sabato 25 luglio 2020

Il regalo di Giulio

A voler tracciare il ricordo di un uomo che ha avuto una vita intensa come quella di Giulio Magrini si rischia di perdersi: troppi gli spunti possibili, troppi gli aspetti interessanti. Per descriverlo preferisco ricordare l’ultima occasione in cui l’ho visto di persona, poco più di una settimana fa.
 
Ebbene, proprio da lui, che di certo non si definiva credente nel senso canonico del termine, mi è arrivato un regalo del tutto inatteso: una specie di prova dell’esistenza di un’anima che non necessariamente è quella destinata a un’altra, ben più lunga vita, ma che è elemento a se stante e fondamentale nella complessa realtà di ogni uomo.

Giulio era ben conscio che stava percorrendo i tratti finali della sua ultima strada, eppure continuava a ragionare e a parlare come se avesse avuto ancora davanti a sé molti altri anni da vivere. Era arrabbiato per come sta andando il mondo e per l’erosione di diritti che sta stravolgendo il nostro panorama sociale, ma contemporaneamente era fiducioso nel futuro e convinto che non ci si può risparmiare se ci si vuole reimettere sulla strada di un progresso che non sempre coincide con lo sviluppo.

Non era soltanto lucido come sempre, ma continuava a palpitare di indignazione e a parlare di impegno rendendo evidente la separazione tra un corpo che ormai stava finendo di funzionare e un’anima – non riesco a trovare una definizione più calzante – che non soltanto continuava a vivere, ma addirittura proiettava i suoi valori, la sua coscienza, in un futuro che lui era sicuro che non avrebbe visto e che forse non vedranno neppure molti di noi.

Non lo faceva perché stesse sognando un futuro migliore soltanto per i suoi cari e per gli amici: il suo desiderio era quello di un futuro migliore per tutti; la sua attività era sempre quella di una resistenza senza armi, ma non per questo meno determinata e meno avversata da altri. Nelle sue parole continuava a vibrare quella rabbia e quella determinazione che lo aveva sostenuto nel difendere la memoria di suo padre Aulo, nome di battaglia Arturo, da assurdi tentativi di denigrazione dettati soltanto da desideri di protagonismo severamente puniti dalla magistratura.

Rabbia e determinazione che mi hanno fatto ripetere le stesse domande che Giulio mi aveva fatto venire in testa quando mi parlava di suo padre e dei suoi sogni: Come abbiamo fatto a permettere di tradire così tanto quei sacrifici? Come abbiamo fatto a deludere tanti sogni? Come abbiamo fatto a disattendere così tanto quelle speranze? Giulio avrebbe voluto che queste domande non avessero più senso.

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lunedì 13 luglio 2020

Sudditi e cittadini

Non sono pochi coloro che si chiedono come sia stato possibile che la nostra situazione sociale, politica, economica, sia precipitata tanto in basso; e perché ormai da troppi anni si stia lì a lambiccarsi il cervello per scegliere il meno peggio per cui votare, visto che il concetto di “migliore” sembra aver abbandonato le nostre terre.

Lasciamo pur perdere la bambinesca assurdità di chi giustifica la propria sconfitta sostenendo che gli elettori non lo hanno capito e lasciamo da parte anche la smania suicida della sinistra che non ha mai compreso che si può andare alle elezioni assieme per poi – poi – discutere tra le varie anime della sinistra per riuscire a cambiare le cose dal di dentro, invece che limitarsi a recriminare dal di fuori. A livello più alto potremmo anche dire che non si comprende perché un popolo di sinistra, convinto di votare per coscienza, valori e ideali, dovrebbe accettare di sottoscrivere spot pubblicitari creati soltanto per correre dietro a quello che indicano i sondaggi.

Ma la realtà più profonda è che non stiamo prendendo in considerazione il fatto che il nostro popolo – e non soltanto il nostro – sta subendo una mutazione, o, meglio, un’involuzione: da cittadini già abbastanza formati, stiamo tornando alla condizione di sudditi.

Un esempio illuminante ci arriva proprio dalle vicende del Covid-19 e della sanità. Per compensare il personale sanitario, di qualunque livello, per l’opera svolta e i rischi corsi, ben al di là del proprio dovere, tutti stanno parlando di “bonus”, di premi. Lasciamo pur perdere il valore pecuniario ridicolo proposto, ma è il concetto stesso a destare scandalo: stiamo parlando di quelle “graziose regalie” che una volta i signorotti feudali elargivano a coloro che si erano comportati bene in un qualche frangente e che poi dovevano tornare silenziosamente a fare i servi della gleba, o a diventare nuovamente carne da sacrificare in una qualche guerra di espansione territoriale. I “bonus” si elargiscono ai sudditi; con i cittadini si discute su come le finanze pubbliche possono assorbire i contraccolpi di doverosi aumenti di stipendio commisurati al fatto che si è riusciti a dimostrare professionalità, competenza e abnegazione che meritano maggiore considerazione e rispetto. Con i cittadini si discute su come riuscire a ridare alla massa degli operatori sanitari quella consistenza capace, sia di evitare turni massacranti (e quindi pericolosi per sé e per gli altri), sia di permettere ai pazienti di arrivare in tempi umani a quegli esami, anche e soprattutto non legati direttamente al coronavirus, che per molti possono significare la differenza tra la vita e la morte. E forse tutti noi ne conosciamo qualcuno.

Che, dopo un lungo periodo di orgoglio umano, stiamo involvendo nuovamente verso la condizione di sudditi è dimostrato anche dal colpevole silenzio popolare con cui sono accolte molte porcate politiche; sia passive come l’immobilità di fronte ai cosiddetti “Decreti sicurezza” di Salvini, evidentemente inumani e già in parte sconfessati anche dalla Corte costituzionale; sia attive come la decisione di dimezzare il Parlamento e, quindi, di mutilare il dibattito parlamentare, cancellando in gran parte il concetto costituzionale di rappresentanza. Ma anche andando a parlare di risparmi sul “costo della politica” che è sicuramente alto vista l'inadeguatezza di certi parlamentari, ma che sarebbe assolutamente proporzionato se si pensasse alla qualità e professionalità e non al numero dei nostri rappresentanti alla Camera e al Senato. Il fatto che poi certe scelte attive e certi ritardi vengano giustificati con motivi elettoralistici rendono ancora più odiosi questi comportamenti.

In questo quadro appaiono sempre più evidenti le motivazioni di alcuni comportamenti che ci hanno stupito e dei quali faticavamo a trovare giustificazioni logiche. Mi riferisco alla metodica distruzione di qualsiasi istituzione, organizzazione, o gruppo che cerchi di tenere alto il concetto di cultura. Mi riferisco alla sistematica sottrazione di risorse a un’istituzione fondamentale per qualsia forma di democrazia vera, come la scuola. Mi riferisco al tentativo, per ora abortito, ma già fatto balenare di nuovo all’orizzonte, di togliere la storia dalle materie da portare agli esami conclusivi dei cicli di studi, depotenziandone, quindi, l’interesse durante l’intero corso di istruzione e preparandone la soppressione totale, come è già accaduto per la geografia, altra materia importantissima per comprendere molte cose che Wikipedia non può, né vuole spiegare.

Per capirne le ragioni, provate a traguardare questi comportamenti attraverso la lente di una considerazione elementare: i sudditi non hanno bisogno di memoria. Perché non devono scegliere e, tanto meno, devono poter ragionare prima di scegliere. Ai sudditi al massimo è concesso di applaudire chi appare più disponibile a far sentire il proprio “grazioso favore” nei confronti della categoria, o del gruppo nel quale ci si crede inseriti.

A me questa situazione fa infuriare e fa anche capire che non basta andare a votare di tanto in tanto per riuscire a cambiarla: occorre parlare, scrivere, protestare, convincere, se vogliamo tornare a tutto titolo umani. Capaci anche e soprattutto di sbagliare, ma in proprio.

Ricordo che da bambino alcuni tentavano di insegnarmi che se qualcuno mi chiamava dovevo rispondere: «Comandi!». Già quella volta lo consideravo un’umiliazione inammissibile. Non posso accettare il pensiero che quell’ossequiosa risposta possa tornare di moda rendendo palese una resa senza condizione di una nazione non a chi è migliore, ma a chi è più potente, o più ricco. Non si può più stare zitti.

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sabato 11 luglio 2020

La traversata del deserto

È ormai da anni che, sempre meno sorretti da una qualche fiducia nel futuro, sentiamo dire che stiamo affrontando una lunga e difficile “traversata del deserto”, locuzione che affonda le proprie radici nel racconto biblico del lungo viaggio compiuto dagli Ebrei durante l’esodo dall’Egitto verso la terra promessa, a rappresentare figurativamente una fase di transizione fra due momenti storici e politici. Ebbene, anche se a prima vista può sembrare un modo di dire azzeccato, è, invece, del tutto sbagliato, sia perché il deserto non è assolutamente tale, sia in quanto una traversata postula un movimento, mentre noi siamo del tutto immobili; ancora in attesa di fare il primo, tremebondo passo.

Il deserto, dicevo, non è assolutamente tale; anzi, è popolato da creature pericolose e, questo sì come nel deserto, spesso abili nel mimetismo. Non è sicuramente mimetico Salvini quando, commentando l’apertura di una sede della Lega in via delle Botteghe oscure, in maniera clownesca, ma soprattutto blasfema, proclama che «i valori di una certa sinistra che fu, quella di Berlinguer, sono stati raccolti dalla Lega». Ma, in questo, ancora una volta il problema non è Salvini, ma la massa di tutti coloro che non si rendono conto di quanto il ras della Lega li stia circuendo da anni.

Del tutto appariscente è anche Renzi con i suoi quotidiani ricatti fatti soprattutto per far ricordare al mondo che esiste ancora, mentre attentamente confusa con il panorama desolato di un deserto è la Meloni, capace di pensare le medesime oscenità di Salvini, ma anche di esporle in maniera meno strillata, ma più efficace nell'attrarre sovranisti e nostalgici di vario tipo.


Poco mimetici sono anche quelli di Forza Italia che, sull’onda di dichiarazioni di un giudice su una delle condanne di Berlusconi, casualmente tirate fuori adesso da una trasmissione Mediaset a giudice defunto, pretenderebbero di far diventare senatore a vita colui che, con le sue televisioni, ha minato il tessuto etico e politico di un intero Paese. Come se al di là di quella condanna, il suo rapporto con la giustizia non fosse stato contrassegnato soprattutto da scadenze di termini e come se qualcuno degli attuali senatori a vita fosse disposto a immolarsi per far posto al signore delle “cene eleganti”.

Ben più mimetici, purtroppo sono molti di coloro che dovrebbero essere i Mosè della situazione e che, invece, troppo spesso si soffermano a guardare con interesse una serie di apparenti idoli d’oro che comunemente sono ritenuti in grado di convogliare voti verso i loro adoratori, o almeno, verso quelli che non vi si oppongono con forza.

Mi sto riferendo, ovviamente, al PD, o a quella sua parte che vive nel silenzio, pensando che possa essere sufficiente capitalizzare gli errori, le indegnità e le assurdità degli altri, senza neppure sforzarsi di offrire un tentativo di mappa di quell’attraversamento; senza nemmeno azzardarsi a fare il primo passo perché questo significherebbe alzare nuovamente, come bandiere da seguire, valori e coscienze, termini apparentemente del tutto fuori moda in un’epoca in cui la moda e l’apparenza fanno premio quasi su tutto.

Come può il PD aver lasciato che siano ancora in vigore i cosiddetti “Decreti sicurezza” di Salvini che costringono ancora decine di profughi a restare su navi che li hanno salvati rischiando anche delle multe.

Come può il PD restare in silenzio mentre si avvicina un referendum che non rischierà soltanto di dimezzare il Parlamento, ma anche di mutilare la democrazia rendendo il dibattito più rarefatto e la rappresentanza soltanto un ricordo?

Come può il PD lasciar passare quasi sotto silenzio l’incontro, durato all’incirca tre ore a palazzo Chigi, tra il presidente del Consiglio Giuseppe Conte e tale Davide Casaleggio? Perché questo signore, ufficialmente, è soltanto un imprenditore, proprietario della Casaleggio Associati e, quindi, tenutario della piattaforma Rousseau che pretenderebbe di gestire una sorta di democrazia diretta. Tre ore di discussioni politiche tra un presidente indicato da alcuni partiti e designato dal Presidente della Repubblica e un signore non designato da nessuno se non da se stesso e dal fatto di aver ereditato un movimento cofondato da suo padre Gianroberto e da Beppe Grillo.

Non sarebbe stato il caso che il partito che dovrebbe rappresentare almeno una parte della sinistra e che dovrebbe essere uno dei pochi garanti rimasti della nostra Costituzione e della nostra democrazia, facesse sentire la propria voce per chiedere al presidente del Consiglio a che titolo dare tanto spazio a qualcuno che dalla democrazia e dei partiti non sa cosa farsene nemmeno in casa propria?
 

Intanto, sentiamo che l’assessore regionale del Friuli Venezia Giulia, Riccardo Riccardi, è felice di annunciare che la Sanità in regione nel 2019 ha accumulato attivi per 14 milioni e 700 mila euro. 
Dal suo punto di vista politico è un’esultanza comprensibile e razionale, ma non lo è per noi che non riteniamo che la sanità possa essere chiamata “azienda”, perché siamo convinti che debba produrre salute e vita e non utili: questi risultati ci appaiono come degli sputi in faccia. Se non ci fossero stati quegli utili, quante attese in meno avrebbero dovuto sopportare i cittadini di questa regione? Quanti posti letto in più ci sarebbero ancora? Quanto meno drammaticamente si sarebbe potuta affrontare l’emergenza del coronavirus?

Davanti a questa soddisfazione da parte della destra, si sente forse qualche obiezione di personaggi di quella che mi ostino a chiamare sinistra? 

Il primo passo dell’attraversata del deserto è ancora ben lontano dall’ essere fatto.


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