mercoledì 16 settembre 2020

Referendum: il peccato originale

Di Maio: una menzogna determinante
Anche nel dibattito al Centro Balducci tra le ragioni del Sì e quelle del No al referendum di domenica ha trovato spazio l’apparente contraddizione tra una Camera dei deputati che vota a larga maggioranza (ma non tanto larga da evitare il referendum) per la riforma proposta dai grillini e la stessa Camera che raccoglie le firme necessarie, pure tra coloro che hanno approvato la legge, per far indire, appunto, il referendum confermativo
. Dal rappresentante dei 5stelle è stato anche messo in rilievo il forte assenteismo alla votazione finale, un assenteismo che – chissà perché? – con il taglio di 230 deputati e 115 senatori secondo loro sparirebbe.

Due le risposte. Il notevole numero di assenti al momento del voto è stata proprio la prova che l’assenso alla proposta grillina era soltanto di facciata da parte delle segreterie della maggior parte dei partiti. Il PD, infatti, temeva il ricatto di Di Maio e complici di far cadere il governo, senza avere il coraggio di andare a vedere un bluff abbastanza scoperto visto che in nuove elezioni la pattuglia della Casaleggio Associati in Parlamento si ridurrebbe sicuramente a meno della metà. Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia, invece, hanno votato a favore proprio nella vana speranza di far salire in superficie l’incompatibilità tra qualsiasi tipo di sinistra e i 5stelle. Oggi, infatti, buona parte dei dem, ma anche dei forzisti, leghisti e meloniani ha dichiarato che voterà “No”.

Per quanto riguarda l’assenteismo, in questo caso non va neppure tirato in ballo perché il motivo non era dettato da pigrizia, ma da deliberata scelta politica. Gran parte degli assenti, infatti, non era neppure entrata a Montecitorio; altri erano usciti al momento del voto per non rendersi corresponsabili della prima delle nefandezze dei pentastellati contro la Costituzione (le altre due, già presentate come proposta di legge, sono la nascita del referendum propositivo e quella del vincolo di mandato), ma tentando contemporaneamente di non schierarsi apertamente contro il proprio partito.

Spesso, poi, si trascura che a questo punto non saremmo dovuti arrivare non perché il referendum non dovesse essere convocato, ma in quanto normalmente questa proposta di legge non avrebbe dovuto neppure superare i primi passi. Fondamentale in truffa politica è stato il primo slogan di Di Maio – di cui non si parla quasi più – sui presunti grandi risparmi. Lui parlava di un miliardo l’anno, mentre, poiché molte spese parlamentari sono fisse e ineliminabili, in una legislatura – dicono gli esperti – si risparmierebbero circa 285 milioni; 57 milioni l’anno. Vuol dire che, visto che gli italiani sono circa 60 milioni, per mantenere in vita l’attuale situazione basterebbe che ognuno di noi rinunciasse a meno di un caffè l’anno: un sacrificio non troppo pesante per difendere la democrazia.

Tutto questo porta anche a considerare che due sono le ipotesi: o Di Maio mentiva sapendo di mentire, o non conosceva minimamente la creatura che vuole cambiare. In entrambi i casi si può pensare che la richiesta di migliore eticità e competenza dovrebbe riguardare proprio la possibilità di non vedere più in Parlamento personaggi come lui.

Ma il punto fondamentale è un altro: non ci fosse stata questa menzogna iniziale con tutta probabilità la proposta di legge non avrebbe fatto breccia né tra gli stessi 5stelle che in quel momento stavano godendo della loro massima espansione, né tra tanti altri che comunque non vedono l’ora di castigare chi fa politica. Questo avrebbe comportato un minore sostegno alla proposta e soprattutto un minore timore da parte di tutti gli altri partiti di restare esclusi dai dividendi di un populismo che prospera soprattutto proprio sui teorici privilegi della cosiddetta “casta”. In definitiva, il referendum non ci sarebbe perché, senza quel peccato originale, il progetto sarebbe abortito subito.

In ogni caso oggi, se non vincesse il “No”, la conseguenza sarebbe una limitazione dell’ambito delle discussioni con le quali cercare le soluzioni migliori, presentando le proprie idee, confrontandole con quelle altrui, disponendosi a mediazioni e compromessi pur di avvicinarsi il più possibile al bene dei cittadini. A questo proposito, non vorrei usare un vocabolo per lui difficile come “etimologia”, ma se Di Maio e soci avessero analizzato, anche sommariamente, quello che è avvenuto tra il 1946 e il ’48, avrebbero notato che i padri costituenti si sono sempre riferiti a un “Parlamento” e mai a un “Votamento”, perché la funzione principale delle due Camere è, appunto, quella di parlamentare, di discutere i problemi analizzandone ogni sfaccettatura. Il voto è soltanto l’accessorio finale, il momento in cui ognuno decide coscientemente se approvare, o meno, il testo di una nuova legge.

Si dirà che la riduzione di compiti e poteri assembleari è già realtà a livello di comuni, provincie e regioni. In quei casi la vittoria, magari con orrendo turno unico maggioritario, convoglia tutti i poteri nelle mani del sindaco, o presidente, e delle loro giunte, mentre le minoranze non soltanto sono ridotte numericamente a simulacri di democrazia, impoveriti dai premi dati alle maggioranze, ma anche dal fatto che sindaci, o presidenti, e consiglieri di maggioranza sono legati da un doppio e vicendevole ricatto: se il primo si dimette, o i secondi non sono d’accordo, tutti devono andarsene a casa. E molto spesso, pur di non lasciare il seggio, non pochi preferiscono approvare anche qualche provvedimento con cui non sono proprio in sintonia. In quei casi un effettivo, se pur non ufficiale, vincolo di mandato funziona già. Non allarghiamolo.

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venerdì 11 settembre 2020

I perché di un no: 5 - I nemici

I sondaggi dicono che a pochi giorni dal voto il “No” al referendum è in netto recupero, ma è ovvio che soltanto all’apertura delle urne si conoscerà il responso definitivo. Il mio impegno nel sostenere il “No” è motivato dalla speranza che la legge voluta dai grillini sia bocciata, ma mi interessa anche che da questa vicenda coloro che hanno idee di centrosinistra e di sinistra possano trarre insegnamenti per il futuro perché la cosa che più mi spaventa è che sembra che dalle tante sberle che ci siamo presi non abbiamo ancora imparato quasi nulla, se non, forse, il fatto che non possiamo credere che le nostre idee debbano vincere semplicemente perché siamo certi che siano quelle giuste.

Nulla cambierà infatti fino a quando non ci renderemo conto che sono tre i grandi nemici da sconfiggere. Ve li elenco in ordine crescente di pericolosità,

Nel caso di questo referendum i primi sono, anche se per motivi e con obbiettivi diversi, coloro che non amano la nostra Costituzione, quelli che vogliono cambiarne tessuto e sostanza, che rifiutano la democrazia rappresentativa e tendono a riporre più potere nelle mani di meno persone.

I secondi sono gli indifferenti, per ignoranza o ignavia. Ma anche coloro che sono talmente schifati dalla situazione politica e sociale che preferiscono non votare, o addirittura votare “Sì” «per fargliela vedere a quelli là», perché «tanto non cambierebbe nulla e io comunque alle prossime elezioni non saprei per chi votare». Mi ricordano coloro che davanti a uno tsunami che sta per scaraventarsi su di loro se ne stanno fermi perché «tanto chi mi assicura che l’onda non mi travolgerà anche lassù in alto dove potrei anche riuscire ad arrivare».

I terzi, i più pericolosi, siamo noi stessi, impegnati più a distinguere le pagliuzze negli occhi dei vicini che le travi in quelli dei lontani, avversari o nemici che siano. Siamo disposti a dedicare ore ad arzigogolare su particolari e su intransigenze assortite, ma molto meno aperti a impegnarsi nella propaganda che non è soltanto quella fatta di discorsi, o interviste alla televisione, o sui giornali, ma molto di più di dialoghi quotidiani, con i parenti, gli amici, i colleghi, coloro che ti sono vicini mentre fai la spesa, o sei in fila in qualche ufficio.

Una volta lo sapevamo perfettamente; ora sarebbe il caso di ricordarlo: una maggioranza silenziosa diventa davvero maggioranza soltanto quando smette di essere silenziosa. E il nostro diffuso stare zitti non mette in evidenza dignità, ma soltanto un colpevole peccato di omissione, ben più grave di quelli di pensieri, parole e opere.

Se vogliamo davvero veder finire questa maledetta notte che sembra interminabile, facciamoci sentire e non solo in queste ultime due settimane, ma davvero per sempre.
Mi rendo conto che i prevalenti interessi di bottega politica, la mancanza di tempo e i sacrosanti divieti di assembramento sono stati e sono formidabili ostacoli alla propaganda per il “No”, ma la speranza e la determinazione devono essere le ultime a morire. Anche tre anni fa i “No” all’inizio erano dati largamente perdenti e poi abbiamo visto come fortunatamente è finita.

Spero fortemente in un bis e, quindi, dico che fino all’ultimo secondo dovremo fare tutto quanto sta nelle nostre possibilità per far cancellare questa legge.

Del resto, quali sicurezze può offrire la vita? L’unica certezza assoluta è che quando ti arrendi hai perso e finisci per trascinare con te anche altri che magari non vorrebbero assolutamente accettare una simile fine.

Ripeto: votare “No” non è una scelta, ma l’unica strada possibile se si crede ancora nella democrazia rappresentativa. Anche perché le dittature del XXI secolo sono e saranno molto più sofisticate di quelle del secolo scorso, ma non meno efficaci e non meno spietate.

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I perché di un no: 4 - Le necessità

Colpisce molto, ma non stupisce, che i 5stelle pensino di cambiare le cose puntando sulla quantità e non sulla qualità. Eppure dovrebbe essere evidente per tutti che perché un sistema politico funzioni, sia esso proporzionale o maggioritario, occorre che ci si affidi a gente preparata. Ed è proprio questo lo snodo fondamentale per decidere di bocciare questa legge: bisogna lavorare sulla qualità e non sulla quantità di senatori e deputati.

L’articolo 49 della nostra Costituzione afferma il diritto dei cittadini «di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale». Spiace dover tirare di nuovo in causa Gelli, ma sarebbe delittuoso dimenticare che tra i suoi obbiettivi c’era anche quello della «riduzione dei partiti di massa a reti di club orbitanti attorno a un’oligarchia autolegittimata e a un leader carismatico». Ed è evidente che oligarchie e leader carismatici campano molto più tranquilli in paludi di ignoranza che in mari in cui il ribollire di idee può far traballare qualche loro decisione; soprattutto se sbagliata. Poi, addirittura, le capacità di alcuni potrebbero minare l’autorità di chi stila le liste bloccate a proprio piacimento per assicurarsi amici fedeli e non necessariamente intelligenti.

E, infine, potrebbe far fastidiosamente ricordare, magari anche ai promotori della legge che spero riusciremo a cancellare, che l’articolo 67 della Costituzione recita: «Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato».

Ma torniamo ai partiti che erano considerati come aggregazioni organizzate di persone che avevano ideali sociali abbastanza simili, come collettori di istanze popolari da trasmettere ai poteri legislativi ed esecutivi e come organismi ai quali era deputata la scelta della classe politica futura. Nelle prime due funzioni i moderni partiti, o movimenti, sono stati terribilmente carenti sia perché è diventato fastidioso parlare di ideali e di coscienze, cioè di ideologie, sia in quanto il mondo della politica ha perduto troppi contatti con quello nel quale dovrebbe vivere. Ma è stata la funzione educatrice e formatrice a essere quella più fallimentare.

Una volta la selezione interna era attenta, rigorosa e presupponeva quasi sempre un lungo apprendistato con responsabilità crescenti. Il risultato era che in Parlamento arrivavano persone quasi sempre preparate e convinte delle proprie idee. Poi tutto questo è finito: i posti in lista sono diventati una specie di assalto alla diligenza in cui vince chi promette di portare più voti alla causa, o chi, con la Piattaforma Rousseau, in certi casi si limita a racimolare i voti di qualche decina di amici. Competenza e preparazione non c’entrano più e chiedere ai partiti di oggi di fare spontaneamente una legge che regolamenti la vita dei partiti stessi è pure fantascienza perché corrisponderebbe a una specie di suicidio.

In queste condizioni ridurre il numero dei parlamentari, ben lungi dall’indebolire la cosiddetta casta, finirebbe per rafforzarne il potere.

Altra necessità è quella di mettersi seriamente a studiare – ma anche in questo caso ci vuole competenza ed esperienza – se e come migliorare l’architettura costituzionale lasciando inalterate le garanzie e migliorando non la produttività, visto che, semmai, le leggi in Italia sono già troppe e spesso in contrasto tra loro, ma la qualità e la comprensibilità; eliminando quei bizantinismi fatti di vocaboli astrusi e di decine e decine di rimandi ad altre leggi che consentono una pur parziale comprensione soltanto a pochi e che aumentano di svariate volte le occasioni di scontri giudiziari.

E assolutamente necessario è anche non demandare a scatola chiusa, con una delega in bianco, una riforma costituzionale a un futuro Parlamento ridotto. Ci preoccupiamo per il prossimo Presidente della Repubblica e non per una Costituzione magari fortemente diversa? Come si può parlare, infatti, di riforme strutturali della nostra democrazia, senza neppure accennare a quale potrebbe essere la nuova ingegneria parlamentare. Forse quella di Renzi già bocciata tre anni fa? Oppure l’elezione diretta di un premier come da sempre auspicato dalla destra? O, ancora, con una cosiddetta “democrazia diretta” come sognato dalla Casaleggio Associati?

La storia ci ha insegnato che commettere errori non è facile, grazie alle guarentigie costituzionali, ma che ci si può riuscire. Il fatto è che tornare indietro è ancora più difficile.

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giovedì 10 settembre 2020

I perché di un no: 3 - I fariseismi


Al di là delle menzogne e dei pericoli insiti nei veri obbiettivi dei cambiamenti proposti, a preoccupare sono anche i fariseismi che probabilmente riescono a fare anche danni maggiori. Infatti finiscono per mettere in dubbio l’intera validità politica e sociale di coloro che con miopia tentano di sopravvivere e di far sopravvivere le loro creature politiche condannandole, invece, a una morte che forse sarà un po’ ritardata, ma che, così facendo, diventa sicuramente inevitabile perché è l’intera fiducia che per anni è stata riposta da tanti elettori in alcuni personaggi e in una parte della classe politica a finire nell’immondezzaio.

Se a qualcuno restasse il dubbio su a chi mi stia riferendo, pur con il grande disagio e la tristezza di chi ha sempre votato da quelle parti, non ho difficoltà a puntualizzare che sto parlando di quella parte del PD – e anche di altra sinistra – che ha invitato a ripetere anche nel referendum quello sciagurato “Sì” già dato in Parlamento.

Non riesco a lasciar perdere, infatti, il fatto che un partito che dovrebbe essere l’erede degli ideali che ho sempre sentito miei non sappia esprimere una presa di posizione coerente e che non sia infarcita di “se” e resa ancor più sfocata e incomprensibile da un numero elevatissimo di condizionali e di giri di parole criptici. E ancor meno riesco a digerire l’idea che quello stesso partito prenda in giro non tanto coloro che, come me, non hanno dubbi sul votare “No”, ma coloro che hanno ancora perplessità sulla scelta da fare.

Il bello è che adesso Zingaretti, pur in una posizione di assoluta scomodità, ha addirittura accettato di ammainare anche quella bandiera con la quale si pretendeva che,in cambio di un voto di conferma, fosse almeno votata una riforma elettorale su base puramente proporzionale.

Come dicevo, in realtà si tratta soltanto di una presa in giro dell’elettorato per il timore di far arrabbiare i grillini in quanto il segretario del PD teme che potrebbero, in caso di vittoria dei “No”, far cadere il governo.

E, del resto la scusa di volere una nuova legge proporzionale aveva la stessa consistenza della scusa del risparmio sulle spese parlamentari con il quale si era giustificata la presentazione della legge. Cioè nessuna.Basterebbe pensare che una promessa, nel magmatico e più che tollerante mondo politico italiano, può essere tranquillamente disattesa e che i 5stelle non sarebbe nuovi a imprese del genere. Inoltre, visto che una legge elettorale non deve sottostare né ai quattro passaggi richiesti per le leggi costituzionali, né, eventualmente, a maggioranze qualificate, è evidente che qualsiasi regola potrebbe essere cambiata con relativa facilità da qualunque maggioranza.

E Zingaretti non può certamente far finta di non vedere che un’approvazione referendaria della riduzione dei parlamentari combinata con l’attuale legge elettorale farebbe sì che certi meccanismi ipermaggioritari applicati al Senato cancellerebbero in alcune regioni, come il Friuli Venezia Giulia, fino a quasi metà delle scelte degli elettori.

Mentre con la nuova ipotetica legge proporzionale, comunque rimarrebbe inalterato il fatto che se i collegi sono molto ampi e pochi sono i candidati da eleggere rispetto al numero dei votanti, il sistema proporzionale ha, in pratica effetti simili a quelli del maggioritario. Non è un’opinione: è semplice matematica applicata ai meccanismi elettorali.

Personalmente amo decisamente il proporzionale perché ritengo più importante la rappresentanza rispetto alla governabilità e amo la democrazia molto più del decisionismo: capisco che la prima è più lenta e faticosa del secondo, ma so anche che assicura che saranno commessi meno errori gravi e inemendabili.

Il 18 settembre 1946 Umberto Terracini pronunciò durante i lavori dell’Assemblea Costituente, a proposito della rappresentanza democratica delle parole che sono ancora attualissime e illuminanti: «Il numero dei componenti un’assemblea – disse in aula – deve essere in un certo senso proporzionato all’importanza che ha una nazione, sia dal punto di vista demografico, che da un punto di vista internazionale». E poi ha continuato: «La diminuzione del numero dei componenti sarebbe interpretata come un atteggiamento antidemocratico, visto che, in effetti, quando si vuole diminuire l’importanza di un organo rappresentativo s’incomincia sempre col limitarne il numero dei componenti, oltre che le funzioni. Se nella Costituzione si stabilisse l’elezione di un deputato per ogni 150 mila abitanti, ogni cittadino considererebbe quest’atto di chirurgia come una manifestazione di sfiducia nell’ordinamento parlamentare. Quanto alle spese ancora oggi non v’è giornale conservatore o reazionario che non tratti questo argomento così debole e facilone. Anche se i rappresentanti eletti nelle varie Camere dovessero costare qualche centinaio di milioni di più, si tenga conto che di fronte a un bilancio statale che è di centinaia di miliardi, l’inconveniente non sarebbe tale da rinunziare ai vantaggi della rappresentanza».

È certo che Terracini neppure concepiva l’idea che in un futuro potesse nascere un Movimento 5stelle. E sicuramente neppure quella parte del PD di oggi che accetta di correre rischi sproporzionati pur di non rischiare una possibile, ma non probabile, caduta del governo.

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mercoledì 9 settembre 2020

Un’umanità senza umanità

Chi fosse passato lunedì sera nel parco di Sant’Osvaldo per dirigersi a uno degli avvenimenti del programma delle Feste d’estate avrebbe notato tutta una serie di capi di vestiario stesi ad asciugare sulla rete che circonda il campo sportivo. Li avrebbe guardati, ma forse non li avrebbe visti perché ormai quello di non vedere, o meglio di non voler vedere, sembra diventata un’abitudine molto diffusa.
 
Il fatto è che dietro quei pantaloni e quelle magliette ci sono i corpi di 32 migranti che fino a poco tempo fa affollavano il sagrato della chiesa della Madonna Missionaria a Tricesimo e poi sono stati trasferiti proprio all’interno del parco di Sant’Osvaldo dove, appunto, è in corso una rassegna di eventi sociali e culturali. I 32 giovani uomini, che vivono in un pullman e sono sorvegliati dalle forze dell’ordine, sono stati sfollati da Tricesimo su richiesta del sindaco Giorgio Baiutti per non intralciare le celebrazioni religiose in programma in quella chiesa.

Dormono sui sedili del pullman; mangiano lì dentro, o nelle immediate vicinanze; fanno la fila davanti a un paio di bagni chimici; si lavano con l’acqua che esce da un tubo di gomma fornito dalla Caritas. Se sono fuori dal pullman non li vede nessuno perché sono praticamente nascosti da un telo verde e dalle fronde degli alberi. La vergogna – intendo la nostra vergogna che abbiamo perduto ogni senso di rispetto per l’umanità altrui – ha raggiunto nuovi vertici.

Gli amministratori leghisti sono soddisfatti; il prefetto di Udine parla di «soluzione (sic) temporanea» in attesa di qualunque altra cosa sia resa disponibile; l’Azienda sanitaria, che è la proprietaria del parco fa il pesce in barile: spera di riuscire a far vedere che non c’entra niente, mentre, invece, è pienamente protagonista di questa situazione vergognosa.
Non si può dimenticare, infatti, che da tempo il parco dell’ex ospedale psichiatrico è divenuto un’area verde aperta alla città, nella quale ogni giorno ci sono servizi, comunità, laboratori. Nell’area del Parco, infatti, ci sono il CSM di Udine Sud, la REMS, la Comunità Nove, un laboratorio di falegnameria, tre strutture residenziali, il chiosco gestito dalla Cooperazione sociale, solo per elencare realtà che coinvolgono diversi soggetti nei percorsi di cura.

Si tratta di una realtà presentata con dovizia di particolari il 15 luglio, in occasione dell’inaugurazione delle Feste d’estate, alle Autorità regionali, comunali e aziendali, con un manifesto per il Parco che prevedeva un progetto di impegno per un bene comune.
Nonostante le promesse di collaborazione delle tante autorità presenti, le persone che lavorano nel Dipartimento di salute mentale e quelle che operano nelle cooperative di sostegno per il disagio mentale non sono state minimamente informate di quello che sarebbe avvenuto.

E allora, tenendo ben presente la realtà del parco, sorge spontanea anche la domanda sul perché l’Azienda sanitaria, che teoricamente dovrebbe avere a cuore la salute e il benessere di ogni essere umano – non chiede di trasformare questa “soluzione temporanea” in un’ospitalità degna di tal nome in cui l’alloggio – chiamiamolo così – non sia più un pullman, ma una delle tante palazzine abbandonate del parco, messa a posto quel tanto che basta per ospitare decorosamente i migranti e per non far aggravare la loro salute.

Anche simbolicamente sarebbe importante vedere che nell’area che porta in sé una terribile memoria di privazione dei diritti dei ricoverati dei vecchi ospedali psichiatrici, quelli prima della legge Basaglia, potrebbe essere temporaneamente ospitata una nuova popolazione non più privata di quei diritti che la nostra Costituzione prevede non soltanto per gli italiani, ma per tutti gli esseri umani che abbiano bisogno.

Se si passa di là è eticamente obbligatorio guardare oltre che vedere. E poi parlare e protestare se non ci si sente disposti a rassegnarsi a essere inseriti in un’umanità senza umanità.

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I perché di un no: 2 - I pericoli

Evaporata quasi subito, e in maniera totale e incontrovertibile, la motivazione del risparmio, quella con cui era stata presentata la legge per la riduzione dei parlamentari, l’iniziativa non è abortita, ma ha continuato a vivere fino a portarci dove siamo oggi. Ovviamente, anche se dai 5stelle è lecito attendersi molte stranezze, nessuna legge viene fatta solo per farla, o esclusivamente per lucrare voti con quel populismo che, in epoca di slogan e non di ragionamenti, è sempre più importante nel determinare chi vince e chi perde le elezioni. Quindi è necessario individuare i pericoli che sono insiti nelle vere motivazioni che l’hanno ispirata.
 
Pur tenendo conto che gli unici che sostengono ancora compatti il “Sì” sono quelli di Fratelli d’Italia e delle altre formazioni dell’ultradestra, se proprio non si vuole avvicinare la legge di Grillo e della Casaleggio Associati, al “Piano di rinascita democratica” di Licio Gelli, quello che ha finanziato gli assassini della strage di Bologna, quantomeno balza agli occhi che la riduzione di rappresentatività ben si sposa con il farsesco mito della Piattaforma Rousseau perché non soltanto il voto telematico è usato esclusivamente per approvare proposte, o nomi, e mai per discutere davvero, ma serve anche a tentare di giustificare il fatto che poche decine di migliaia di voti dovrebbero decidere per 60 milioni di cittadini che magari la pensano in modo opposto e che nella piattaforma non possono intervenire.

Ma, oltre a presupporre la pericolosissima idea che meno si è e meglio si decide, lasciando spazio al concetto che dal punto di vista della cosiddetta “governabilità” nulla è più efficiente di una dittatura monocratica – «Datemi i pieni poteri», diceva Salvini – questi tagli lineari avrebbero effetti perniciosi, oltre che sulla rappresentanza, anche sulla parità di diritti di tutti i cittadini.

Con la nuova legge, per esempio, la rappresentanza della minoranza slovena in Parlamento diverrebbe soltanto episodica, se non impossibile. E lo stesso accadrebbe anche per minoranze linguistiche, territoriali, religiose e politiche.

In questa eliminazione delle minoranze, inoltre, si realizzerebbe anche un’evidente disparità di trattamento. Se i cittadini italiani di lingua slovena, infatti, sarebbero pesantemente penalizzati, quelli di lingua tedesca dell’Alto Adige continuerebbero a vivere come se nulla fosse accaduto perché difesi da trattati internazionali contro i quali neppure la boriosa violenza iconoclasta dei grillini può nulla.

E non vale, se non a scopo di propaganda, dire che i nuovi mezzi tecnici consentono comunicazioni che non richiedono una presenza fisica: sappiamo tutti quanto pericolosa sia diventata l’abitudine di scaraventare in rete notizie che non possono avere contraddittori, né confutazioni perché, mentre in un dibattito pubblico si è obbligati a mettere in piazza anche le debolezze del proprio pensiero, la rete permette agli utenti di vietare l’ingresso nelle proprie case e nel proprio cervello di parole che rischino di distruggere razionalmente le convinzioni di chi legge, o ascolta.

Il pericolo più grave, però, è che questo sarebbe soltanto il primo passo verso uno svuotamento del significato dell’esistenza del Parlamento perché è questo l’obbiettivo finale dei grillini. Troppi dimenticano, infatti, che hanno nel mirino altri due bersagli a suo tempo già chiaramente dichiarati.

Il primo è la nascita del referendum propositivo che alla lunga renderebbe marginale il ruolo delle Camere e sposterebbe l’asse di equilibrio da una democrazia rappresentativa a un simulacro di democrazia diretta.

Il secondo è l’istituzione del vincolo di mandato che ridurrebbe il Parlamento a una sorta di club nel quale i capigruppo potrebbero incontrarsi esclusivamente tra di loro e decidere tutto mettendo ognuno sul tavolo il peso del numero dei parlamentari che a lui dovrebbero riferirsi e che non potrebbero più, per l’intera legislatura, ribellarsi ai voleri del capo che in cinque anni può anche cambiare (il PD di Bersani è stato molto diverso dal PD di Renzi, ma l’obbedienza sarebbe stata dovuta alla carica, non all’uomo, né tantomeno ai principi e ai valori), o impazzire, o rivelare mire che fino a quel momento aveva dissimulato.


È un progetto insomma, che prevede la cancellazione, più che lo stravolgimento, della democrazia per la quale sono morti in tanti per creare e poi per difendere le nostre istituzioni. E a tale proposito è difficile dimenticare che nel 2013 la banca d’affari J.P. Morgan aveva scritto che quelle delle nazioni del Sud Europa sono Costituzioni che «mostrano una forte influenza delle idee socialiste, e in ciò riflettono la grande forza politica raggiunta dai partiti di sinistra dopo la sconfitta del fascismo». E per questo, secondo quei banchieri statunitensi, sono troppo garantiste e, quindi, andrebbero cambiate.

Io sono convinto, invece, che, a partire dalla nostra, vadano difese con tutte le forze possibili votando “No”, perché, altrimenti, è certo che qualcosa cambierà, ma è altrettanto certo che sarà in peggio.

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martedì 8 settembre 2020

I perché di un no: 1 - Le bugie

Mancano pochi giorni all’apertura delle urne per il referendum che il 20 e 21 deciderà se resterà in vigore, o se sarà cancellata la legge costituzionale – mi è impossibile chiamarla riforma – voluta da Grillo e dalla Casaleggio associati che, andando a toccare gli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione, vorrebbe ridurre da 630 a 400 i deputati e da 315 a 200 i senatori, con un taglio lineare di oltre il 36% del Parlamento.

Personalmente voterò “No” non soltanto per scelta convinta, ma per la necessità di impedire che la nostra democrazia sia ulteriormente compromessa, questa volta non soltanto da furbate interpretative che apparente-mente sembrano rispettare la lettera della Costituzione, ma sicuramente fanno strame della sostanza, ma dal fatto che rischia di diventare legge qualcosa che diverge fortemente dalla quella giustizia che è insita nel concetto di democrazia.

Tenterò di illustrare al meglio le bugie, i pericoli, i fariseismi, le necessità, i nemici: cinque aspetti a mio parere fondamentali per decidere di andare a votare e per votare “No”.

Cominciamo con il fatto che la stessa nascita della proposta grillina che vuole cominciare ad affossare la democrazia rappresentativa si fonda su una serie di macroscopiche menzogne.
Per esempio, è evidente l’inconsistenza della motivazione del risparmio, visto che economicamente in una legislatura – dicono gli esperti – si risparmierebbero 285 milioni, pari a circa 57 milioni l’anno. E questo vuol dire che, visto che gli italiani sono circa 60 milioni, per mantenere in vita l’attuale situazione basterebbe che ognuno di noi rinunciasse a meno di un caffè all’anno: un sacrificio non troppo pesante per difendere la democrazia. Il fatto, poi, che Di Maio inizialmente parlasse di risparmi miliardari, dimenticando che circa i due terzi delle spese parlamentari sono fisse e ineliminabili, significa che mentiva sapendo di mentire, oppure che non conosce minimamente la creatura che vuole cambiare. In entrambi i casi l’appellativo di “onorevole” sembra fuori posto.

Altrettanto palese è il trucco di dire che soffriamo di un eccesso di rappresentanza. Se prendiamo come pietra di paragone gli altri Paesi europei, constatiamo che in Italia c’è un deputato circa ogni 100 mila abitanti: soltanto Francia, Germania e Olanda con 0,9, e Spagna con 0,8 hanno un rapporto più basso. Se questa sciagu-rata legge dovesse essere confermata, l’Italia scenderebbe a 0,7 e la nostra democrazia rappresentativa diventerebbe la meno rappresentativa d’Europa. E, infatti, è proprio la democrazia rappresentativa a essere da sempre nel mirino dei 5stelle e della destra.

Altra menzogna facilmente individuabile è quella che afferma che con la riduzione di 345 parlamentari il Parlamento sarebbe più efficiente. La Costituzione affida al Parlamento tre compiti principali: rappresentare i cittadini («Ogni membro dei Parlamento rappresenta la Nazione»), legiferare («La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere»), controllare l’operato del governo («Il governo deve avere la fiducia delle due Camere»). Orbene, in nessuna delle tre funzioni si capisce quale vantaggio potrebbe derivare dalla diminuzione di parlamentari. Anzi, mentre la rappresentanza sarà di certo minore, sembra probabile che anche la funzione di controllo possa uscirne notevolmente compromessa in quanto un gruppo di parlamentari ridotto sarà inevitabilmente meno pluralista e, quindi, più disponibile a obbedire alle indicazioni del capogruppo. Come funzioneranno poi le commissioni il cui numero rimarrà inalterato?

Ma forse la menzogna più evidente è racchiusa nell’affermazione che la diminuzione di parlamentari sarebbe un colpo decisivo contro “la casta”. Non occorre essere un politologo di chiara fama per comprendere che il medesimo potere diviso in parti minori finisce per irrobustire la parte più forte della cosiddetta casta che potrebbe gestire con maggiore comodità la – chiamiamola così – casta di mezzo, cioè coloro che non hanno molta voce in capitolo all’interno dei partiti, ma i cui voti sono indispensabili per far approvare le leggi e per dirigere i lavori parlamentari nelle direzioni più convenienti.

Del tutto bugiarda, insomma è la propaganda che postula un miglioramento dell’efficienza del Parlamento grazie a un taglio profondo e lineare che comporterebbe nuovi e più evidenti disequilibri in altre funzioni del Parlamento come nell’elezione del Presidente della Repubblica in cui, se la riforma passasse i rappresentanti regionali, che non subirebbero ridimensionamenti, acquisirebbero un peso decisamente abnorme rispetto a quello previsto dai padri costituenti.

Il problema del populismo è proprio questo: è facilissimo da praticare perché basta utilizzare slogan scritti con una certa furbizia, ma quando si comincia a guardare davvero le cose e a ragionare sulle proposte ci si ac-corge subito che sotto un sottilissimo strato di doratura c’è soltanto del velenosissimo piombo.

È anche per questo che parlerò sempre di legge e mai di riforma costituzionale, in quanto una riforma non può non prevedere una nuova architettura costituzionale che può essere apprezzabile, o detestabile, ma che non può limitarsi soltanto a dei tagli indiscriminati e senza progetto.

A domani per i pericoli a questa legge connessi.

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lunedì 7 settembre 2020

Che significato ha la “D”?

Dopo che Zingaretti ha deciso di proporre al PD – o almeno a quella parte che lo segue – di votare Sì al referendum, ho dovuto prendere atto che la “D” della sigla del partito per cui ho votato più spesso da quando è nato ha un significato evidentemente diverso da quello che intendevo io. 

Con rammarico, tristezza e solidarietà per i Democratici per il NO, annuncio – se a qualcuno potrà interessare – che non ho più intenzione di votare per questo P-non so cosa fino a quando Zingaretti resterà segretario, la “D” non tornerà a significare “democratico” e il partito non sarà animato da ideali almeno parzialmente di sinistra. E intanto spero che molti elettori del PD che non la pensano come Zingaretti si facciano sentire e che non rinuncino a votare NO disertando le urne per disperazione o rabbia.

Non riesco a concepire che un Paese come l'Italia con tutto quello che ha subito prima e dopo la seconda guerra mondiale possa scherzare con elementi importanti come la democrazia e la Costituzione soltanto per non irritare gli attuali e sopravvalutati alleati di governo.

Ridicolmente farisea è l’idea che soltanto dopo il massacro del Parlamento si possa parlare di riforme strutturali della nostra democrazia, soprattutto senza neppure accennare a quale potrebbe essere la nuova ingegneria parlamentare. Forse quella di Renzi già bocciata tre anni fa? Oppure l’elezione diretta di un premier come da sempre auspicato dalla destra? O, ancora, con una cosiddetta “democrazia diretta” come sognato dalla Casaleggio Associati?

Parlare di rispetto per coloro che sono morti durante la Resistenza, o dopo, sotto i colpi degli opposti estremismi mentre si sacrificavano per difendere le istituzioni e la democrazia rappresentativa è inaccettabile se poi si svende tutto pur di restare al governo.

Temiamo che, con un governo diverso, alle prossime presidenziali possa uscire vincente un nome inaccettabile? Vuol dire che noi non siamo capaci di far camminare le nostre idee, o che le nostre idee non hanno le gambe per camminare da sole e che anche la sinistra è stata vittima della smania di accelerare ogni procedimento: anche quello per l’elezione del Presidente della Repubblica.

Comunque se gli italiani vorranno al Quirinale un uomo in sintonia con Salvini e la Meloni, avranno tutto il diritto di votare per creare i presupposti necessari e poi avranno tutto il tempo per pentirsene amaramente.

Da domani tenterò di illustrare i motivi per i quali il NO al referendum non lo vedo come una scelta, bensì come una necessità.

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