venerdì 31 dicembre 2021

Auguri in positivo

2022 Spesso mi sono chiesto come sarebbe diverso il mondo – e probabilmente migliore – se sulle tavole della legge portate a valle da Mosè sul Sinai, i comandamenti fossero stati scritti in forma positiva e non negativa. Tanto per capirci, provate a pensare alla differenza di impegno etico tra il «Non uccidere» e un ipotetico «Difendi la vita di tutti».

Forse è anche per la delusione che nasce dal vedere come si è evoluto un mondo ricco di divieti e poverissimo di esortazioni, che siamo abituati a esprimere in forma positiva i nostri desideri per i regali e, in genere, per il futuro. Ed è sempre per questo che ci sentiamo a disagio in questi giorni, quando ci rendiamo conto che buona parte dei desideri per il prossimo anno sono formulati dalla nostra mente in forma negativa.

Riguardo al Covid, per esempio, troppo spesso ci limitiamo ad augurarci che il virus non dilaghi e scompaia quasi per un miracolo che non dipende da noi, ma da un’eventuale opera sovrannaturale. E, invece, dovremmo augurare e augurarci che la scienza continui a proseguire con successo nel suo lavoro e che i no vax riprendano non soltanto l’uso del proprio cervello, ma anche quello della coscienza per comprendere che è proprio per causa loro che molte persone sono state infettate e sono morte.

Sempre legata al Covid è la situazione economica per la quale ci limitiamo ad augurarci che stipendi, pensioni e guadagni di industria, commercio e servizi continuino ad arrivare, che le tariffe dell’energia fermino la loro crescita e che le differenze economiche e sociali tra gli esseri umani finiscano di crescere in maniera esponenziale. Invece sarebbe auspicabile che si cominciasse a valutare seriamente di cambiare un sistema economico che non può più resistere in un mondo in cui il consumismo vuole continuare a consumare ciò che è ormai quasi esaurito; in cui sta scomparendo quel lavoro che, oltre a essere la base della dignità di ognuno, è anche l’unica fonte da cui arriva quel denaro necessario per sopravvivere; nel quale il guadagno appare talmente importante da aver riesumato, di fatto, quella schiavitù nella quale la vita di un servo era da curare meno del proprio portafogli.

E, a proposito di «Non uccidere», diventa incomprensibile l’augurio che il numero dei femminicidi possa calare, se non è accompagnato dall’impegno a cambiare culturalmente una mentalità di possesso e dominio che nelle violenze contro le donne e i lavoratori trova la punta dell’iceberg, ma che ha un corpaccione nascosto che infetta tantissime altre situazioni umane e sociali.

Infine, per concludere senza farla troppo lunga, la maggior parte degli italiani – forse non dei parlamentari e dei grandi elettori, ma degli italiani, sì – si augura che Berlusconi non venga eletto presidente della Repubblica per non doversi vergognare di nuovo di essere cittadini di un Paese del quale, in condizioni normali, si dovrebbe essere, invece, orgogliosi. Ebbene, pensiamola in positivo e auguriamoci che il prossimo capo dello Stato sia una persona onesta, eticamente sensibile e rispettosa di quella Costituzione che è chiamato a difendere. È evidente che già inizialmente il nome di Berlusconi – e anche quello di qualche altro figuro – non potrebbe rientrare tra i papabili.

Insomma, tanti auguri a tutti per un positivo 2022. Ne abbiamo davvero bisogno.

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giovedì 23 dicembre 2021

Il concetto di privacy

Jansa Il presidente del Consiglio della Slovenia, Janez Janša (nella foto), è stato messo sotto inchiesta dal Garante della Privacy di quel Paese. Il fatto contestato è quello di aver spedito a tutti i maggiorenni della nazione una lettera in cui ringrazia chi si è già vaccinato contro il Covid, mentre chiede a tutti coloro che non lo hanno ancora fatto di ripensare al loro rifiuto. L’accusa è quella di aver fruito illegalmente dei dati dell’anagrafe centrale.

A prima vista si è in dubbio tra l’ipotesi che il Garante della privacy slovena sia un no-vax in posizione dominante e quella che si tratti soltanto di uno degli infiniti casi di burocrazia cieca e inconsapevolmente ridicola che evidentemente non accadono solamente in Italia.

Poi si è colti dal sospetto – subito confutato dalle testimonianze d’oltre confine – che in Slovenia il Garante sia talmente bravo ed efficiente da impedire che, come invece accade in Italia, la privacy sia violata ogni giorno, più volte al giorno, a ogni ora del giorno e della notte da telefonate, o da e-mail pubblicitarie e/o truffaldine che raggiungono telefonini di cui il numero dovrebbe essere a conoscenza soltanto del titolare e di coloro ai quali lui stesso decide di farlo conoscere, o indirizzi di posta elettronica che teoricamente sarebbero riservati, mentre sono aggrediti quotidianamente da decine, se non centinaia, di messaggi che soltanto in parte si riesce a deviare nell’immondezzaio delle spam, perché basta cambiare l’indirizzo del mittente e noi diventiamo nuovamente indifesi.

Ridicolo è poi il sistema con il quale nei siti più seri (come quelli degli organi di informazione) teoricamente si possono rifiutare le intrusioni pubblicitarie. Avete presente quella frase che appare spesso, senza mai essere richiesta, sugli schermi di telefonini, tablet e computer e che ha come titolo “Abbiamo a cuore la tua privacy”? «Noi – più o meno recita così – e i nostri partner archiviamo e/o accediamo alle informazioni su un dispositivo (come i cookie) e trattiamo i dati personali (come gli identificatori univoci e altri dati del dispositivo) per annunci e contenuti personalizzati, misurazione di annunci e contenuti, approfondimenti sul pubblico e sviluppo del prodotto. Con il tuo consenso, noi e i nostri partner possiamo utilizzare dati di geolocalizzazione e identificazione precisi attraverso la scansione del dispositivo». E poi ti domandano di accettare e andare avanti, o di rifiutare di dare in pasto il tuo indirizzo all’intero mondo, anche ai truffatori.

Se non accetti, nella maggior parte dei casi devi rispondete “No” a decine di domande diverse. Ma non basta: perché, mentre se accetti il tuo assenso non sarà mai più messo in dubbio, in caso di rifiuto la medesima richiesta tornerà ad apparire sul tuo video a intervalli irregolari di qualche giorno e dovrai rifare ogni volta tutta la trafila.

Chi permette queste cose può davvero essere chiamato “Garante della privacy”, mentre, per esempio, nel nome della difesa dei cosiddetti “dati sensibili”, per lungo tempo non ha consentito di sapere se chi insegnava, o curava, o serviva o cucinava in un locale pubblico era vaccinato contro il Covid, o aveva fatto soltanto il tampone, o magari non aveva fatto proprio nulla?

Anche questi, e non soltanto i comportamenti degli eletti, sono fatti che minano la fiducia nella democrazia, tanto da indurre sempre più gente a rifiutare l’unico rito che ancora vede protagonisti, almeno nella parte del voto, i cittadini: quello delle elezioni.

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mercoledì 15 dicembre 2021

Distrazione di massa

Costituzione 2 Sembra una regola fissa e, anzi, probabilmente lo è: quando l’opinione pubblica è tutta concentrata su qualcos’altro, quello è il momento in cui in Italia qualcuno tenta di stravolgere il quadro istituzionale. E quasi sempre viene tirata in ballo una delle parole più pericolose del nostro vocabolario: la “governabilità”.

In questo momento, mentre tutti sono concentrati sulla recrudescenza del Covid, sui pericoli portati dalla variante omicron e sulle intollerabili polemiche sollevate da no-vax e no-pass, è la Meloni a tentare di approfittare della generale distrazione sui sistemi democratici. Nel nome della governabilità, infatti, ripropone per l’ennesima volta l’elezione diretta del presidente della Repubblica, ma, se lei non fa altro che tentare di portare acqua al suo mulino, a preoccupare è la distratta reazione degli italiani: secondo un sondaggio fatto da Ilvo Diamanti, infatti, ben 74 italiani su 100 – praticamente 1 su 4 – sarebbero d’accordo con lei. E così torna di scottante attualità una vignetta di Altan che, come sempre, sa mettere il dito nelle tante piaghe politiche che ci angustiano: uno dei due protagonisti dice: «La Costituzione è in pericolo!». E l’altro ribatte: «Interveniamo o ci riserviamo il piacere di dire che l’avevamo detto?».

Al di là del fatto che l’Italia ha saputo rinascere dalle ceneri della guerra proprio rifiutando la “governabilità” a nessuno passa neppure lontanamente per la testa che in tal caso la nostra Costituzione andrebbe totalmente stravolta, che Camera e Senato dovrebbero avere compiti profondamente diversi da quelli disegnati per loro dalla Costituzione e che gli altri sistemi presidenzialisti presentano contrappesi istituzionali dei quali da noi non c’è la minima traccia. Tanto per fare un paio di esempi, negli Stati Uniti le Camere hanno caratteristiche, anche elettive, profondamente diverse ed esistono le elezioni di medio termine che possono far coesistere un presidente con una maggioranza contraria, mentre in Francia la convivenza tra un presidente e una maggioranza parlamentare diversa è stata già piuttosto frequente. Qui da noi, secondo il disegno meloniano, che ha molte assonanze con quello renziano di un po’ più di cinque anni fa, il presidenzialismo sarebbe accoppiato a un sistema elettorale maggioritario con premi sparsi: un ottimo sistema per sostituire “governabilità” con “autoritarismo”.

Ancora una volta, insomma, ci troviamo di fronte a un assalto al sistema elettorale proporzionale da parte degli amanti del maggioritario. A impedire questi rigurgiti maggioritari non bastano gli esempi della “legge Acerbo”, né quelli possibili della “legge truffa”, e neppure le simulazioni fatte sulla fortunatamente fallita riforma costituzionale sognata da quel Renzi, vero cavallo di Troia all’interno di un miope PD, che ora si è avvicinato tanto alla destra da sostenere che (chissà poi perché?) oggi Meloni, Salvini e Berlusconi avrebbero il diritto di indicare il nuovo Presidente della Repubblica.

Meno ricordato e conosciuto, ma di grande importanza è il furto, compiuto durante la Costituente, dai maggioritari che già pensavano alla “legge truffa”. In breve: nel progetto costituzionale approntato dalla Commissione dei 75 e presentato all’Aula il 31 gennaio 1947, la materia poi accorpata nell’attuale articolo 75 era suddivisa tra gli articoli 72 e 73. Il 72 dichiarava che non potevano essere materia di referendum le leggi tributarie, le approvazioni dei bilanci e le ratifiche di trattati internazionali. Quando, il 16 ottobre 1947, l’articolo fu discusso in aula, furono escluse anche le leggi di amnistia e indulto e le leggi elettorali. Gli emendamenti furono approvati pur con l’opposizione del presidente del Comitato dei Diciotto, Meuccio Ruini. A questo punto gli articoli 72 e 73 furono accorpati a opera del Comitato dei Diciotto, ma nel testo, riscritto e ripresentato come articolo 75, di “leggi elettorali” non si parlava più.

Come questa manipolazione poté passare inosservata? Semplicemente perché nella seduta pomeridiana del 21 dicembre 1947 furono considerati in blocco gli articoli che avevano subito variazioni anche solo formali perché l’aula si esprimesse su tali modifiche, ma tra gli articoli ritoccati non figurava l’articolo 75, nuovo e non cambiato e, quindi, capziosamente non segnalato tra quelli su cui votare. Quindi Umberto Terracini, presidente dell’Assemblea, non lo portò al voto perché convinto fosse rimasto invariato. Ruini lo sapeva bene, ma tacque. E, anzi, mentre nel 1953 infuriava la battaglia parlamentare contro la “legge truffa”, si assunse beffardamente il “merito” di quella “svista”.

Insomma, lo scudo contro i rischi democratici che i costituenti avevano lucidamente previsto è stato affossato da una truffa deliberata alla quale poi nessuno ha avuto la forza di porre rimedio.

Si potrebbe obbiettare che quella volta i costituenti avevano ancora vividi i ricordi delle violenze e dei disastri fascisti e che oggi sono passato più di settant’anni da allora, ma a ben guardare i rigurgiti fascisti, nazisti, razzisti e aliofobi del nostro Paese, e le ben gradite alleanze di Fratelli d’Italia e della Lega con i gruppi nostalgici di estrema destra, non si direbbe proprio che il fascismo sia ormai soltanto un ricordo. Ed è anche in quest’ottica che la proposta della Meloni deve essere valutata.

Si dice spesso che il popolo italiano è più avanti dei propri rappresentanti politici e probabilmente è vero. Ma se così è, sarebbe il caso di cominciare subito a ragionare su proposte pericolose che quasi sempre poi fortunatamente vengono bocciate dai referendum. Farlo subito farebbe risparmiare molta fatica e allontanerebbe anche lo spettro che proprio i referendum possano sparire in una futura revisione costituzionale presidenzialista.

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sabato 4 dicembre 2021

La verifica delle fonti

vacciniSilvio Berlusconi, Enrico Mentana, Maria Laura Rodotà, citati in rigoroso ordine di ingresso in campo. Cosa hanno in comune questi tre personaggi? Il fatto di essersi schierati esplicitamente contro i no-vax e i no-pass, ma anche – è non è secondario – di avere riaperto il confronto sulla professione giornalistica.

Berlusconi – che lo fa per puro interesse personale, visto che ancora si illude di poter andare al Quirinale – ha sospeso i programmi Mediaset di Del Debbio e di Giordano che davano amplissimo spazio ai no-vax. Mentana ha affermato: «Mi onoro di non avere mai ospitato nei tg che dirigo alcun esponente dei no vax». Maria Laura Rodotà, giornalista e figlia di Stefano, ha contestato l’iniziativa di organizzare un evento internet no-vax, al quale parteciperanno, tra gli altri, Massimo Cacciari e Carlo Freccero, usando il nome dell’associazione “Generazioni future Rodotà”; e lo ha fatto senza lasciare spazio a dubbi interpretativi: «Mio padre era un meridionale illuminista, si sarebbe stravaccinato; ascoltava cortesemente i pirla, ma non li amava. Mio padre si è occupato dì beni comuni, non di complottismo vaccinale. Sarebbe corretto se smettessero di usare il suo nome».

Venendo al giornalismo, Mentana afferma: «A chi mi dice che così impongo una dittatura informativa, rispondo che adotto la stessa linea rispetto ai negazionisti dell’Olocausto, ai cospirazionisti dell’11 settembre, ai terrapiattisti, a chi non crede allo sbarco sulla Luna e a chiunque sostiene posizioni controfattuali, come lo sono quelle di chi associa i vaccini al 5G o alla sostituzione etnica, al Grande Reset, a Soros e Gates o scempiaggini varie». E continua: «Per me mettere a confronto uno scienziato e uno stregone, sul Covid come su qualsiasi altra materia che riguardi la salute collettiva, non è informazione. È come allestire un faccia a faccia tra chi lotta contro la mafia e chi dice che non esiste, tra chi è per la parità tra uomo e donna e chi è contro, tra chi vuole la democrazia e chi sostiene la dittatura».

Sono perfettamente d’accordo.Professionalità giornalistica, infatti, non significa soltanto saper trovare le notizie e poi tradurle in un brano letterariamente valido e in un titolo accattivante, inseriti in una pagina graficamente gradevole e arricchita da fotografie incisive: potrebbe farlo chiunque, e con pochissimo addestramento. Perché un mestiere diventi professione deve poggiare, invece, su un solido substrato etico. Nel caso del giornalismo, per spiegarmi meglio, il verbo “informare” non può essere disgiunto dal verbo “formare”, mentre deve essere nettamente separato dal “disinformare”. E, per dare contorni più definiti al tema, dico anche che l’obbligo di una moralità, di una deontologia, esiste non perché la professione giornalistica nasca per educare, ma perché, se questa eticità manca, ne consegue, in maniera praticamente automatica, che finisce per diseducare. Lo vedete succedere ogni giorno e il Covid ha messo questa situazione sotto i riflettori.

Chiunque si sia avvicinato al giornalismo, anche soltanto di sfuggita, non può non aver sentito insistite raccomandazioni sul concetto di verifica delle fonti, proprio perché il verbo “informare”, da solo, ha ben poco significato se non è accompagnato dall’avverbio “correttamente”.

E allora, per venire alla situazione attuale, c’è ben poco di corretto nel presentare ai lettori, o agli ascoltatori, mettendoli sullo stesso piano, scienziati e ciarlatani, o lasciare che ognuno dica quello che vuole senza ribattere. Se qualcuno è convinto che fare un’intervista sia soltanto porre domande e appuntare diligentemente qualunque risposta, vuol dire che confonde il giornalista con un registratore. Se qualche collega crede che si possa fare un’intervista su temi delicati senza prima prepararsi e senza studiare l’argomento per poter – se del caso - ribattere, è meglio che cambi mestiere. Se qualcuno teorizza che non si possa né rifiutare di dare spazio a chiunque, né cancellare parti di quello che si sente dire, diventa un pericolo non soltanto per la professione, ma per l’intera società. Qualcuno forse si scandalizza se, quando un intervistato bestemmia, nel testo pubblicato la blasfemia viene tagliata? No di certo. E qualcuno ritiene davvero che si possa bestemmiare soltanto se ci si riferisce a Dio? E che si possa truffare gli altri affermando falsità rese ormai evidenti dalla realtà?

Per capirci, se qualcuno afferma che i vaccini non coprono al 100 per 100 dai rischi di un contagio, ha perfettamente ragione; ma se poi continua non sottolineando che la percentuale di successi è comunque molto alta, che i vaccini sono efficacissimi nell’evitare ospedalizzazioni severe, che in ogni caso non esistono serie strade alternative e che vaccinandosi non si difende soltanto se stessi, ma anche e soprattutto gli altri, i più fragili – bambini, vecchi, o malati che siano – in un’affermazione di appartenenza a una società civile, o è in malafede, o ha un quoziente intellettivo decisamente basso.

Qualcuno dice che tutti hanno il diritto di esprimere il proprio pensiero? È vero, ma non necessariamente hanno anche il diritto di avere a disposizione la cassa di risonanza dell’informazione. Soprattutto se palesano progetti di morte, perché chi è contro i vaccini, o contro i controlli su chi è vaccinato, si è reso e si rende responsabile di veri e propri omicidi; magari preterintenzionali, ma sempre omicidi. Perché chi combatte contro vaccini e controlli ha favorito e favorisce i contagi; e i morti, solo in Italia, sono ormai ben più di 130 mila. E non ha lo stesso diritto di parola di chi, invece, studia e opera per salvare le vite e non per distruggerle.

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