Silvio Berlusconi, Enrico Mentana, Maria Laura Rodotà, citati in rigoroso ordine di ingresso in campo. Cosa hanno in comune questi tre personaggi? Il fatto di essersi schierati esplicitamente contro i no-vax e i no-pass, ma anche – è non è secondario – di avere riaperto il confronto sulla professione giornalistica.
Berlusconi – che lo fa per puro interesse personale, visto che ancora si illude di poter andare al Quirinale – ha sospeso i programmi Mediaset di Del Debbio e di Giordano che davano amplissimo spazio ai no-vax. Mentana ha affermato: «Mi onoro di non avere mai ospitato nei tg che dirigo alcun esponente dei no vax». Maria Laura Rodotà, giornalista e figlia di Stefano, ha contestato l’iniziativa di organizzare un evento internet no-vax, al quale parteciperanno, tra gli altri, Massimo Cacciari e Carlo Freccero, usando il nome dell’associazione “Generazioni future Rodotà”; e lo ha fatto senza lasciare spazio a dubbi interpretativi: «Mio padre era un meridionale illuminista, si sarebbe stravaccinato; ascoltava cortesemente i pirla, ma non li amava. Mio padre si è occupato dì beni comuni, non di complottismo vaccinale. Sarebbe corretto se smettessero di usare il suo nome».
Venendo al giornalismo, Mentana afferma: «A chi mi dice che così impongo una dittatura informativa, rispondo che adotto la stessa linea rispetto ai negazionisti dell’Olocausto, ai cospirazionisti dell’11 settembre, ai terrapiattisti, a chi non crede allo sbarco sulla Luna e a chiunque sostiene posizioni controfattuali, come lo sono quelle di chi associa i vaccini al 5G o alla sostituzione etnica, al Grande Reset, a Soros e Gates o scempiaggini varie». E continua: «Per me mettere a confronto uno scienziato e uno stregone, sul Covid come su qualsiasi altra materia che riguardi la salute collettiva, non è informazione. È come allestire un faccia a faccia tra chi lotta contro la mafia e chi dice che non esiste, tra chi è per la parità tra uomo e donna e chi è contro, tra chi vuole la democrazia e chi sostiene la dittatura».
Sono perfettamente d’accordo.Professionalità giornalistica, infatti, non significa soltanto saper trovare le notizie e poi tradurle in un brano letterariamente valido e in un titolo accattivante, inseriti in una pagina graficamente gradevole e arricchita da fotografie incisive: potrebbe farlo chiunque, e con pochissimo addestramento. Perché un mestiere diventi professione deve poggiare, invece, su un solido substrato etico. Nel caso del giornalismo, per spiegarmi meglio, il verbo “informare” non può essere disgiunto dal verbo “formare”, mentre deve essere nettamente separato dal “disinformare”. E, per dare contorni più definiti al tema, dico anche che l’obbligo di una moralità, di una deontologia, esiste non perché la professione giornalistica nasca per educare, ma perché, se questa eticità manca, ne consegue, in maniera praticamente automatica, che finisce per diseducare. Lo vedete succedere ogni giorno e il Covid ha messo questa situazione sotto i riflettori.
Chiunque si sia avvicinato al giornalismo, anche soltanto di sfuggita, non può non aver sentito insistite raccomandazioni sul concetto di verifica delle fonti, proprio perché il verbo “informare”, da solo, ha ben poco significato se non è accompagnato dall’avverbio “correttamente”.
E allora, per venire alla situazione attuale, c’è ben poco di corretto nel presentare ai lettori, o agli ascoltatori, mettendoli sullo stesso piano, scienziati e ciarlatani, o lasciare che ognuno dica quello che vuole senza ribattere. Se qualcuno è convinto che fare un’intervista sia soltanto porre domande e appuntare diligentemente qualunque risposta, vuol dire che confonde il giornalista con un registratore. Se qualche collega crede che si possa fare un’intervista su temi delicati senza prima prepararsi e senza studiare l’argomento per poter – se del caso - ribattere, è meglio che cambi mestiere. Se qualcuno teorizza che non si possa né rifiutare di dare spazio a chiunque, né cancellare parti di quello che si sente dire, diventa un pericolo non soltanto per la professione, ma per l’intera società. Qualcuno forse si scandalizza se, quando un intervistato bestemmia, nel testo pubblicato la blasfemia viene tagliata? No di certo. E qualcuno ritiene davvero che si possa bestemmiare soltanto se ci si riferisce a Dio? E che si possa truffare gli altri affermando falsità rese ormai evidenti dalla realtà?
Per capirci, se qualcuno afferma che i vaccini non coprono al 100 per 100 dai rischi di un contagio, ha perfettamente ragione; ma se poi continua non sottolineando che la percentuale di successi è comunque molto alta, che i vaccini sono efficacissimi nell’evitare ospedalizzazioni severe, che in ogni caso non esistono serie strade alternative e che vaccinandosi non si difende soltanto se stessi, ma anche e soprattutto gli altri, i più fragili – bambini, vecchi, o malati che siano – in un’affermazione di appartenenza a una società civile, o è in malafede, o ha un quoziente intellettivo decisamente basso.
Qualcuno dice che tutti hanno il diritto di esprimere il proprio pensiero? È vero, ma non necessariamente hanno anche il diritto di avere a disposizione la cassa di risonanza dell’informazione. Soprattutto se palesano progetti di morte, perché chi è contro i vaccini, o contro i controlli su chi è vaccinato, si è reso e si rende responsabile di veri e propri omicidi; magari preterintenzionali, ma sempre omicidi. Perché chi combatte contro vaccini e controlli ha favorito e favorisce i contagi; e i morti, solo in Italia, sono ormai ben più di 130 mila. E non ha lo stesso diritto di parola di chi, invece, studia e opera per salvare le vite e non per distruggerle.
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