Colpisce
molto, ma non stupisce, che i 5stelle pensino di cambiare le cose
puntando sulla quantità e non sulla qualità. Eppure dovrebbe essere
evidente per tutti che perché un sistema politico funzioni, sia esso
proporzionale o maggioritario, occorre che ci si affidi a gente
preparata. Ed è proprio questo lo snodo fondamentale per decidere di
bocciare questa legge: bisogna lavorare sulla qualità e non sulla
quantità di senatori e deputati.
L’articolo 49 della nostra
Costituzione afferma il diritto dei cittadini «di associarsi liberamente
in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la
politica nazionale». Spiace dover tirare di nuovo in causa Gelli, ma
sarebbe delittuoso dimenticare che tra i suoi obbiettivi c’era anche
quello della «riduzione dei partiti di massa a reti di club orbitanti
attorno a un’oligarchia autolegittimata e a un leader carismatico». Ed è
evidente che oligarchie e leader carismatici campano molto più
tranquilli in paludi di ignoranza che in mari in cui il ribollire di
idee può far traballare qualche loro decisione; soprattutto se
sbagliata. Poi, addirittura, le capacità di alcuni potrebbero minare
l’autorità di chi stila le liste bloccate a proprio piacimento per
assicurarsi amici fedeli e non necessariamente intelligenti.
E, infine, potrebbe far
fastidiosamente ricordare, magari anche ai promotori della legge che
spero riusciremo a cancellare, che l’articolo 67 della Costituzione
recita: «Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita
le sue funzioni senza vincolo di mandato».
Ma torniamo ai partiti che erano
considerati come aggregazioni organizzate di persone che avevano ideali
sociali abbastanza simili, come collettori di istanze popolari da
trasmettere ai poteri legislativi ed esecutivi e come organismi ai quali
era deputata la scelta della classe politica futura. Nelle prime due
funzioni i moderni partiti, o movimenti, sono stati terribilmente
carenti sia perché è diventato fastidioso parlare di ideali e di
coscienze, cioè di ideologie, sia in quanto il mondo della politica ha
perduto troppi contatti con quello nel quale dovrebbe vivere. Ma è stata
la funzione educatrice e formatrice a essere quella più fallimentare.
Una volta la selezione interna era
attenta, rigorosa e presupponeva quasi sempre un lungo apprendistato
con responsabilità crescenti. Il risultato era che in Parlamento
arrivavano persone quasi sempre preparate e convinte delle proprie idee.
Poi tutto questo è finito: i posti in lista sono diventati una specie
di assalto alla diligenza in cui vince chi promette di portare più voti
alla causa, o chi, con la Piattaforma Rousseau, in certi casi si limita a
racimolare i voti di qualche decina di amici. Competenza e preparazione
non c’entrano più e chiedere ai partiti di oggi di fare spontaneamente
una legge che regolamenti la vita dei partiti stessi è pure fantascienza
perché corrisponderebbe a una specie di suicidio.
In queste condizioni ridurre il
numero dei parlamentari, ben lungi dall’indebolire la cosiddetta casta,
finirebbe per rafforzarne il potere.
Altra necessità è quella di
mettersi seriamente a studiare – ma anche in questo caso ci vuole
competenza ed esperienza – se e come migliorare l’architettura
costituzionale lasciando inalterate le garanzie e migliorando non la
produttività, visto che, semmai, le leggi in Italia sono già troppe e
spesso in contrasto tra loro, ma la qualità e la comprensibilità;
eliminando quei bizantinismi fatti di vocaboli astrusi e di decine e
decine di rimandi ad altre leggi che consentono una pur parziale
comprensione soltanto a pochi e che aumentano di svariate volte le
occasioni di scontri giudiziari.
E assolutamente necessario è anche
non demandare a scatola chiusa, con una delega in bianco, una riforma
costituzionale a un futuro Parlamento ridotto. Ci preoccupiamo per il
prossimo Presidente della Repubblica e non per una Costituzione magari
fortemente diversa? Come si può parlare, infatti, di riforme strutturali
della nostra democrazia, senza neppure accennare a quale potrebbe
essere la nuova ingegneria parlamentare. Forse quella di Renzi già
bocciata tre anni fa? Oppure l’elezione diretta di un premier come da
sempre auspicato dalla destra? O, ancora, con una cosiddetta “democrazia
diretta” come sognato dalla Casaleggio Associati?
La storia ci ha insegnato che
commettere errori non è facile, grazie alle guarentigie costituzionali,
ma che ci si può riuscire. Il fatto è che tornare indietro è ancora più
difficile.
Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/
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