Non
sono pochi coloro che si chiedono come sia stato possibile che la
nostra situazione sociale, politica, economica, sia precipitata tanto in
basso; e perché ormai da troppi anni si stia lì a lambiccarsi il
cervello per scegliere il meno peggio per cui votare, visto che il
concetto di “migliore” sembra aver abbandonato le nostre terre.
Lasciamo pur perdere la bambinesca
assurdità di chi giustifica la propria sconfitta sostenendo che gli
elettori non lo hanno capito e lasciamo da parte anche la smania suicida
della sinistra che non ha mai compreso che si può andare alle elezioni
assieme per poi – poi – discutere tra le varie anime della sinistra per
riuscire a cambiare le cose dal di dentro, invece che limitarsi a
recriminare dal di fuori. A livello più alto potremmo anche dire che non
si comprende perché un popolo di sinistra, convinto di votare per
coscienza, valori e ideali, dovrebbe accettare di sottoscrivere spot
pubblicitari creati soltanto per correre dietro a quello che indicano i
sondaggi.
Ma la realtà più profonda è che
non stiamo prendendo in considerazione il fatto che il nostro popolo – e
non soltanto il nostro – sta subendo una mutazione, o, meglio,
un’involuzione: da cittadini già abbastanza formati, stiamo tornando
alla condizione di sudditi.
Un esempio illuminante ci arriva
proprio dalle vicende del Covid-19 e della sanità. Per compensare il
personale sanitario, di qualunque livello, per l’opera svolta e i rischi
corsi, ben al di là del proprio dovere, tutti stanno parlando di
“bonus”, di premi. Lasciamo pur perdere il valore pecuniario ridicolo
proposto, ma è il concetto stesso a destare scandalo: stiamo parlando di
quelle “graziose regalie” che una volta i signorotti feudali elargivano
a coloro che si erano comportati bene in un qualche frangente e che poi
dovevano tornare silenziosamente a fare i servi della gleba, o a
diventare nuovamente carne da sacrificare in una qualche guerra di
espansione territoriale. I “bonus” si elargiscono ai sudditi; con i
cittadini si discute su come le finanze pubbliche possono assorbire i
contraccolpi di doverosi aumenti di stipendio commisurati al fatto che
si è riusciti a dimostrare professionalità, competenza e abnegazione che
meritano maggiore considerazione e rispetto. Con i cittadini si discute
su come riuscire a ridare alla massa degli operatori sanitari quella
consistenza capace, sia di evitare turni massacranti (e quindi
pericolosi per sé e per gli altri), sia di permettere ai pazienti di
arrivare in tempi umani a quegli esami, anche e soprattutto non legati
direttamente al coronavirus, che per molti possono significare la
differenza tra la vita e la morte. E forse tutti noi ne conosciamo
qualcuno.
Che,
dopo un lungo periodo di orgoglio umano, stiamo involvendo nuovamente
verso la condizione di sudditi è dimostrato anche dal colpevole silenzio
popolare con cui sono accolte molte porcate politiche; sia passive come
l’immobilità di fronte ai cosiddetti “Decreti sicurezza” di Salvini,
evidentemente inumani e già in parte sconfessati anche dalla Corte
costituzionale; sia attive come la decisione di dimezzare il Parlamento
e, quindi, di mutilare il dibattito parlamentare, cancellando in gran
parte il concetto costituzionale di rappresentanza. Ma anche andando a
parlare di risparmi sul “costo della politica” che è sicuramente alto
vista l'inadeguatezza di certi parlamentari, ma che sarebbe
assolutamente proporzionato se si pensasse alla qualità e
professionalità e non al numero dei nostri rappresentanti alla Camera e
al Senato. Il fatto che poi certe scelte attive e certi ritardi vengano
giustificati con motivi elettoralistici rendono ancora più odiosi questi
comportamenti.
In questo quadro appaiono sempre
più evidenti le motivazioni di alcuni comportamenti che ci hanno stupito
e dei quali faticavamo a trovare giustificazioni logiche. Mi riferisco
alla metodica distruzione di qualsiasi istituzione, organizzazione, o
gruppo che cerchi di tenere alto il concetto di cultura. Mi riferisco
alla sistematica sottrazione di risorse a un’istituzione fondamentale
per qualsia forma di democrazia vera, come la scuola. Mi riferisco al
tentativo, per ora abortito, ma già fatto balenare di nuovo
all’orizzonte, di togliere la storia dalle materie da portare agli esami
conclusivi dei cicli di studi, depotenziandone, quindi, l’interesse
durante l’intero corso di istruzione e preparandone la soppressione
totale, come è già accaduto per la geografia, altra materia
importantissima per comprendere molte cose che Wikipedia non può, né
vuole spiegare.
Per capirne le ragioni, provate a
traguardare questi comportamenti attraverso la lente di una
considerazione elementare: i sudditi non hanno bisogno di memoria.
Perché non devono scegliere e, tanto meno, devono poter ragionare prima
di scegliere. Ai sudditi al massimo è concesso di applaudire chi appare
più disponibile a far sentire il proprio “grazioso favore” nei confronti
della categoria, o del gruppo nel quale ci si crede inseriti.
A me questa situazione fa
infuriare e fa anche capire che non basta andare a votare di tanto in
tanto per riuscire a cambiarla: occorre parlare, scrivere, protestare,
convincere, se vogliamo tornare a tutto titolo umani. Capaci anche e
soprattutto di sbagliare, ma in proprio.
Ricordo che da bambino alcuni
tentavano di insegnarmi che se qualcuno mi chiamava dovevo rispondere:
«Comandi!». Già quella volta lo consideravo un’umiliazione
inammissibile. Non posso accettare il pensiero che quell’ossequiosa
risposta possa tornare di moda rendendo palese una resa senza condizione
di una nazione non a chi è migliore, ma a chi è più potente, o più
ricco. Non si può più stare zitti.
Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/
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