martedì 29 ottobre 2019

Idee, non nomi

Forse ad abbattere di più lo spirito di chi si sente di sinistra non è tanto il risultato dell’Umbria, quanto l’assommarsi dei commenti degli esponenti della coalizione di governo. Scusate se la chiamo così, ma definirla di centrosinistra mi fa venire quel certo senso di fastidio e nausea che si prova davanti a chi, con evidenza, cerca di imbrogliarti.

Il panorama è dato da Zingaretti che accusa Renzi (e non ha assolutamente torto); da Renzi che accusa Zingaretti calibrando le sue dichiarazioni soltanto sui calcoli che ha fatto (e che di solito sbaglia) per prendere e mantenere il potere; da Di Maio che è terrorizzato soltanto dall’ipotesi di perdere il suo ruolo di “capo politico” (risate a piacere); Leu che ovviamente (esiste soltanto nel governo, non nel Paese) non dice nulla; Conte che esaurisce tutte le sue energie nell’atteggiarsi a statista e mediatore tra non si sa chi e non si sa cosa.

Sappiamo tutti che questo governo è nato quasi esclusivamente per evitare che alla presidenza della Repubblica possa salire tra due anni un aspirante dittatore, o, più facilmente, un servitore di un aspirante dittatore. Ma qualcuno pensa davvero che questo fragile collante possa essere più forte delle baruffe quotidiane tra i soci che si basano soprattutto sugli interessi personali e di gruppo, ma che talvolta, fortunatamente, nascono anche da visioni politiche e sociali diverse?

Pensate davvero che l’attuale sinistra possa continuare a non assottigliarsi se continuerà soltanto a cercare accomodamenti di potere senza mai portare avanti una propria idea? Per esempio: che fine ha fatto l’abolizione dei “decreti sicurezza” del ministro degli Inferni che dovevano essere cancellati come prima, o, al massimo, seconda mossa da un governo che coinvolge il Pd? Dicono che non hanno potuto farlo per l’opposizione di Di Maio e di Renzi? Benissimo, e allora denuncino a chiare lettere che sono quei due figuri a provocare un’irreparabile frattura non tanto tra le componenti di questo governo, ma tra i milioni di gente di centrosinistra e un governo che dice di essere di centrosinistra, ma che tale assolutamente non è.

È possibile che dopo tante batoste, i cervelli pensanti dei partiti che formano il governo non abbiano capito che ai potenziali elettori di centrosinistra non interessa assolutamente alcuna discussione sui nomi, ma vogliono sentir discutere (non parlare, discutere) di nuovo di idee, di valori, di democrazia, di società, di lavoro. Se questo non avverrà, nemmeno il pur comprensibile tentativo di impedire a Salvini di impadronirsi del Quirinale per interposta persona riuscirà a realizzarsi. E nel frattempo la sinistra non si sarà assottigliata, ma sarà semplicemente sparita.

Di tutto questo Angelo Floramo e io dialoghiamo da mesi in “Fatti non foste…”, sottotitolato “Dialogo su cultura, valori e democrazia”. Se ne avete voglia, potete ascoltare questo dialogo, che stiamo portando in giro in regione, nella versione che abbiamo portato al Centro Balducci. Ecco il link: Fatti non foste...

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martedì 15 ottobre 2019

Illusionismo politico

Il taglio dei parlamentari già soltanto a livello matematico mette in crisi la rappresentanza. Se poi lo combiniamo con realtà già esistenti come le liste bloccate e decise dalle segreterie e la cancellazione delle preferenze, e con progetti sciagurati come il vincolo di mandato, allora è proprio il concetto di rappresentanza a non esistere proprio più e, quindi, anche quello di democrazia rappresentativa diventa talmente diafano da far temere che stia proprio scomparendo.
 
Ma se la nuova legge costituzionale (per la quale sembra che nessun partito, né alcuna regione si stia dannando per richiedere il referendum) mette in crisi la rappresentanza anche dal punto di vista geografico, esiste una rappresentanza politica che è già in crisi da tempo e che non c’entra nulla con la riduzione dei parlamentari: mi riferisco al fatto che ormai i cittadini che hanno idee di sinistra, o anche di centrosinistra, di rappresentanti dei propri valori e delle proprie idee non ne vedono praticamente più.

A prima vista può sembrare il contrario visto che Salvini è uscito dalle stanze del governo dove sono entrati, invece, i rappresentanti del Pd e di Leu che teoricamente sarebbero la parte sinistra, mentre il centro spetta all’Italia viva di Renzi e mentre i 5stelle continuano a muoversi come palline di flipper che rimbalzano più per le volontà di Grillo e della Casaleggio Associati che per motivi politici, tenendo sempre in primo piano le necessità della propaganda rispetto ai reali bisogni sociali.

Lasciamo pur perdere i più che legittimi legittimi dubbi che ti assalgono quando vedi un partito che dice di guardare a sinistra e che, nello spazio di poche ore, accoglie sia Laura Boldrini, sia Beatrice Lorenzin, ma vi sembra che in quasi un mese e mezzo un partito anche vagamente di sinistra non avrebbe almeno tentato di radere al suolo i cosiddetti “decreti sicurezza” dell’ex ministro degli Inferni? Che sui punti economici della legge finanziaria si sarebbe fatto irretire dalla serie di veti dei 5stelle, tra cui quello di toccare quella quota 100 che sta creando nuove discriminazioni tra i pensionati? Che avrebbe esplicitamente negato la volontà di insistere sulla necessità di dare spazio allo “ius soli”? Che in Umbria avrebbe dato il suo assenso al concetto di vincolo di mandato? Che a Roma avrebbe smesso di considerare incapace e indegna la sindaca Raggi? Che avrebbe osservato in silenzio un incapace come l’attuale ministro degli Esteri traccheggiare davanti alla vergogna di Erdogan che assale un popolo come i curdi al quale era stato assicurato il diritto a un suo Stato e che merita la nostra riconoscenza perché è stato in prima linea con le sue donne e i suoi uomini per fermare l’Isis? Che accetta che le preoccupazioni maggiori non siano riservate a un nuovo genocidio di conquista, ma alla minaccia di Erdogan di mandare in Europa altri milioni di profughi di guerra?

Il fatto è che Pd, Leu e Italia viva, sostenendo i 5stelle che, per paura di ammettere un errore, non vogliono cambiare le malefatte politiche di cui sono stati complici consapevoli della Lega, diventano essi stessi complici dei 5stelle e, per induzione diretta, dei provvedimenti voluti da Salvini e che non vengono più cambiati.

Allora, la domanda è: perché mai la prossima volta uno di sinistra dovrebbe votare per il PD, o per Leu (ammesso che esista ancora al di fuori del Parlamento)? Per Italia viva e i M5S la domanda neppure si pone.

E il forte sospetto è che questa situazione sia addirittura peggiore della precedente perché non soltanto non cambia quanto di umanamente orrendo è stato fatto da Salvini (ci sono navi con naufraghi a bordo che ancora oggi aspettano giorni, da questuanti, prima di avere il permesso di entrare in un porto e ci sono ancora e sempre più frequenti episodi di razzismo esibiti quasi con spavalderia), ma che addirittura stia impedendo un cambiamento creando una specie di sonno delle coscienze indotto con la paura di un ritorno di Salvini al governo e di ulteriori peggioramenti.

Ma, forse, è proprio questo sonno indotto a fare più male di tutto. Quando il ministro degli Inferni se ne usciva con le sue esplicite bestemmie civili, a sinistra c’era almeno un istintivo moto di indignazione, di rabbia, di ribellione. Ora il sonno indotto ha assopito in troppi anche questi benedetti moti dell’animo.

A guardare coloro che oggi si fanno chiamare politici di centrosinistra, la sensazione è quella di trovarsi davanti a degli illusionisti che riescono a convincere il pubblico che la realtà sia quella che loro fanno apparire grazie a qualche trucco, e non quella che realmente esiste. Poi, si sa, ogni trucco, anche il più sofisticato, prima o poi viene svelato, ma se questo può essere di soddisfazione per un pubblico che ama i prestigiatori, non può certamente esserlo per dei cittadini che amano la democrazia. E non soltanto perché non hanno più nessuno per cui votare, se non con entusiasmo, almeno con la coscienza a posto, ma perché intanto i danni inferti alla società diventano irreparabili.


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martedì 8 ottobre 2019

La forza del ricatto

L’assurda, istintiva tentazione sarebbe quella di dire: «Fate quello che volete senza rompere troppo le scatole. Per quanto mi riguarda, mi curo un angolino nel quale vivere, o sopravvivere, nel modo migliore possibile». Ma sarebbe concedere un altro regalo a coloro che vogliono proseguire sulla strada della distruzione della nostra democrazia – i 5stelle – e che lo fanno deliberatamente sfruttando l’arma del ricatto al quale il PD e anche LEU si sono inchinati.

Il taglio dei deputati (da 630 a 400) e dei senatori (da 315 a 200) e degli eletti all’estero (da 12 a 8 e da 6 a 4) è stato approvato alla Camera, in quarta e ultima lettura, con 553 sì, 14 no e 2 astenuti. In pratica hanno approvato il mutamento costituzionale sia le forze di maggioranza (M5S, PD, Italia Viva, LEU), sia quelle di opposizione (Forza Italia, Lega, Fratelli d'Italia). Soltanto +Europa ha votato contro e ha protestato in piazza Montecitorio.

Si potrebbe cavarsela ricordando che la grande forza della democrazia consiste nel fatto che non sempre chi ha la maggioranza è anche nel giusto e che i meccanismi democratici permettono le correzioni, ma questa volta il tradimento dello spirito costituzionale è talmente evidente che ogni rapporto, anche di velata simpatia, o di teorica non lontananza con qualunque di questi partiti non può non esserne uscito compromesso in maniera terribile.

Se si voleva risparmiare, bastava calare di un terzo stipendi e benefit di deputati e senatori; se si voleva rendere il Parlamento più efficiente sarebbe stato necessario valutare seriamente la qualità culturale e intellettiva degli eletti e non la loro quantità. Se si voleva far sembrare gli eletti più vicini al popolo sicuramente non si doveva massacrare il concetto di rappresentanza, sia perché i piccoli partiti ben difficilmente riusciranno a entrare negli emicicli, sia in quanto, se oggi un deputato rappresenta 96.006 abitanti, dalla prossima elezione ne rappresenterà 151.210; e così per ogni senatori che oggi è il nucleo della democrazia rappresentativa per 188.424 abitanti, mentre domani lo sarà per 302.420.

E i pericoli non si fermano qui perché la destra, che ha votato sì soprattutto per mettere in difficoltà il PD, già parla di presidenzialismo, mentre i 5stelle, che già vagheggiano una democrazia diretta gestita in proprio, continuano a battere sul vincolo di mandato, argomento che vede il PD, almeno in Umbria, non particolarmente granitico nell’opporsi. Eppure, se esistesse il vincolo di mandato, la stessa esistenza del Parlamento avrebbe poco senso: basterebbe una riunione dei capigruppo per decidere qualunque cosa.

Ora che il partito di Zingaretti tema terribilmente di riconsegnare il Paese a Salvini, se il governo cadesse e si dovesse andare a nuove elezioni, è del tutto comprensibile, ma che perché questo non succeda si rischi di affossare definitivamente quella democrazia per la quale tanti sono morti è del tutto inaccettabile.

Il PD e LEU potranno anche aver deciso di votare sì in buona fede per evitare un male immediato, ma comunque restano complici di un furto di democrazia e della distruzione di molte minoranze. È inutile attribuirsi valori di sinistra se il primo dei valori di sinistra – la democrazia, appunto – viene svenduta perché non si ha coraggio di parlare con chiarezza alla gente che poi – e i fatti di questi ultimi anni lo hanno dimostrato abbondantemente – non riesce più a fidarsi nel momento del voto.

Un’altra cosa: questa volta a una maggioranza bulgara in Parlamento sembra corrispondere una consistente visione di segno contrario, tra la gente. Da oggi in poi bisogna lavorare per cancellare questa legge, esattamente come si deve fare – anzi, come si sarebbe già dovuto fare – con i decreti dell’odio di Salvini.

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sabato 5 ottobre 2019

Populismi morbidi ma perniciosi

Di grossi problemi reali ce ne sono in abbondanza: la crisi economica, quella occupazionale, il crollo etico di una nazione in cui sono troppi quelli che preferiscono veder morire annegati uomini, donne e bambini piuttosto che rischiare di poter essere in qualche modo disturbati nelle loro abitudini, una giustizia che attende da decenni una riforma che renda meno importante la capacità di spesa nella scelta dell’avvocato o del collegio di difesa, una sanità che torna a essere sempre più differenziata tra ricchi e poveri. E potrei andare avanti ancora a lungo.

Eppure sono altre due le questioni che sembrano essere diventate vitali tanto da avere la precedenza sulle altre: ridurre i parlamentari e dare il voto ai sedicenni. Sono davvero importanti? Assolutamente no, ma si inquadrano benissimo nella scia di quel populismo che ormai da anni sta dominando la politica italiana e che, grazie a Salvini e Di Maio, ha raggiunto vertici drammatici. Questa volta il populismo assume aspetti più morbidi, ma ugualmente perniciosi; anzi, forse ancora di più perché rischiano di incidere sulla carta fondamentale che regola la nostra democrazia, la Costituzione, e di disequilibrarla con effetti dirompenti per il futuro.

Il taglio dei parlamentari è l’ultimo cavallo di battaglia di Di Maio che mira a realizzarlo confidando nel fatto che nessun altro partit avrebbe il coraggio di andare esplicitamente contro una proposta demagogica buona per ogni stagione in cui si punta a far emergere il risentimento dei cittadini contro la cosiddetta “casta”. Ma questa volta è la stessa “casta” ad attaccare la “casta” e non certamente per una sete di giustizia che potrebbe essere placata in molti altri modi.

Di Maio, infatti, dice che, cancellando 345 tra deputati e senatori, si risparmierebbero 100 milioni l’anno: anche fosse vera questa cifra (e l’Osservatorio di Carlo Cottarelli la riduce a 60 milioni) resterebbe comunque una frazione infinitesimale in un bilancio dello Stato. Un risultato molto vicino lo si otterrebbe riducendo di un terzo l’ammontare di stipendi e benefit che ai parlamentari toccano. Ma chi di coloro che oggi sono chiamati al voto accetterebbe di vedersi ridurre drasticamente lo stipendio dal prossimo mese?

Parlare dei “costi della politica” è da anni la via più facile per ottenere consenso, apparire dalla parte del popolo, e cavarsela facilmente senza toccare i veri mali che prosciugano le casse dello Stato. Ma non è economico lo stimolo che muove la Casaleggio Associati e altri personaggi ancora in cerca di visibilità: è soltanto politico.

Se il taglio divenisse effettivo, avremmo un deputato ogni 150 mila abitanti e un senatore ogni 300 mila e una riforma di questo tipo distruggerebbe anche quel che resta del principio di rappresentatività territoriale, trasformando ancor di più il parlamentare in una diretta emanazione del leader centrale in un mondo che sembra sempre più dipendente dal carisma e dalla forza di chi è al comando e che, in questo modo diventerebbe ancora più potente e determinante per chi vuole fare politica. Combinate questa considerazione con la proposta di istituire il vincolo di mandato e con la piattaforma Rousseau e vedrete realizzato il sogno di Casaleggio che, in realtà, è l’incubo peggiore per chi crede nella democrazia. Il Parlamento, infatti, diventerebbe un inutile simulacro da lasciare lì per scopi di dissimulazione, ma la politica con le sue decisioni diventerebbe sempre di più un affare privato tra i pochi che possono disporre del numero di voti necessari a prendere le decisioni. Niente più discussioni, niente più valutazioni di chi è esperto in qualcosa, ma soltanto propaganda e voto telematico senza neppure un reale controllo della sua corrispondenza con la realtà.

E adesso guardiamo al voto ai sedicenni per concedere il quale non servirebbe cambiare la Costituzione che, all’articolo 48, recita: «Sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto la maggiore età». Quindi basterebbe cambiare ancora una volta, con legge ordinaria, il limite, che una volta era di 21 anni, portandolo, in questo caso, da 18 a 16.

Tutto risolto? No, perché intanto diventerebbe evidentemente incongruo l’articolo 58 che dice che i senatori sono scelti «dagli elettori che hanno superato il venticinquesimo anno di età». Ma, soprattutto, cambierebbero molte altre cose nella vita di tutti i giorni. La maggiore età a 16 anni, infatti, cancellerebbe molte delle tutele genitoriali due anni prima e, con esse, cambierebbero non poche responsabilità penali. Inoltre cadrebbero anche alcuni divieti, come quello di vendere alcolici ai minori di 18 anni. E l’alcolismo tra i giovanissimi è già oggi una fonte di disperazione.

Tutto questo perché gli attuali segretari, o cosiddetti capi politici dei partiti, sperano di guadagnare qualche voto il più, magari cavalcando l’ondata ambientalista che vede i più giovani tra i maggiori protagonisti, oppure confidando in una loro maggiore influenzabilità per ancora carenti conoscenze. E il dubbio non è peregrino se si considera che la spinta di dare il voto ai sedicenni arriva subito dopo che è stata almeno temporaneamente depotenziato l’insegnamento della storia, dopo aver praticamente cancellato quello della geografia.

Ci si potrebbe rassegnare a veder andare in briciole i principi su cui si fondano le democrazie e tutto questo tra gli applausi di un Paese che vede nella politica il male assoluto, senza capire che cancellando la politica si cancella anche la democrazia. Ma già una volta, tre anni fa, gli italiani hanno dimostrato di essere più maturi dei partiti al potere ed è proprio in loro che va riposta la speranza. Sarà difficile e faticoso, ma prepariamoci a lavorare per un altro referendum costituzionale da vincere a ogni costo per assicurare la democrazia, pur con tutti i suoi difetti, anche ai nostri figli e ai nostri nipoti.

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martedì 1 ottobre 2019

Disagio mentale e sociale

Il sospetto è che siamo tanto distratti dal tentare di capire quello che sta accadendo nel mondo politico a livello nazionale, che lasciamo passare senza grandi reazioni collettive quello che avviene nella nostra Regione.

Guardiamo, per esempio, a quello che sta succedendo nel campo sanitario e segnatamente nel settore delle cure del disagio, o disturbo, mentale. In questi giorni – lo segnala Il Piccolo – le associazioni dei familiari di sofferenti psichici di Trieste e dell’Isontino denunciano «fatti concreti» che sembrano preludere «allo smantellamento di un modello» che riceve apprezzamenti nazionali e internazionali ma, «paradossalmente», è guardato con freddezza dal governo del Friuli Venezia Giulia.

A denunciare questa situazione, che ovviamente riguarda anche i territori delle ex provincie di Udine e di Pordenone, non sono soltanto firme sconosciute, ma anche personaggi come Peppe Dell’Acqua, braccio destro di Franco Basaglia, il riformatore della disciplina in Italia, che afferma: «Sembra quasi che gli amministratori in carica la vogliano finire con lui». O come Roberto Mezzina, pure lui nel gruppo di lavoro basagliano, fino a ieri, prima di andare in pensione, direttore del Dipartimento di salute mentale e primario del Csm di Barcola, che, citando il piano regionale approvato nel febbraio 2018, lo definisce «il più brillante che io abbia mai visto in Italia nei miei quarant’anni di carriera », per poi affermare: «Questo piano si è sostanzialmente fermato e non ci sono certezze su ciò che verrà».

Insomma, le ipotesi di indebolimento dei Dipartimenti di salute mentale, che nella regione si occupano di circa 20 mila utenti con disturbi severi, fanno temere la crisi dei servizi tesi a sostituire l’ospedale psichiatrico e costruiti con grande fatica nel corso degli anni.

A tutto questo l’assessore regionale alla Sanità, Riccardo Riccardi, risponde negando che ci sia una bozza di riforma anche se poi, però, afferma che sarà resa nota entro questa settimana. Ma poi continua: «Ho grande rispetto per le conquiste che il sistema della salute mentale è riuscito a ottenere in questi anni, ma non posso non rilevare come ci sia una sorta di azione diretta e indiretta che avanza. Ma il mondo va avanti e gli psichiatri non possono pensare anche di governare. Perché, a decidere, è il Consiglio regionale. Sia chiaro che non funziona più così. Non funziona come quando Rotelli dettava la linea».

Cioè, detto in soldoni, non sono gli esperti a dire quello che è più giusto fare, anche in campi così delicati e specialistici come la psichiatria, ma sono soltanto i politici, o gli amministratori, a decidere quello che a loro sembra meglio. Un ottimo sistema per dilatare il disagio mentale fino a farlo diventare disagio sociale.

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