lunedì 13 luglio 2020

Sudditi e cittadini

Non sono pochi coloro che si chiedono come sia stato possibile che la nostra situazione sociale, politica, economica, sia precipitata tanto in basso; e perché ormai da troppi anni si stia lì a lambiccarsi il cervello per scegliere il meno peggio per cui votare, visto che il concetto di “migliore” sembra aver abbandonato le nostre terre.

Lasciamo pur perdere la bambinesca assurdità di chi giustifica la propria sconfitta sostenendo che gli elettori non lo hanno capito e lasciamo da parte anche la smania suicida della sinistra che non ha mai compreso che si può andare alle elezioni assieme per poi – poi – discutere tra le varie anime della sinistra per riuscire a cambiare le cose dal di dentro, invece che limitarsi a recriminare dal di fuori. A livello più alto potremmo anche dire che non si comprende perché un popolo di sinistra, convinto di votare per coscienza, valori e ideali, dovrebbe accettare di sottoscrivere spot pubblicitari creati soltanto per correre dietro a quello che indicano i sondaggi.

Ma la realtà più profonda è che non stiamo prendendo in considerazione il fatto che il nostro popolo – e non soltanto il nostro – sta subendo una mutazione, o, meglio, un’involuzione: da cittadini già abbastanza formati, stiamo tornando alla condizione di sudditi.

Un esempio illuminante ci arriva proprio dalle vicende del Covid-19 e della sanità. Per compensare il personale sanitario, di qualunque livello, per l’opera svolta e i rischi corsi, ben al di là del proprio dovere, tutti stanno parlando di “bonus”, di premi. Lasciamo pur perdere il valore pecuniario ridicolo proposto, ma è il concetto stesso a destare scandalo: stiamo parlando di quelle “graziose regalie” che una volta i signorotti feudali elargivano a coloro che si erano comportati bene in un qualche frangente e che poi dovevano tornare silenziosamente a fare i servi della gleba, o a diventare nuovamente carne da sacrificare in una qualche guerra di espansione territoriale. I “bonus” si elargiscono ai sudditi; con i cittadini si discute su come le finanze pubbliche possono assorbire i contraccolpi di doverosi aumenti di stipendio commisurati al fatto che si è riusciti a dimostrare professionalità, competenza e abnegazione che meritano maggiore considerazione e rispetto. Con i cittadini si discute su come riuscire a ridare alla massa degli operatori sanitari quella consistenza capace, sia di evitare turni massacranti (e quindi pericolosi per sé e per gli altri), sia di permettere ai pazienti di arrivare in tempi umani a quegli esami, anche e soprattutto non legati direttamente al coronavirus, che per molti possono significare la differenza tra la vita e la morte. E forse tutti noi ne conosciamo qualcuno.

Che, dopo un lungo periodo di orgoglio umano, stiamo involvendo nuovamente verso la condizione di sudditi è dimostrato anche dal colpevole silenzio popolare con cui sono accolte molte porcate politiche; sia passive come l’immobilità di fronte ai cosiddetti “Decreti sicurezza” di Salvini, evidentemente inumani e già in parte sconfessati anche dalla Corte costituzionale; sia attive come la decisione di dimezzare il Parlamento e, quindi, di mutilare il dibattito parlamentare, cancellando in gran parte il concetto costituzionale di rappresentanza. Ma anche andando a parlare di risparmi sul “costo della politica” che è sicuramente alto vista l'inadeguatezza di certi parlamentari, ma che sarebbe assolutamente proporzionato se si pensasse alla qualità e professionalità e non al numero dei nostri rappresentanti alla Camera e al Senato. Il fatto che poi certe scelte attive e certi ritardi vengano giustificati con motivi elettoralistici rendono ancora più odiosi questi comportamenti.

In questo quadro appaiono sempre più evidenti le motivazioni di alcuni comportamenti che ci hanno stupito e dei quali faticavamo a trovare giustificazioni logiche. Mi riferisco alla metodica distruzione di qualsiasi istituzione, organizzazione, o gruppo che cerchi di tenere alto il concetto di cultura. Mi riferisco alla sistematica sottrazione di risorse a un’istituzione fondamentale per qualsia forma di democrazia vera, come la scuola. Mi riferisco al tentativo, per ora abortito, ma già fatto balenare di nuovo all’orizzonte, di togliere la storia dalle materie da portare agli esami conclusivi dei cicli di studi, depotenziandone, quindi, l’interesse durante l’intero corso di istruzione e preparandone la soppressione totale, come è già accaduto per la geografia, altra materia importantissima per comprendere molte cose che Wikipedia non può, né vuole spiegare.

Per capirne le ragioni, provate a traguardare questi comportamenti attraverso la lente di una considerazione elementare: i sudditi non hanno bisogno di memoria. Perché non devono scegliere e, tanto meno, devono poter ragionare prima di scegliere. Ai sudditi al massimo è concesso di applaudire chi appare più disponibile a far sentire il proprio “grazioso favore” nei confronti della categoria, o del gruppo nel quale ci si crede inseriti.

A me questa situazione fa infuriare e fa anche capire che non basta andare a votare di tanto in tanto per riuscire a cambiarla: occorre parlare, scrivere, protestare, convincere, se vogliamo tornare a tutto titolo umani. Capaci anche e soprattutto di sbagliare, ma in proprio.

Ricordo che da bambino alcuni tentavano di insegnarmi che se qualcuno mi chiamava dovevo rispondere: «Comandi!». Già quella volta lo consideravo un’umiliazione inammissibile. Non posso accettare il pensiero che quell’ossequiosa risposta possa tornare di moda rendendo palese una resa senza condizione di una nazione non a chi è migliore, ma a chi è più potente, o più ricco. Non si può più stare zitti.

Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/

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