì 1 febbraio 2019

Due piccoli vantaggi

In questa situazione in cui si guarda con crescente timore alla situazione economica, con disgusto a quella politica e con sconcerto a quella etica di un Paese che si stenta a riconoscere, il pericolo maggiore è quello di lasciarsi indurre alla rassegnazione. Indurre perché quello di togliere le speranze agli avversari fa certamente parte del gioco.

Ebbene, pur in una maledetta notte che sicuramente finirà, ma le cui tenebre faticano terribilmente a essere squarciate da luci, almeno due piccoli vantaggi ci sono arrivati soprattutto negli ultimi periodi. Piccoli perché non migliorano la situazione, ma almeno ci tolgono definitivamente il fastidio di dover ascoltare certe falsità. Almeno due sono immediatamente visibili. Anzi, appariscenti.

Intanto sarà molto difficile ascoltare ancora da Grillo e dai suoi la frase «Uno vale uno» senza scoppiare a ridere. Da sempre è evidente che non soltanto è un sogno irreale, ma è anche un sogno sbagliato, ma ora, mentre i Grillo, Di Maio e i loro si stanno arrampicando sugli specchi apparentemente per aiutare Salvini, ma in realtà per salvare le loro comode poltrone di potere, questo slogan pubblicitario ha perduto ogni possibile appeal anche per i più distratti, se non sono in malafede.

Pur di salvare il posto, infatti, i vertici dei 5stelle, stanno negando quello che hanno sempre detto e, cioè, che l’immunità parlamentare è un obbrobrio democratico e giuridico e che a nessuno deve essere permesso di sottrarsi al giudizio di un processo. Per dare, poi, una parvenza di razionalità al loro brusco dietrofront, stanno agendo su due fronti. Intanto rivendicano una collegialità di decisione sull’accusa di sequestro di persona aggravato dalla posizione istituzionale, legato alla vicenda della Diciotti, per la quale la magistratura vorrebbe mandare a giudizio il ministro della paura, mentre carte e registrazioni mostrano chiaramente che ne sono stati sorpresi, se non addirittura contrariati. Poi sposano la tesi dell’interesse pubblico che dovrebbe scusare le azioni del trucido ministro delle divise. Al di là del fatto che è ben difficile immaginare quale interesse pubblico ci possa essere nel fermare a bordo 177 naufraghi bloccando contemporaneamente una nave militare dello Stato italiano sulla quale sono stati tratti in salvo.

Ma ancora più importante è proprio il concetto di “interesse pubblico” per il quale un ministro, che secondo loro evidentemente vale ben più di uno, dovrebbe essere al di sopra della Costituzione e delle leggi. Intanto, se le regole possono essere infrante, perdono di valore anche per coloro ai quali è proibito infrangerle e tutte le istituzioni sono coinvolte in questo crescente discredito.

E, poi, qual è il limite , ammesso che esista, oltre al quale l’“interesse pubblico” può spingersi? E chi è che può fissare questo limite? Insomma, se si comincia su questa strada, dove ci si potrà e dovrà fermare? Perché se già il cosiddetto “interesse pubblico” permette di negare l’obbligo di salvare i naufraghi perché, secondo Salvini e i suoi complici (tutti quelli che lo votano e lo sostengono lo sono) non dovrebbero essere lì, in mezzo al mare, a cercare una vita migliore dando così fastidio agli italiani che, ovviamente, devono arrivare “prima”, perché – dicevo – a un certo punto non si potrebbe addirittura ritenere che sia lecito incarcerare qualcuno perché pensa che l’“interesse pubblico” sia diverso da quello che viene presentato dal governo del momento? Perché, addirittura, non si potrebbe risolvere drasticamente la questione eliminando fisicamente chi la pensa diversamente? Fantascienza? No: storia italiana. Pensate soltanto al fascismo e ai fratelli Rosselli, solo per fare due tra i tanti nomi di coloro che “disturbavano”.

Quindi l’“uno vale uno” sbandierato dai grillini, in realtà vale davvero zero.

Un’altra cosa che i fatti di questo periodo ci hanno permesso di capire è che quando uno si sente accusare di “buonismo” non deve minimamente avvertire il dubbio di essere in colpa perché sta aiutano i migranti, i poveri, gli emarginati, i diversi, gli ultimi. Il suffisso “ismo” è parte integrante di molti vocaboli astratti, quasi tutti derivati da sostantivi e aggettivi molto concreti, vocaboli che indicano dottrine e movimenti religiosi, sociali, politici, filosofici, letterari e artistici, ma anche atteggiamenti, tendenze, caratteri collettivi e individuali, comportamenti e così via.

Ecco, davanti a un leghista che accusa di “buonismo”, chi è accusato può permettersi di sorridergli in faccia, pur fuggevolmente per non distrarsi dall’importante compito si solidarietà che sta svolgendo, perché, come molti altri modi di dire di questo periodo nutritosi di approssimazione, oltre che di cattiveria, anche questa accusa è totalmente priva di senso. Il sostenitore di un qualsiasi “ismo”, infatti, è colui che segue pedissequamente una teoria, a prescindere dal suo reale valore, spesso sentita come un dogma che non richiede – o, meglio, che rifiuta – qualsiasi ragionamento, o analisi critica. Ben diverso è chi applica in pratica, con razionale convinzione, l’essenza di quella teoria.

Chi si dà da fare, insomma, per salvare i migranti naufraghi nel Mediterraneo non è un buonista, ma, orgogliosamente, un buono. Esattamente come chi non solo non li aiuta, ma vorrebbe addirittura proibire il loro soccorso, non è uno stronzista, ma – scusate la parola – semplicemente uno stronzo.

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