venerdì 11 settembre 2020

I perché di un no: 4 - Le necessità

Colpisce molto, ma non stupisce, che i 5stelle pensino di cambiare le cose puntando sulla quantità e non sulla qualità. Eppure dovrebbe essere evidente per tutti che perché un sistema politico funzioni, sia esso proporzionale o maggioritario, occorre che ci si affidi a gente preparata. Ed è proprio questo lo snodo fondamentale per decidere di bocciare questa legge: bisogna lavorare sulla qualità e non sulla quantità di senatori e deputati.

L’articolo 49 della nostra Costituzione afferma il diritto dei cittadini «di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale». Spiace dover tirare di nuovo in causa Gelli, ma sarebbe delittuoso dimenticare che tra i suoi obbiettivi c’era anche quello della «riduzione dei partiti di massa a reti di club orbitanti attorno a un’oligarchia autolegittimata e a un leader carismatico». Ed è evidente che oligarchie e leader carismatici campano molto più tranquilli in paludi di ignoranza che in mari in cui il ribollire di idee può far traballare qualche loro decisione; soprattutto se sbagliata. Poi, addirittura, le capacità di alcuni potrebbero minare l’autorità di chi stila le liste bloccate a proprio piacimento per assicurarsi amici fedeli e non necessariamente intelligenti.

E, infine, potrebbe far fastidiosamente ricordare, magari anche ai promotori della legge che spero riusciremo a cancellare, che l’articolo 67 della Costituzione recita: «Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato».

Ma torniamo ai partiti che erano considerati come aggregazioni organizzate di persone che avevano ideali sociali abbastanza simili, come collettori di istanze popolari da trasmettere ai poteri legislativi ed esecutivi e come organismi ai quali era deputata la scelta della classe politica futura. Nelle prime due funzioni i moderni partiti, o movimenti, sono stati terribilmente carenti sia perché è diventato fastidioso parlare di ideali e di coscienze, cioè di ideologie, sia in quanto il mondo della politica ha perduto troppi contatti con quello nel quale dovrebbe vivere. Ma è stata la funzione educatrice e formatrice a essere quella più fallimentare.

Una volta la selezione interna era attenta, rigorosa e presupponeva quasi sempre un lungo apprendistato con responsabilità crescenti. Il risultato era che in Parlamento arrivavano persone quasi sempre preparate e convinte delle proprie idee. Poi tutto questo è finito: i posti in lista sono diventati una specie di assalto alla diligenza in cui vince chi promette di portare più voti alla causa, o chi, con la Piattaforma Rousseau, in certi casi si limita a racimolare i voti di qualche decina di amici. Competenza e preparazione non c’entrano più e chiedere ai partiti di oggi di fare spontaneamente una legge che regolamenti la vita dei partiti stessi è pure fantascienza perché corrisponderebbe a una specie di suicidio.

In queste condizioni ridurre il numero dei parlamentari, ben lungi dall’indebolire la cosiddetta casta, finirebbe per rafforzarne il potere.

Altra necessità è quella di mettersi seriamente a studiare – ma anche in questo caso ci vuole competenza ed esperienza – se e come migliorare l’architettura costituzionale lasciando inalterate le garanzie e migliorando non la produttività, visto che, semmai, le leggi in Italia sono già troppe e spesso in contrasto tra loro, ma la qualità e la comprensibilità; eliminando quei bizantinismi fatti di vocaboli astrusi e di decine e decine di rimandi ad altre leggi che consentono una pur parziale comprensione soltanto a pochi e che aumentano di svariate volte le occasioni di scontri giudiziari.

E assolutamente necessario è anche non demandare a scatola chiusa, con una delega in bianco, una riforma costituzionale a un futuro Parlamento ridotto. Ci preoccupiamo per il prossimo Presidente della Repubblica e non per una Costituzione magari fortemente diversa? Come si può parlare, infatti, di riforme strutturali della nostra democrazia, senza neppure accennare a quale potrebbe essere la nuova ingegneria parlamentare. Forse quella di Renzi già bocciata tre anni fa? Oppure l’elezione diretta di un premier come da sempre auspicato dalla destra? O, ancora, con una cosiddetta “democrazia diretta” come sognato dalla Casaleggio Associati?

La storia ci ha insegnato che commettere errori non è facile, grazie alle guarentigie costituzionali, ma che ci si può riuscire. Il fatto è che tornare indietro è ancora più difficile.

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