giovedì 23 gennaio 2020

Liberazione e liberatori

È sempre molto difficile non incorrere nei rischi di una querela per termini offensivi, quando si parla di Pietro Fontanini, purtroppo sindaco di Udine. E questa volta l’impresa appare ancora più difficile. Ma farò il possibile. 

I fatti. Questa volta fissa la celebrazione di una nuova festa cittadina, il 2 maggio, e dice: «A liberare Udine in maniera formale furono gli alleati, non i partigiani. Quest’anno ricorderemo quell’avvenimento a 75 anni di distanza. Voglio, però, rassicurare che sta provando a fare polemica: non c’è alcuna intenzione di sminuire il 25 aprile, data a cui tengo molto e che sarà celebrata come sempre in piazza Libertà».

Esaurito velocemente il capitolo dei sentiti ringraziamenti perché il sindaco pro tempore ha deciso di non cancellare la festa nazionale del 25 aprile e di lasciarla celebrare in piazza Libertà, viene anche spontaneo l'esaltare questo puro sprazzo di genio fontaniniano che gli permette di lasciare che sopravvivano anche le vecchie abitudini comuniste, in quanto ha deciso di cambiare la Festa della Liberazione nella Festa dei Liberatori. Cioè non si celebra più la cacciata dei nazifascisti – concetto decisamente sgradito a non pochi degli alleati del temporaneamente occupante di palazzo D’Aronco – ma si intente festeggiare soltanto coloro che questa cacciata hanno reso evidente entrando per primi in città.

Peccato soltanto che Fontanini, forse prostrato dall'improvviso e abbacinante colpo di genio, si sia fermato troppo presto: perché festeggiare tutti gli alleati se i primi a entrare in città sono stati alcuni maori neozelandesi e un po’ di carristi statunitensi. E, per non restare ancora troppo sul vago, perché non citare nome per nome tutti questi militari per evitare che altri ne possano usurpare la gloria?

Per Fontanini, poi, è troppo scomodo, o difficile, pensare che per i partigiani era un po’ ridicolo entrare in città, visto che c’erano già dentro. E non erano neanche pochi.

Lui non vuole sminuire il 25 aprile? Certo. Esattamente come non vuole sminuire il simbolo di Auschwitz, quando nella cerimonia in ricordo delle deportazioni nazifasciste, parla quasi esclusivamente delle foibe titine.

Assicuro che, quando succederà, non andrò a sottilizzare su chi libererà Udine da Fontanini e dai suoi complici. Mi limiterò ad abbracciarli con la massima gratitudine possibile.


Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/

venerdì 10 gennaio 2020

Gli insegnamenti di Tafida

Ovviamente, come sempre, ce ne dimenticheremo in breve, ammesso che, dato che sono passati due giorni, l’oblio non sia già arrivato. Ma questo nome – Tafida Raqeeb – dovremmo, invece, ricordarcelo a lungo, perché, pur inconsapevole, ci ha fatto pensare a molte cose che, se non fossimo così pigri e tendenti al sonno della coscienza, dovrebbero diventare, in breve, veri e propri insegnamenti.
 
La storia. Tafida è una bimba inglese di famiglia – come rivela il nome – con origini arabe. Ha cinque anni e una malformazione congenita del sistema venoso che, a febbraio, le causa un’emorragia cerebrale a seguito della quale cade in stato vegetativo. Dopo non molto tempo il Royal London Hospital, che la considera inguaribile, decide di interrompere il supporto artificiale alle sue funzioni vitali: troppo costose e inutili, dichiarano gli amministratori, supportati dal parere dei loro medici. I genitori, però, si oppongono: vogliono trasferirla all’ospedale pediatrico Gaslini, di Genova, che è disposto ad accoglierla. I medici britannici si oppongono, ma i genitori si rivolgono alla High Court dove il 3 ottobre 2019 il giudice Alistair MacDonald decide di dare ragione ai genitori e di concedere un soffio di speranza alla piccola.

Il 15 ottobre Tafida arriva al Gaslini ed entra nel reparto di rianimazione da dove esce, per l’appunto, l’8 di questo mese, mercoledì. La mamma della bambina, Shelina Begum, dice: «Oggi è un giorno estremamente speciale per noi, perché Tafida è finalmente fuori dalla rianimazione. Questo significa molto per noi. Vogliamo ringraziare la squadra di medici del Gaslini per essersi presi estremamente cura di Tafida, e un grazie va anche all'opinione pubblica». E poi aggiunge: «Vorrei anche dire che l’opinione espressa dai medici inglesi di fronte all’alta Corte e la loro prognosi si sono dimostrate errate, e la prova è la stessa Tafida. Dovremmo essere in grado di darvi buone notizie nei prossimi mesi».

Quindi la lotta per ridare la salute alla bambina non è ancora finita, ma la speranza è tornata in quella famiglia. Non è una certezza, ma non è neppure scomparsa. Il direttore generale del Gaslini, Paolo Petralia, ha detto: «Siamo felici di aver accolto Tafida, esaudendo il desiderio dei genitori che hanno chiesto tempo e tutta la qualità di vita migliore possibile per la loro piccola. Purtroppo non sempre è possibile guarire, ma è sempre doveroso prendersi cura». E il responsabile del centro di rianimazione neonatale e pediatrica, Andrea Moscatelli, ha aggiunto: «La bimba è sostanzialmente stabile ma è estremamente difficile capire qual è il suo grado di partecipazione all’ambiente e nel dubbio ci si deve sempre comportare come se la partecipazione fosse maggiore di quella che noi riusciamo a percepire».

Prima considerazione: quale grado di presupponenza ha un medico se, non soltanto è certo della sua diagnosi infausta, ma addirittura si oppone in tribunale a dei genitori che, semplicemente, chiedono di far controllare ad altri medici se davvero è scomparsa ogni speranza che qualcosa possa accadere?

Seconda considerazione: a che livello di bassezza siamo arrivati se, ormai, un conto economico è diventato più importante di una vita umana? Si dirà che molti sono stati uccisi, o lasciati morire, per convenienza economica. Ma non è piccola la differenza se a fare ciò è un singolo individuo, o un’intera società; se una simile azione deriva da criminale grettezza individuale, o da meditata valutazione sociale. È un po’ come è successo in Italia: se Salvini preferisce lasciar annegare i migranti naufraghi, il giudizio su di lui è irrimediabilmente negativo, ma se è una parte consistente della società a pensarla nella stessa maniera, se ognuno non si pone mai il problema di cosa vorrebbe fosse fatto nel caso fosse lui nel pericolo, allora ci si comincia a chiedere se non sia il caso che a quella società, che è malata e forse inguaribile, la storia stacchi la spina, o, meglio, la releghi tra i tanti errori sociali susseguitisi in tanti secoli.

Ci si può chiedere quale vita potrà attendere Tafidsa. Ma, al di là della speranza che, secondo i medici del Gaslini, non è assolutamente scomparsa, devono essere i genitori scrutando nel loro amore e non la società, rovistando nel suo portamonete a decidere sulla vita, o la morte di una creaturina.

È la parola speranza che dovrebbe essere determinante: si tratta sempre di un argomento spinoso e scivoloso, nel quale – accanimento terapeutico e fine vita – credo sia impossibile avere certezze assolute. L’unica certezza possibile, strettamente legata alla speranza, credo sia l’amore per il malato. Quello stesso amore che ha portato Beppino Englaro a chiedere che a sua figlia Eluana fossero staccate le macchine; quello stesso amore che ha portato i genitori di Tafida a opporsi a una decisione simile. Ancora una volta si dimostra che non ci sono mai soluzioni semplici e univoche davanti a problemi etici e, quindi, inevitabilmente complessi.

Un’ultima considerazione: questa volta probabilmente il razzismo non c’entra. In Gran Bretagna sono stati lasciati morire, perché costavano troppo e la speranza era poca, anche tanti bambini di pura razza bianca. Ormai il soldo sembra essere diventato più importante anche della pelle.

Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/