sabato 11 luglio 2020

La traversata del deserto

È ormai da anni che, sempre meno sorretti da una qualche fiducia nel futuro, sentiamo dire che stiamo affrontando una lunga e difficile “traversata del deserto”, locuzione che affonda le proprie radici nel racconto biblico del lungo viaggio compiuto dagli Ebrei durante l’esodo dall’Egitto verso la terra promessa, a rappresentare figurativamente una fase di transizione fra due momenti storici e politici. Ebbene, anche se a prima vista può sembrare un modo di dire azzeccato, è, invece, del tutto sbagliato, sia perché il deserto non è assolutamente tale, sia in quanto una traversata postula un movimento, mentre noi siamo del tutto immobili; ancora in attesa di fare il primo, tremebondo passo.

Il deserto, dicevo, non è assolutamente tale; anzi, è popolato da creature pericolose e, questo sì come nel deserto, spesso abili nel mimetismo. Non è sicuramente mimetico Salvini quando, commentando l’apertura di una sede della Lega in via delle Botteghe oscure, in maniera clownesca, ma soprattutto blasfema, proclama che «i valori di una certa sinistra che fu, quella di Berlinguer, sono stati raccolti dalla Lega». Ma, in questo, ancora una volta il problema non è Salvini, ma la massa di tutti coloro che non si rendono conto di quanto il ras della Lega li stia circuendo da anni.

Del tutto appariscente è anche Renzi con i suoi quotidiani ricatti fatti soprattutto per far ricordare al mondo che esiste ancora, mentre attentamente confusa con il panorama desolato di un deserto è la Meloni, capace di pensare le medesime oscenità di Salvini, ma anche di esporle in maniera meno strillata, ma più efficace nell'attrarre sovranisti e nostalgici di vario tipo.


Poco mimetici sono anche quelli di Forza Italia che, sull’onda di dichiarazioni di un giudice su una delle condanne di Berlusconi, casualmente tirate fuori adesso da una trasmissione Mediaset a giudice defunto, pretenderebbero di far diventare senatore a vita colui che, con le sue televisioni, ha minato il tessuto etico e politico di un intero Paese. Come se al di là di quella condanna, il suo rapporto con la giustizia non fosse stato contrassegnato soprattutto da scadenze di termini e come se qualcuno degli attuali senatori a vita fosse disposto a immolarsi per far posto al signore delle “cene eleganti”.

Ben più mimetici, purtroppo sono molti di coloro che dovrebbero essere i Mosè della situazione e che, invece, troppo spesso si soffermano a guardare con interesse una serie di apparenti idoli d’oro che comunemente sono ritenuti in grado di convogliare voti verso i loro adoratori, o almeno, verso quelli che non vi si oppongono con forza.

Mi sto riferendo, ovviamente, al PD, o a quella sua parte che vive nel silenzio, pensando che possa essere sufficiente capitalizzare gli errori, le indegnità e le assurdità degli altri, senza neppure sforzarsi di offrire un tentativo di mappa di quell’attraversamento; senza nemmeno azzardarsi a fare il primo passo perché questo significherebbe alzare nuovamente, come bandiere da seguire, valori e coscienze, termini apparentemente del tutto fuori moda in un’epoca in cui la moda e l’apparenza fanno premio quasi su tutto.

Come può il PD aver lasciato che siano ancora in vigore i cosiddetti “Decreti sicurezza” di Salvini che costringono ancora decine di profughi a restare su navi che li hanno salvati rischiando anche delle multe.

Come può il PD restare in silenzio mentre si avvicina un referendum che non rischierà soltanto di dimezzare il Parlamento, ma anche di mutilare la democrazia rendendo il dibattito più rarefatto e la rappresentanza soltanto un ricordo?

Come può il PD lasciar passare quasi sotto silenzio l’incontro, durato all’incirca tre ore a palazzo Chigi, tra il presidente del Consiglio Giuseppe Conte e tale Davide Casaleggio? Perché questo signore, ufficialmente, è soltanto un imprenditore, proprietario della Casaleggio Associati e, quindi, tenutario della piattaforma Rousseau che pretenderebbe di gestire una sorta di democrazia diretta. Tre ore di discussioni politiche tra un presidente indicato da alcuni partiti e designato dal Presidente della Repubblica e un signore non designato da nessuno se non da se stesso e dal fatto di aver ereditato un movimento cofondato da suo padre Gianroberto e da Beppe Grillo.

Non sarebbe stato il caso che il partito che dovrebbe rappresentare almeno una parte della sinistra e che dovrebbe essere uno dei pochi garanti rimasti della nostra Costituzione e della nostra democrazia, facesse sentire la propria voce per chiedere al presidente del Consiglio a che titolo dare tanto spazio a qualcuno che dalla democrazia e dei partiti non sa cosa farsene nemmeno in casa propria?
 

Intanto, sentiamo che l’assessore regionale del Friuli Venezia Giulia, Riccardo Riccardi, è felice di annunciare che la Sanità in regione nel 2019 ha accumulato attivi per 14 milioni e 700 mila euro. 
Dal suo punto di vista politico è un’esultanza comprensibile e razionale, ma non lo è per noi che non riteniamo che la sanità possa essere chiamata “azienda”, perché siamo convinti che debba produrre salute e vita e non utili: questi risultati ci appaiono come degli sputi in faccia. Se non ci fossero stati quegli utili, quante attese in meno avrebbero dovuto sopportare i cittadini di questa regione? Quanti posti letto in più ci sarebbero ancora? Quanto meno drammaticamente si sarebbe potuta affrontare l’emergenza del coronavirus?

Davanti a questa soddisfazione da parte della destra, si sente forse qualche obiezione di personaggi di quella che mi ostino a chiamare sinistra? 

Il primo passo dell’attraversata del deserto è ancora ben lontano dall’ essere fatto.


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