venerdì 16 settembre 2022

Opposizione e resistenza

OrbànProbabilmente qualcuno storcerà il naso, ma la cronaca politica di questi giorni mi fa sentire obbligato a tornare su quel discorso dell’antifascismo che infastidisce molti che affermano sia che è superato perché non c’è più il rischio di veder rinascere quella dittatura, sia in quanto nella propaganda elettorale si deve apparire più propositivi che difensivi e, quindi, che devono essere più importanti i programmi. Sono due obiezioni che meritano risposte separate, anche se mi portano alla medesima conclusione.

Cominciamo con il pericolo di un ritorno al fascismo che, ovviamente non vedo come recupero di camicie nere, fez, parate e ridicoli salti attraverso i cerchi di fuoco, ma come cancellazione di democrazia e di diritti, esattamente quello che è successo e sta succedendo in quell’Ungheria contro la quale il Parlamento dell’Unione Europea ha votato a larghissima maggioranza una mozione che condanna il governo di Budapest che «non è più una democrazia compiuta». Sulla mozione hanno votato contro i parlamentari italiani di Lega e FdI che, invece, sostengono il regime di Orbán, che, infatti, ha connotati molto vicini ai concetti fascisti di società.

A dire il vero, la cosa non dovrebbe sorprendere, anche per le sorridenti foto che vedono abbracciati Orbán dapprima con Matteo Salvini e poi con Giorgia Meloni, ma soprattutto in quanto la leader di Fratelli d’Italia ha da poco sostenuto che i suoi valori di riferimento possono essere riassunti nello slogan “Dio, Patria e Famiglia”. Viste le reazioni, si è affrettata a dire che si riferiva al motto mazziniano, ma è difficile pensare che, viste le sue convinzioni politiche mai rinnegate, la frase sia stata recepita dalla smorfiosa bocca di Mussolini, piuttosto che da quella seria e severa del fondatore della Giovane Italia. Anche perché mentre quello che è uno dei quattro padri della Patria li indicava come ideali importanti per tutti, per il capo del fascismo quelli erano indicazioni ad excludendum, nel senso che bisogna allontanare, se non discriminare e punire coloro che non venerano lo stesso Dio, non considerano la sovranità di una nazione come valore preminente sulla convivenza con altri Stati, si allontanano dal modello morale (da mos, costume, non da ethos, atteggiamento etico e valoriale) della famiglia.

A ulteriore dimostrazione che non di reminiscenze mazziniane si tratta, va ricordata la frase pronunciata, sempre da Giorgia Meloni, in un comizio a Genova: «Vogliamo dare alle donne il diritto di non abortire». Come se non si sapesse che la legge 192, al di là delle notevoli difficoltà che incontra dappertutto a essere applicata a causa dell’obiezione di coscienza di molti medici, nelle regioni amministrate dalla destra, è spesso soltanto un miraggio.

Se poi vogliamo allargare la considerazione all’intera alleanza di destra, conta ben poco il fatto che Berlusconi abbia subito affermato che lui e il suo partito resteranno fuori dal governo se sarà antieuropeo. Il vecchio di Arcore lo fa per tentare di raccattare i voti di quelli che stanno a destra, ma sopportano male gli estremismi di Meloni e Salvini. Tanto poi chi si ricorda le promesse elettorali? E cosa può costare sostenere che gli altri due della coalizione criticano alcuni atteggiamenti dell’Europa, ma non l’idea di base?

E veniamo alla preponderanza dei programmi sull’antifascismo. Al di là del fatto che difendere la nostra Costituzione mi sembra già un notevole programma positivo, provate a pensare al passato e chiedetevi se è stata più importante la bonifica delle paludi pontine, o l’esilio, il confino e la carcerazione dei dissidenti politici? Oppure se la sbandierata puntualità dei treni e la presunta efficienza statale è stata più rilevante rispetto alla cancellazione di tanti diritti, alla censura, alle leggi razziste più che razziali?

E chiedetevi anche quali programmi sarebbero davvero realizzati se la precedenza dovesse essere data alla tanto agognata “normalizzazione” della società italiana che piomberebbe indietro di almeno mezzo secolo. Pensate forse che difendere la sanità pubblica davanti al dilagare di quella privata non sia un programma positivo? O che opporsi a una flat tax che massacrerebbe i poveri per favorire i ricchi aumentando a dismisura le già fortissime disuguaglianze sociali, non sia un’impresa degna del massimo impegno?

Sono convinto che abbia ragione Letta: in questo momento storico o si è da una parte, o si è dalla parte opposta. E a questo punto – la storia del ventennio e soprattutto la svolta di Salerno dovrebbero insegnare anche questo – mi interessa ben poco la querelle su chi è davvero più di sinistra. Mi interessa molto di più la speranza di non essere costretti a sostituire la parola “opposizione” con “resistenza” e di poter di nuovo discuterne e azzuffarci sulla purezza dell'osservanza di sinistra anche dopo le elezioni del 25 fine settembre. Magari cominciando anche a fare qualcosa di quello che una volta era definito “di sinistra" e che aiuti davvero chi soffre, chi è anziano, chi è senza lavoro, chi il lavoro ce l’ha ma non uno stipendio degno e corrispondente, chi potrebbe e dovrebbe essere trattato con solidarietà e umanità perché, a prescindere dal colore della pelle, dalla lingua, dalla religione, dai gusti nel vestire e nel mangiare, è esattamente come noi: un essere umano che, tra l’altro, può avere anche lui, pur se non deve essere obbligatorio, un Dio, una Patria e una Famiglia.

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venerdì 2 settembre 2022

La censura e la scelta

0 fasci La pausa è stata davvero lunga. Dapprima qualche guaio con il Covid, poi una stupida, ma fastidiosissima frattura a una vertebra, a seguire la cancellazione – temporanea, assicurano – dei blog dai giornali del gruppo Gedi, e infine quella crosta di pigrizia, sottile ma sempre un po’ difficile da spezzare, che si crea quando si interrompe un’attività abituale. Ora, però, pur limitandomi a pubblicare le mie opinioni su un sito decisamente meno visibile di quello del Messaggero Veneto, e affidandomi per la diffusione soltanto alle mail, a Facebook, alle condivisioni e ai passaparola, mi sento obbligato a dire di nuovo qualcosa e a spingermi a farlo è la campagna elettorale in corso per una delle elezioni politiche più drammaticamente importanti della storia della Repubblica italiana.

Lo spunto mi viene dalle critiche che sono rivolte a Enrico Letta perché – dicono – ha impostato la sua propaganda soprattutto sul pericolo di un ritorno fascista e non su un programma propositivo. A prescindere dal fatto che – potranno convincere, o meno, potranno creare un clamore che attiri l’attenzione, o meno – alcune proposte di programma le ha scritte e dette, mi sembra importante soffermarmi sull’accusa di dare troppo peso all’antifascismo.

E, ovviamente, l’analisi non può prescindere dal valutare se il pericolo fascista può esistere, o meno. Dal mio punto di vista non ho dubbi nel rispondere affermativamente: la storia, le parole, le scelte e i programmi di Giorgia Meloni sono tutti elementi che non offrono certamente prospettive di maggiori spazi democratici, ma, invece, di limitazioni di diritti e di partecipazione nel nome di quella che oggi viene chiamata “governabilità” e che una volta, più coerentemente, si chiamava “decisionismo” e spesso era, ed è, l’anticamera di scelte impositive e non dibattute.

Ma a far paura non sono soltanto la Meloni, o Salvini che non ha nemmeno la furbizia della sua temporanea alleata nel far finta di non essere razzista ed eterofobo. Molto di più, a preoccupare, è il terreno di cultura che loro hanno abilmente curato e che oggi è putridamente fertile. Pensate a quanti si dichiarano palesemente nostalgici del fascismo e del nazismo, a quanti usano la rete per minacciare ed evocare stermini per coloro – oggi sembra fantastoria, ma purtroppo è realtà – che non sono considerati razzialmente accettabili: a coloro che offendono chiunque porti avanti idee di progresso sociale, predichi l’uguaglianza, anche sessuale, e la solidarietà; ai non pochi che ancora pensano che la violenza sia un sistema per “punire” chi non la pensa come loro; all’esposizione di fasci e svastiche; agli assalti di sedi sindacali.

È ben vero che i problemi economici, energetici, climatici, le tante altre cose che nel nostro Paese non vanno devono essere portate in primo piano perché devono essere risolti nel minor tempo possibile, ma provate a pensare se, ancora prima di risolvere i problemi, si dovesse rimettere in piedi – e non soltanto riaggiustare – un sistema davvero democratico; se si dovesse passare dall’opposizione alla resistenza.

Ancora una volta, però, la causa non può essere addebitata ad altri, ma soprattutto a noi stessi e alla scarsa importanza che abbiamo sempre attribuito alla sostanza del linguaggio, preferendo, invece, privilegiare la forma. È di questi giorni la notizia che nelle università inglesi sono stati compilati elenchi di letture da proibire, o quantomeno da sconsigliare nel nome del “politicamente corretto”. Per dare un’idea dell’assurdità della tesi, basterebbe notare che uno degli scritti messi all’indice è “Sogno di una notte di mezza estate”, di Shakespeare, perché conterrebbe tracce di classismo. Come se l’impianto sociale del Seicento potesse essere paragonato a quello di oggi.

Ma è assurdo scandalizzarsi perché anche nel nostro Paese, pur apparentemente in sedicesimo, si è fatta la medesima cosa e i risultati, a effetto domino, sono stati devastanti, proprio anche per la vita democratica italiana.

Il discorso potrebbe essere molto lungo, ma per capirci basta un esempio: quelli che una volta erano chiamati “spazzini”, a un certo punto hanno mutato il nome in un pomposo “operatori ecologici”: forma apparentemente più rispettosa, ma in realtà colpevolmente irridente perché per quei degnissimi lavoratori in realtà non cambiava nulla: né il tipo di lavoro, né il disagio, né lo stipendio, né il rispetto di quella parte della società che già non li apprezzava comunque per la loro fondamentale utilità nella vita di ogni comunità.

Per un lungo periodo è diventato di primaria importanza addolcire tutti i termini che potevano presentare delle asperità, o provocare qualche fastidio. E questa sorte l’abbiamo cecamente riservata, con piena approvazione e stupefatta gioia da parte della destra, anche alla parola “fascismo” e ai suoi derivati. Dapprima l’abbiamo fatta precedere dal prefisso “neo”, che lasciava pensare a qualche novità migliorativa, mentre in realtà si riferiva soltanto all’età dei nuovi adepti delle teorie mussoliniane. Poi sono stati chiamati “nostalgici”, come se rimpiangessero soltanto “i bei tempi andati” della gioventù e non gli orrori che il fascismo aveva creato; poi, ancora, si sono appropriati del termine “conservatori”, come se di quella che non è un’opinione politica, ma un reato, ci fosse davvero qualcosa da conservare.

E, così non parlando più di fascismo, se ne è appannata la memoria, ci si è dimenticati che il nostro Paese e la nostra Costituzione sono nati proprio da una lotta cruenta e piena di lutti per liberarsi dalla dittatura fascista, che molti degli epigoni della Repubblica di Salò sono stati i fondatori di quel Movimento Sociale Italiano la cui fiamma è ancora «orgogliosamente difesa» nel simbolo di Fratelli d’Italia da Giorgia Meloni.

Quasi sicuramente Enrico Letta non riuscirà a suscitare le emozioni e il trasporto che, invece riescono a creare altri leader politici, ma lui e coloro che hanno deciso di allearsi con il suo partito, hanno ben presente i rischi che la nostra democrazia sta correndo in questo periodo e la loro scelta di non censurare la paura di precipitare rovinosamente nel passato, com’è già accaduto ad altri Paesi europei, per dover poi ricostruire tutto ripartendo da cumuli di macerie, è del tutto condivisibile. Perché illudersi che con qualsiasi risultato elettorale la nostra democrazia rimarrebbe inalterata sarebbe una nuova ipocrisia, grave almeno come la scelta di interpretare le parole nella loro forma e non nella loro sostanza.

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