Al di là del fatto che nel recentissimo Decreto legge deciso dal Consiglio dei ministri meloniano si specifica che il trattenimento nei Centri di permanenza per i rimpatri sarà alzato al limite massimo consentito dalle attuali normative europee: 6 mesi, prorogabili per ulteriori 12, per un totale di 18 mesi, la decisione del truce ministro Piantedosi fa balzare immediatamente agli occhi la mentalità di chi lo ha voluto: Salvini e, di conseguenza, la Meloni.
La prima evidenza è quella che, ponendosi su posizioni diametralmente opposte rispetto alle parole e ai gesti di Papa Francesco, il rappresentante in Terra di quel Dio che la Meloni dice di voler difendere, la presidente del Consiglio fa di tutto per rendere difficile, se non impossibile, la fuga di chi vuole scappare da guerre, dittature sanguinarie, crisi climatiche, carestie e malattie curabili da noi, ma non in quei posti.
La seconda riguarda il fatto che ben poco la Meloni fa, anche se urla il contrario, per intraprendere una «guerra agli scafisti in tutto il globo terracqueo». Molto più semplice è prendersela con i più deboli, con quelli che già rischiano la vita propria e quella dei propri cari allo scopo di conquistare almeno la speranza. E continuare a dare soldi, navi e armi a quei regimi sotto i quali a prosperare sono proprio quegli scafisti che – com’è ben illustrato in “Io capitano” di Matteo Garrone – ormai non si assumono più nemmeno il rischio di mettersi in mare.
Il terzo aspetto mette in luce sia la tentazione di monetizzare tutto, di fissare un prezzo per la libertà, sia il disprezzo per la nostra Costituzione che sicuramente – dovessero disgraziatamente riuscire ad aumentare la loro maggioranza – vorrebbero cambiare. Chiedere a poveri cristi, già depredati dai mercanti di esseri umani per terra e per mare, di tirare fuori poco meno di 5.000 euro vuol dire parificarsi proprio a quegli scafisti che si dice di voler sconfiggere. E poco cambia per chi – già in povertà – si sente raggiungere da una telefonata di minacciosa richiesta di altri soldi, sentire la promessa che prima o dopo, se il migrante si sarà comportato bene, quella somma sarà restituita.
Non meno gravi sono le considerazioni costituzionali: chiedere una simile cifra ai ragazzi, agli uomini e alle donne che vediamo vagare nelle nostre strade significa stabilire che anche tra i poveri ci debbano essere delle discriminazioni: chi riesce ad avere dei soldi può salvarsi da una detenzione imposta anche senza la minima corrispondenza con un qualche reato, mentre quelli più poveri devono rassegnarsi a veder chiudere i cancelli dopo il loro ingresso perché colpevoli di essere poveri senza scampo.
Eppure la Costituzione, nell’articolo 3, specifica che «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono…».
A questo punto a Salvini e camerati, che sicuramente diranno che i migranti non sono cittadini italiani, bisognerebbe ricordare l’articolo 10 in cui è scritto: «Lo straniero, al quale sia impedito nel suo Paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d'asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge».
Certamente la destra ha la maggioranza nel Parlamento, ma dovrebbe essere doveroso cercar di far vedere che questa maggioranza può verificarsi soltanto con questo sistema elettorale e soprattutto con l’abbandono delle urne. Stare zitti ci fa diventare complici e, quindi, colpevoli.
Provate a pensare a quanti esseri umani in più sarebbero stati uccisi nei Lager nazisti se l’accoglienza praticata da tanti Paesi non ci fosse stata, o se fosse stata subordinata alla disponibilità economica dei perseguitati.