giovedì 10 settembre 2020

I perché di un no: 3 - I fariseismi


Al di là delle menzogne e dei pericoli insiti nei veri obbiettivi dei cambiamenti proposti, a preoccupare sono anche i fariseismi che probabilmente riescono a fare anche danni maggiori. Infatti finiscono per mettere in dubbio l’intera validità politica e sociale di coloro che con miopia tentano di sopravvivere e di far sopravvivere le loro creature politiche condannandole, invece, a una morte che forse sarà un po’ ritardata, ma che, così facendo, diventa sicuramente inevitabile perché è l’intera fiducia che per anni è stata riposta da tanti elettori in alcuni personaggi e in una parte della classe politica a finire nell’immondezzaio.

Se a qualcuno restasse il dubbio su a chi mi stia riferendo, pur con il grande disagio e la tristezza di chi ha sempre votato da quelle parti, non ho difficoltà a puntualizzare che sto parlando di quella parte del PD – e anche di altra sinistra – che ha invitato a ripetere anche nel referendum quello sciagurato “Sì” già dato in Parlamento.

Non riesco a lasciar perdere, infatti, il fatto che un partito che dovrebbe essere l’erede degli ideali che ho sempre sentito miei non sappia esprimere una presa di posizione coerente e che non sia infarcita di “se” e resa ancor più sfocata e incomprensibile da un numero elevatissimo di condizionali e di giri di parole criptici. E ancor meno riesco a digerire l’idea che quello stesso partito prenda in giro non tanto coloro che, come me, non hanno dubbi sul votare “No”, ma coloro che hanno ancora perplessità sulla scelta da fare.

Il bello è che adesso Zingaretti, pur in una posizione di assoluta scomodità, ha addirittura accettato di ammainare anche quella bandiera con la quale si pretendeva che,in cambio di un voto di conferma, fosse almeno votata una riforma elettorale su base puramente proporzionale.

Come dicevo, in realtà si tratta soltanto di una presa in giro dell’elettorato per il timore di far arrabbiare i grillini in quanto il segretario del PD teme che potrebbero, in caso di vittoria dei “No”, far cadere il governo.

E, del resto la scusa di volere una nuova legge proporzionale aveva la stessa consistenza della scusa del risparmio sulle spese parlamentari con il quale si era giustificata la presentazione della legge. Cioè nessuna.Basterebbe pensare che una promessa, nel magmatico e più che tollerante mondo politico italiano, può essere tranquillamente disattesa e che i 5stelle non sarebbe nuovi a imprese del genere. Inoltre, visto che una legge elettorale non deve sottostare né ai quattro passaggi richiesti per le leggi costituzionali, né, eventualmente, a maggioranze qualificate, è evidente che qualsiasi regola potrebbe essere cambiata con relativa facilità da qualunque maggioranza.

E Zingaretti non può certamente far finta di non vedere che un’approvazione referendaria della riduzione dei parlamentari combinata con l’attuale legge elettorale farebbe sì che certi meccanismi ipermaggioritari applicati al Senato cancellerebbero in alcune regioni, come il Friuli Venezia Giulia, fino a quasi metà delle scelte degli elettori.

Mentre con la nuova ipotetica legge proporzionale, comunque rimarrebbe inalterato il fatto che se i collegi sono molto ampi e pochi sono i candidati da eleggere rispetto al numero dei votanti, il sistema proporzionale ha, in pratica effetti simili a quelli del maggioritario. Non è un’opinione: è semplice matematica applicata ai meccanismi elettorali.

Personalmente amo decisamente il proporzionale perché ritengo più importante la rappresentanza rispetto alla governabilità e amo la democrazia molto più del decisionismo: capisco che la prima è più lenta e faticosa del secondo, ma so anche che assicura che saranno commessi meno errori gravi e inemendabili.

Il 18 settembre 1946 Umberto Terracini pronunciò durante i lavori dell’Assemblea Costituente, a proposito della rappresentanza democratica delle parole che sono ancora attualissime e illuminanti: «Il numero dei componenti un’assemblea – disse in aula – deve essere in un certo senso proporzionato all’importanza che ha una nazione, sia dal punto di vista demografico, che da un punto di vista internazionale». E poi ha continuato: «La diminuzione del numero dei componenti sarebbe interpretata come un atteggiamento antidemocratico, visto che, in effetti, quando si vuole diminuire l’importanza di un organo rappresentativo s’incomincia sempre col limitarne il numero dei componenti, oltre che le funzioni. Se nella Costituzione si stabilisse l’elezione di un deputato per ogni 150 mila abitanti, ogni cittadino considererebbe quest’atto di chirurgia come una manifestazione di sfiducia nell’ordinamento parlamentare. Quanto alle spese ancora oggi non v’è giornale conservatore o reazionario che non tratti questo argomento così debole e facilone. Anche se i rappresentanti eletti nelle varie Camere dovessero costare qualche centinaio di milioni di più, si tenga conto che di fronte a un bilancio statale che è di centinaia di miliardi, l’inconveniente non sarebbe tale da rinunziare ai vantaggi della rappresentanza».

È certo che Terracini neppure concepiva l’idea che in un futuro potesse nascere un Movimento 5stelle. E sicuramente neppure quella parte del PD di oggi che accetta di correre rischi sproporzionati pur di non rischiare una possibile, ma non probabile, caduta del governo.

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