venerdì 26 aprile 2019

Anche oggi è il 25 aprile

Il calendario dice che oggi è venerdì 26 aprile. Sarà anche vero, ma deve essere altrettanto vero che anche oggi è il 25 aprile e che il titolo che deriva da questo concetto sarà da utilizzare pure domani, dopodomani e in ogni altro giorno a venire. Perché l’impegno a ricordare che la nostra Repubblica si fonda sull’antifascismo, e ad agire di conseguenza, non può e non deve essere circoscritto a un solo giorno l’anno.

A dimostrarlo sono i rigurgiti di fascismo, vere e proprie flatulenze mentali, che hanno insozzato varie parti d’Italia: da Marsala dove sono apparsi simboli delle SS, croci uncinate, croci celtiche e frasi fasciste, a Roma dove è stato esposto uno striscione con la scritta “Basta con l’antifascismo”, a Bologna dove è stata danneggiata una lapide commemorativa della Resistenza, a Grosseto dove sono state imbrattate di vernice la lapide dedicata a partigiani ammazzati dai nazifascisti, a Milano dove, dopo l’orrendo striscione “Onore a Mussolini” spiegato a pochi passi da piazzale Loreto e condito da saluti romani e urla fasciste, è stata incendiata una corona d’alloro deposta per ricordare un altro partigiano ucciso.

A dimostrarlo c’è l’assordante silenzio di quello che si ostina a definirsi ministro degli Interni, ma che non ritiene di sprecare neppure una parola davanti ai reati che ho appena elencato.

A dimostrarlo sono anche gli illuminati e preoccupati richiami del presidente della Repubblica Mattarella che a Vittorio Veneto, pur non citando Salvini al quale però devono essere fischiate le orecchie, ha ammonito che «La storia insegna che quando i popoli barattano la propria libertà in cambio di promesse di ordine e di tutela, gli avvenimenti prendono sempre una piega tragica e distruttiva» e ha ricordato che «L’Italia pone i suoi fondamenti nella dignità umana, nel rispetto dei diritti politici e sociali, nell’eguaglianza tra le persone, nella collaborazione fra i popoli, nel ripudio del razzismo e delle discriminazioni».
Ieri in piazza per ricordare la lotta partigiana e la liberazione si era in tanti, a occhio più che negli anni scorsi e anche con tanti giovani, dimentichi per un giorno delle baruffe intestine sulle pur importanti sfumature, per ricordarsi che davanti a un nemico comune bisogna fare fronte comune. E in tanti hanno ripreso a guardarsi per tentare di riuscire di nuovo a riconoscersi.

Forse, paradossalmente, dovremmo ringraziare proprio i fascisti e Salvini se oggi, angosciati da quello che sta accadendo nel nostro Paese e intristiti dal pessimismo per il futuro dei nostri giovani, finalmente cominciamo a renderci conto che se non ci affrettiamo a fare qualcosa, continueremo a vedere sempre più in pericolo quella strada di progresso che ha portato la nostra civiltà a ridurre la violenza e ad ampliare i diritti; continuaremo a temere sempre più concretamente un inversione di tendenza brusca e traumatica che – come aveva previsto in tempi non sospetti Karl Popper, che certamente comunista non era – rischia di mettere in pericolo l’esistenza stessa della nostra civiltà.

Il problema – dobbiamo avere il coraggio e l’umiltà di dirlo – è che abbiamo buttato via, almeno per una certa parte, i nostri valori. Lo hanno fatto – e sto usando termini apparentemente desueti – comunisti, socialisti, cattolici, liberali; inizialmente lo hanno fatto persino i fascisti; perché anche loro avevano delle convinzioni, anche se per me sono dei disvalori. Li abbiamo buttati via illudendoci che senza valori ci saremmo potuti avvicinare l’uno all’altro in una sorta di fatale attrazione in un posto paludoso, indistinto e ritenuto vincente che molti, per comodità, chiamano centro, ma che io non voglio definire così, perché anche il centro è stato politicamente degno. E abbiamo tentato di avvicinarci facendo ressa tutti insieme, cercando di farci belli e di attrarre simpatie, imitando gli altri quando questi stavano vincendo, truccandoci e travisando il nostro volto e il nostro pensiero, perché era più importante catturare un voto che compiere un’azione degna. Ma in definitiva non siamo riusciti ad attrarre nessuno perché il vuoto, dopo un primo senso di disorientante vertigine, non attrae mai nessuno, ma, anzi, dà un senso di repulsione.

E il risultato è che c’è stata sempre meno gente che si è avvicinata al voto, alla politica, alla partecipazione, al vivere sociale. E contemporaneamente non ci siamo sentiti più vicini agli avversari di una volta perché siamo rimasti completamente estranei. E contemporaneamente abbiamo perduto molti amici perché senza valori di riferimento non li riconoscevamo più, né loro riconoscevano noi. E contemporaneamente abbiamo perso anche il rispetto di noi stessi.

E soltanto adesso, quando abbiamo percepito questo vuoto, quando abbiamo sentito il rodere del rimorso provocato dal nostro peccato di omissione – il più grave perché l’unico sicuramente deliberato – abbiamo cominciato a tentare di tornare a pieno titolo umani, a ritenere nuovamente che la nostra vita privata e pubblica non possano esistere senza etica, che la politica non possa esistere senza etica, che il lavoro non possa esistere senza etica, che l’economia non possa esistere senza etica, che la finanza, raffinata e spietata usura moderna, così com’è non possa esistere e basta.

Quindi, se il calendario dice che oggi è il 26 aprile, sarà anche vero, ma lo spirito deve restare quello del 25 aprile, E, se vogliamo che questa maledetta notte finisca, così dovrà essere anche domani, dopodomani e ogni giorno a venire.

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mercoledì 24 aprile 2019

La resistenza non è di tutti

La domanda, assolutamente semplice, è: «Chi collabora con coloro che hanno nostalgia del fascismo può celebrare degnamente la Resistenza?». La risposta, altrettanto semplice, è: «No». E, allora, come può essere che i palchi delle manifestazioni del 25 aprile siano infestati da personaggi che finora, se mai hanno parlato della Resistenza, lo hanno fatto non per ringraziare coloro che hanno messo a repentaglio la propria vita, o addirittura l’hanno sacrificata, per regalarci democrazia e libertà, ma per sottolinearne i pochissimi momenti bui, inevitabili in una guerra.

Dai palchi sentiremo parlare molti di coloro che giustamente dicono che la Resistenza è stata fatta da tutti gli antifascisti, dai monarchici ai comunisti, ma che, contemporaneamente affermano incredibilmente anche che quelli di sinistra sono gli unici che non hanno più diritto di parlarne. O quelli che, ogni volta che si parla di fascismo, di nazismo, di leggi razziste, di deportazioni e di genocidi, continuano a passare subito al ricordo delle foibe titine, come se prima di queste con ci fossero state anche quelle fasciste e come se un orrore potesse cancellarne un altro. O, ancora, coloro che continuano a sostenere che ormai i concetti di destra e sinistra non esistono più perché politicamente loro conviene tentare di creare un caos indistinto nel quale poter seppellire ogni valore ideale sul quale sarebbero quantomeno carenti per privilegiare, invece, le facili promesse, l’abilità oratoria, la capacità di creare paure sulle quali poi lucrare per accumulare voti e potere. E poi ci sono anche quelli che il potere l’hanno raggiunto e che, per timore di perderlo, sono stati a lungo ben attenti a non disturbare i loro compagni di strada che il fascismo non l’hanno mai considerato un reato quale in realtà è.

Si dice che non bisogna disturbare la sacralità della celebrazione della Resistenza e della Liberazione. Si dice che non bisogna cadere nelle loro provocazioni. Ebbene, io credo che sia il silenzio davanti a impudenze di fascisti e assimilati a contaminare la sacralità del 25 aprile. La Resistenza non è stata, non è e non sarà mai di tutti.

Dicono che è una ricorrenza divisiva? Hanno ragione ed era una benedizione perché divideva nettamente i fascisti dagli antifascisti. E non è che, perché oggi i fascisti e i razzisti sono aumentati, il compito del 25 aprile sia cambiato. Anzi: è il momento in cui questa divisione sulla quale si è fondata la nostra Repubblica dovrebbe essere valorizzata, sia per segnare sempre nettamente la differenza incolmabile tra queste due categorie dell’essere, sia perché sia chiaro anche ai giovani i quali, a sentirsi dire che Mussolini ha fatto soltanto alcuni sbagli, potrebbero anche pensare che sia così, mentre in realtà il suo peccato originale è proprio la costruzione del fascismo e l’instaurazione di una dittatura, due ambiti all’interno dei quali nulla può essere giusto o utile.

La Resistenza non è di tutti e, quindi, il mio “Buon 25 aprile” va soltanto a coloro che davvero sanno quello che questa data significa davvero.


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mercoledì 17 aprile 2019

Naufragi di uomini e di civiltà

Potrebbe essere che le tensioni causate all’interno del governo, tra Viminale e ministero della Difesa, dalla terza direttiva firmata da Salvini sul contrasto all’immigrazione clandestina possa portare allo sgretolamento dell’alleanza di governo, anche se credo che ci vorrebbe ben altro per indurre Di Maio a rinunciare alla sua poltrona. Eppure è dall’entourage di una sua ministra, Elisabetta Trenta, che arriva la violenta protesta contro la chiusura dei porti decisa da Salvini per bloccare le navi umanitarie. «È una vera e propria ingerenza – dicono fonti dello Stato maggiore della Difesa citate da un’agenzia di stampa e non smentite – senza precedenti nella recente storia della Repubblica. Quel che è accaduto è gravissimo perché viola ogni principio, ogni protocollo e costituisce una forma di pressione impropria nei confronti del Capo di Stato Maggiore della Difesa, generale Enzo Vecciarelli. Non è che un ministro può alzarsi e ordinare qualcosa a un uomo dello Stato. Queste cose accadono nei regimi, non in democrazia. Noi rispondiamo al ministro della Difesa e al Capo dello Stato, che è il capo Supremo delle Forze armate».

Ma quello che mi colpisce non è tanto la qualità dello scontro istituzionale, ma il fatto che si sta baruffando su competenze e attribuzioni e non sulla sostanza delle cose, da cui tutto discende: la negazione di uno dei caposaldi del comportamento umano: il salvataggio di altri esseri umani in pericolo. Soprattutto se sono in mare.

A vedere quello che accade oggi, appare chiaro perché tanto i nostri governanti lottano per far sparire la cultura colpendo la storia e la classicità: ci sarebbe troppo su cui pensare e il pensiero è sempre pericoloso perché può anche provocare un “No” deciso, se quello che accade è contro il nostro essere, o, in caso contrario, far pesare il fatto che nel non intervenire si diventa inevitabilmente complici.

E in questi giorni non può non venire in mente uno dei classici che si studiavano a scuola. Nel primo libro dell’Eneide Virgilio descrive la tempesta che travolge le navi dei troiani in fuga dalla loro città cancellata dalla guerra e il loro arrivo sulle coste di Cartagine dove Didone, anche lei esule dalla sua città, Tiro, accoglie i superstiti. A rileggere quei versi non si può non notare che, allora come ora, sono troppi i morti, sono troppi i cadaveri che invano per un po’ si rifiutano di diventare tali prima di sparire nelle profondità del Mediterraneo. Ci si rende conto che quei versi che una volta si leggevano con i ritmi della metrica, oggi non sono altro che drammatica cronaca quasi quotidiana.

Oggi ancora una volta, a distanza di tanti secoli, si potrebbe parlare di «rari nantes in gurgite vasto», pochi naufraghi che nuotano nel vasto gorgo, o nell’immenso e desolato mare. Ma a rileggere l’emistichio di quel verso, questa volta il nostro accento cade inevitabilmente su quel “rari” perché sono pochissimi quelli che riescono a restare a galla dopo che i gommoni, sfondati e sgonfi, li hanno sprofondati nell’acqua, in quel “gurgite” che resta terribilmente “vasto”.

Passa via quasi distrattamente, invece, il pensiero che l’intera locuzione “rari nantes” per decenni è stata usata come parte del nome di tante società di nuoto e pallanuoto. Ma a quei tempi, nell’era ante Salvini, l’Eneide poteva essere usata anche soltanto come prezioso forziere di dotte citazioni poetiche; ora, come tanti altri classici, è diventata una specie di salvagente letterario che può fornirci spunti di galleggiamento etico e morale preziosissimi, se non indispensabili, in quel tempestoso e magmatico mondo in cui tanti hanno operato per distruggere tutti i punti fermi che hanno permesso all’uomo di migliorare il mondo in cui vive prima che questa maledetta notte cominciasse ad allungare la sua oscurità su di noi.

E, dato che ci siamo, fermiamoci ancora per un momento sul poema epico di Virgilio, quando Enea dice di aver perso le sue navi e tanti suoi compagni, tanti fuggitivi dalla guerra, «unius ob iram», per l’ira di uno soltanto. Virgilio, tramite Enea, si riferisce alla dea Giunone, da sempre incattivita con i troiani, ma anche oggi – e non me ne voglia Giunone per l’irrispettoso paragone – c’è una sola entità, e non certamente divina, che tiene tutto il potere di vita e di morte nelle sue mani e che – in questo caso sì – come Giunone, è animato dai peggiori sentimenti di ira e di repulsione indiscriminata nei confronti di intere etnie, impedisce a gruppi di profughi di raggiungere l’Italia, la stessa meta di Enea, preferendo lasciarli annegare.

E non può consolarci il fatto che gli dei dell’Olimpo non esistono più e che anche Salvini, che non è neppure un semidio, prima o dopo sparirà. Comunque, ora come allora, «Sunt lacrimae rerum et mentis mortalia tangunt», sono le lacrime delle cose e le vicende mortali commuovono gli animi. Allora si parlava di Troia incendiata e di cadaveri sparsi tra le sue mura. Oggi ci si riferisce a interi Paesi in cui vivere è un rischio altissimo e di bambini morti a centinaia. Lacrime per chi è ancora umano e, quindi, sa ancora piangere.

Un’ultima cosa. Nelle sue frequenti invasioni di campo questa volta Salvini, dopo essersi travestito da sceriffo per la cosiddetta “legittima difesa”, ha indossato anche la felpa del ministro della Giustizia e ha reclamato pene severe per quei giudici che hanno mandato in galera un innocente. Mi piacerebbe sapere, se non fosse proprio lui il protagonista, cosa penserebbe di chi condanna a morte tante persone innocenti perché c’è la possibilità, neppure la probabilità, che sullo stesso barcone ci possa essere anche un terrorista che, quasi sicuramente, con gli aiuti e gli appoggi di cui gode, pratica sempre strade molto meno pericolose.

E qui non si parla di errori giudiziari, ma di deliberate condanne a morte di innocenti in fuga per necessità.

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domenica 7 aprile 2019

Prima l'Italia

Salvini (scusate se comincio con questa parola) ama dire «Prima gli italiani». Personalmente vorrei invece sentir dire «Prima l’Italia», perché francamente non riconosco più questo Paese. Mi sembra di essere diventato straniero in una nazione che mi è appare aliena; che non è più quella di non tantissimi anni fa; che ha subito una mutazione orripilante causata da un bacillo che si chiama odio e che è stato inoculato scientemente allo scopo di creare paura, di far desiderare sicurezza, anche se già c’era e, anzi, era aumentata considerevolmente, di far votare per chi afferma che darà ulteriore teorica sicurezza, magari armando chi lo desidera.
Parliamo di un Paese che corre il rischio di avviarsi lungo una china già troppe volte percorsa nella storia, in quella storia che un ministro dello stesso Salvini ha pensato bene di togliere dall’esame di maturità per disinnescarne i possibili effetti, visto che, a conoscerla, magari si potrebbe non ripeterne gli errori e gli orrori.

Non credete che l’Italia sia cambiata profondamente? Pensate all’incredulità che si prova nel sentire una giovane romana che dice, con gli occhi spiritati: «Io odio i rom. Io li brucerei tutti». Pensate a come questa frase abbia potuto essersi sedimentata nella sua mente molto probabilmente perché gli orecchi collegati a quel cervello, già reso fertile da un profondo disagio colpevolmente trascurato da chi avrebbe dovuto occuparsene, da anni hanno sentito soltanto parole di odio. Pensate che anche nella Germania di Hitler le insofferenze erano state insufflate per convenienze politiche e poi erano finite nei lager e si erano incanalate nei camini dei forni crematori.

Pensate, poi, al giovane fascista dichiarato, con tanto di saluto romano, che urla in faccia a una poliziotta che tenta di riportare l’ordine e che, poi, sicuro dell’impunità, si cala i pantaloni e fa vedere il deretano alla tutrice dell’ordine che nulla fa, probabilmente perché sa che il cosiddetto ministro degli Interni ama travestirsi da poliziotto, ma ama ancor di più i fascisti che hanno ingrossato la sua platea elettorale.

Pensate, invece, all’uomo che a una manifestazione in cui parla il ministro della Paura si presenta con un cartello su cui è scritta l’insopportabile e provocante frase «Ama il prossimo tuo» e viene privato del cartello e allontanato a forza da agenti in borghese.

Pensate ancora al “capitano” di un partito che ha promosso e sostenuto il cosiddetto convegno delle famiglie di Verona, che si sgola sull’intangibilità del nucleo familiare e poi, davanti alla nave tedesca Alan Kurdi che ha salvato 64 naufraghi, non soltanto impedisce, nonostante le condizioni del mare, l’attracco a Lampedusa, ma anche tenta di disintegrare quelle famiglie, perché evidentemente quelle di pelle più scura sono di categoria inferiore, concedendo lo sbarco per due mamme e due bambini, ma negandolo ai due padri. E le donne, quelle sì, hanno preferito tenere viva la famiglia.

Ditemi se riconoscete questa Italia. Io sinceramente no.

È incontestabile il fatto che in Salvini io vedo la personalizzazione di questa maledetta notte che dovrà pur finire, ma sarebbe stupido pensare che tutto si risolverebbe se il Fregoli delle divise uscisse dalla scena politica. A sostenerlo, infatti, oltre a chi è capace di rinnegare quanto diceva pur di conservarsi la poltrona, c’è una marea di persone che prima aveva altre idee e si è lasciata convincere dagli ossessionanti allarmi e dalle crudeli invettive lanciate quotidianamente contro chi non appartiene alla teorica “razza eletta”. Perché, in realtà, non si tratta di italiani da mettere al primo posto: il 90 per cento dei rom cacciati da Torre Maura, a Roma, ai quali sono stati calpestati i panini perché «dovete morire di fame», sono italiani esattamente come Salvini.

Pensate alle nefandezze di Salvini, ma pensate anche alle colpe nostre, al fatto che i cosiddetti benpensanti hanno pensato bene, ma non hanno parlato, come invece avrebbero dovuto in ogni occasione in cui sarebbe stato necessario controbattere i deliri di odio che hanno stravolto l’Italia; non soltanto nei comizi, ma anche nella chiacchiere da bar, o nelle urla da stadio..

Il fatto che a Roma soltanto un ragazzino di quindici anni, proprio da solo, si sia opposto agli energumeni di Casa Pound ci fa balzare agli occhi il fatto che è incontestabilmente mancato un impegno personale di ognuno di noi per tentare di rendere un po’ migliore il mondo. Perché se Salvini e i suoi razzisti e fascisti sono colpevoli del peccato di opere, chi si defila si macchia coscientemente di quello di omissione. Quando nel Confiteor si dice «…perché ho molto peccato in pensieri, parole, opere e omissioni», l’ordine delle parole non è stato messo lì a casaccio, ma realizza scientemente un ordine crescente di gravità. L’omissione, il restare inerti, il far finta di non vedere è la colpa più grave, perché è sicuramente un atteggiamento non istintivo, ma deliberato, perché è il trionfo dell’egoismo sul bene generale, della pigrizia sul dovere. Perché si possono permettere futuri danni incommensurabili per piccini desideri di tranquillità.

Alieno è sicuramente Salvini, ma per sconfiggerlo è inutile sperare che, come ne “La guerra dei mondi” di Herbert G. Wells, la Terra si salvi in quanto gli alieni sono eliminati dai microbi che per noi sono normali compagni di vita, mentre per loro sono minacce mortali. Quello è un romanzo. Nella vita reale i bacilli e i virus dell’odio nutrono e irrobustiscono loro e finiscono per ammazzare noi, a meno che non usiamo gli antibiotici e gli antivirali a nostra disposizione, che sono i principi e i valori da rimettere in primo piano e una Costituzione che è sicuramente forte, ma che, proprio come le medicine, bisogna decidere di usare; e anche saperla usare.


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