domenica 27 ottobre 2013

Il significato del verbo vincere

In questi ultimi tempi ho ascoltato più volte Matteo Renzi alla televisione e una volta Gianni Cuperlo in Sala Ajace, a Udine. Su molti aspetti hanno detto, sia pur con sfumature diverse e significative, cose molto simili: la necessità della riconquista del predominio della politica sull’economia e sulla finanza; l’obbligo da parte del centrosinistra di non rincorrere più le politiche di Berlusconi (chiamarle di centrodestra mi sembrerebbe offensivo nei confronti dei veri liberali ancora esistenti); l’imperativo di ridare a tutti i diritti e la dignità che il berlusconismo ha sottratto agli italiani.
Potrebbero sembrare strade contigue, anche se non coincidenti, ma è sul significato della parola vincere che le idee dei due più accreditati candidati alla segreteria del PD sono totalmente divergenti visto che Renzi parla senza problemi di voler recuperare i voti dei delusi dall’ex PDL e da Grillo, mentre Cuperlo indirizza i suoi sforzi verso gli elettori di centrosinistra – tanti – che, stufi delle delusioni loro inferte da un partito troppo spesso più dedito alle battaglie interne che a quelle sociali, hanno momentaneamente scelto un voto di protesta, o, molti di più, la rinuncia al diritto di voto.
Proviamo a pensarci: vincere attraendo voti dal PDL e dal M5S significherebbe annacquare i propri progetti e velare i propri valori; non sarebbe vincere, ma soltanto occupare posizioni di potere, perché in politica – quella vera che da tanto tempo non abbiamo più visto, se non durante la breve parentesi del primo governo Prodi – vincere significa portare avanti le proprie idee e realizzarle, per quanto possibile; non ridurle e stravolgerle già in partenza per venire incontro alle pretese dei meno reazionari tra berlusconiani e grillini al solo scopo di conquistare qualche voto in più.
Renzi ripete che a lui non piace perdere, come se gli altri godessero delle proprie sconfitte. Ma si tratta soltanto di capire dove collocare temporalmente il concetto di sconfitta. Mi pare che le dichiarate politiche economiche e di lavoro del sindaco di Firenze pongano la sconfitta degli ideali come base di partenza per la vittoria alla elezioni. Per me, invece, la sconfitta è accettabile soltanto poi, soltanto dopo aver combattuto, soltanto se non si è riusciti, mantenendo inalterati i propri ideali e la propria dignità, a convincere le grandi masse dei disamorati pur avendo lavorato al massimoper riuscirci.
Non è accettabile neppure dopo se è la conseguenza di un camuffamento malamente riuscito, come non è accettabile la vittoria se il camuffamento, invece, è riuscito.
I sondaggi danno Renzi vincente su Cuperlo, ma credo che nessuno debba votare soltanto seguendo i sondaggi. Con tutto il rispetto per coloro che alle primarie voteranno Renzi e sempre pensando che il centrosinistra alla fine debba essere unito nel combattere la destra, dico – ammesso che a qualcuno possa interessare – che voterò Cuperlo perché è da lui che ho sentito ripetere dopo alcuni decenni che la vera politica deve essere profezia; che è lui che ha sottolineato che deve esserci una connessione sentimentale tra l’eletto e che rappresenta; che nella sua campagna elettorale è il simbolo del partito, e cioè dei suoi ideali, a dominare sul nome del candidato e non viceversa, come ha insegnato Berlusconi e come Renzi ritiene giusto continuare a fare.

lunedì 21 ottobre 2013

I vicini e i lontani

A guardare la tradizione e la situazione politica italiana verrebbe da pensare che la caratteristica precipua della sinistra consista nel vedere con maggiore fastidio i piccoli gradini che differenziano in qualcosa le posizioni del vicino, piuttosto che gli abissi che separano da quelle del lontano, avversario o nemico che sia.
E non serve neppure scomodare la storia per ricordare l’omicidio-suicidio perpetrato dall’imperdonabile Fausto Bertinotti nei confronti del governo Prodi. Basta guardare alla cronaca, visto che buona parte delle donne e degli uomini del PD finisce per sopportare, pur brontolando, le nefandezze – per opere e per omissioni – del governo Letta-Alfano, mentre non si sforza minimamente non di fare proprie le idee di compagni di partito che si muovono in correnti diverse, ma neppure di sottoporsi al primo sforzo necessario per poi poter discutere: quello di ascoltare.
Il sospetto è che basterebbe che gli esponenti della sinistra e del centrosinistra usassero soltanto una frazione della decisione e della cattiveria con la quale affrontano i compagni di partito e gli esponenti dei partiti più vicini per controbattere coloro dai quali si è divisi da insanabili diversità etiche, politiche, economiche e sociali, per ridare un volto meno disumano a questa Italia e per recuperare buona parte degli elettori di sinistra che non vanno più alle urne perché lì la sinistra è difficilissima da trovare. O che ci vanno illusi da qualcuno che da sinistra si camuffa, ma che poi, alla prova dei fatti, si rivela per quello che è: un leghista che è parzialmente riuscito a ripulirsi dalla vernice verde.
Dicevo prima che non serve disturbare la storia e, invece, bisogna farlo perché è la scarsa memoria collettiva che permette ai pochi di imbrogliare i più. È la storia, infatti, a insegnare che mediare con i vicini è la chiave per migliorare e che mediare con i lontani è la via per scomparire. Ed è sempre la storia a dimostrare abbondantemente che quando la sinistra si divide, inevitabilmente vince la destra.
Succede anche all’estero, ma il problema è che in Italia la destra è Berlusconi. E non può certo consolarci il fatto che in Francia il frutto della divisione della sinistra e del suo annacquamento rischia di chiamarsi Le Pen.

venerdì 4 ottobre 2013

Lo schermo della vergogna

È davvero strano un mondo in cui faccia notizia il fatto che un Papa abbia detto «Una sola parola: vergogna», riferendosi alla tragedia di Lampedusa, l’ennesima, ma anche largamente la più drammaticamente grave. Viene il sospetto che questa parola sia stata alzata nei titoli come uno schermo capace di mettere in ombra le altre parole che ha detto e che ben raramente sono state sentire echeggiare nelle stanze vaticane: «la inumana crisi economica mondiale che è un sintomo grande della mancanza di rispetto per l’uomo», «la mancanza di rispetto per la verità con cui sono state prese decisioni da parte di governi e di cittadini», e «non soltanto i principali diritti politici e civili devono essere garantiti, ma si deve offrire a ognuno la possibilità di accedere effettivamente ai mezzi essenziali di sussistenza, il cibo, l’acqua, la casa, le cure sanitarie, l’istruzione e la possibilità di formare e sostenere una famiglia».
E la parola “Vergogna!” ha messo in ombra anche una terribile accusa del sindaco di Lampedusa, Giusy Nicolini, che, in lacrime, ha detto: «Tre pescherecci sono andati via dal luogo della tragedia perché il nostroi Paese ha processato tante volte i pescatori che hanno salvato vitte per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.
E la parola “Vergogna!” è deviante perché fa sempre pensare che sia indirizzata ad altri, mentre, invece, tocca anche noi perché se in una democrazia è stata approvata quella schifezza immonda delle legge Bossi-Fini, la colpa è anche di coloro – cioè di tutti noi – che abbiamo consentito, con il voto, o con la mancanza di voto che andassero in Parlamento coloro che quella legge l’hanno approvata.
Dite che non siamo responsabili perché non abbiamo votato nel per Bossi, né per Fini, né per Berlusconi? Non basta lo stesso, perché evidentemente non abbiamo testimoniato con sufficiente vigore il nostro schifo davanti a chi non soltanto è razzista, ma soprattutto è inumano e, magari, dice di approvare le parole del Papa.
A sentire quello che dopo la tragedia i portavoce della Lega hanno detto contro la Boldrini e la Kyenge non può non far capire che i rapporti con la Lega e con coloro che la pensano nella stessa maniera non possono esistere. La differenza, in questo caso, non è politica. È proprio antropologica. Si può dare la mano, o semplicemente fare un cenno di saluto a coloro che non versano neanche una lacrima davanti a centinaia di morti e che pensano soltanto a difendere i loro meschini privilegi davanti a poveri diseredati che rischiano la vita scappando dalla guerra, dalla fame, dalla schiavitù?
La vergogna è tutta per noi se continueremo a rivolgere la parola ai leghisti e ai loro complici. Perché la loro non è libertà di parola: è infame arbitrio.