È
ormai da anni che, sempre meno sorretti da una qualche fiducia nel
futuro, sentiamo dire che stiamo affrontando una lunga e difficile
“traversata del deserto”, locuzione che affonda le proprie radici nel
racconto biblico del lungo viaggio compiuto dagli Ebrei durante l’esodo
dall’Egitto verso la terra promessa, a rappresentare figurativamente una
fase di transizione fra due momenti storici e politici. Ebbene, anche
se a prima vista può sembrare un modo di dire azzeccato, è, invece, del
tutto sbagliato, sia perché il deserto non è assolutamente tale, sia in
quanto una traversata postula un movimento, mentre noi siamo del tutto
immobili; ancora in attesa di fare il primo, tremebondo passo.
Il deserto, dicevo, non è
assolutamente tale; anzi, è popolato da creature pericolose e, questo sì
come nel deserto, spesso abili nel mimetismo. Non è sicuramente
mimetico Salvini quando, commentando l’apertura di una sede della Lega
in via delle Botteghe oscure, in maniera clownesca, ma soprattutto
blasfema, proclama che «i valori di una certa sinistra che fu, quella di
Berlinguer, sono stati raccolti dalla Lega». Ma, in questo, ancora una
volta il problema non è Salvini, ma la massa di tutti coloro che non si
rendono conto di quanto il ras della Lega li stia circuendo da anni.
Del tutto appariscente è anche
Renzi con i suoi quotidiani ricatti fatti soprattutto per far ricordare
al mondo che esiste ancora, mentre attentamente confusa con il panorama
desolato di un deserto è la Meloni, capace di pensare le medesime
oscenità di Salvini, ma anche di esporle in maniera meno strillata, ma
più efficace nell'attrarre sovranisti e nostalgici di vario tipo.
Poco mimetici sono anche quelli di
Forza Italia che, sull’onda di dichiarazioni di un giudice su una delle
condanne di Berlusconi, casualmente tirate fuori adesso da una
trasmissione Mediaset a giudice defunto, pretenderebbero di far
diventare senatore a vita colui che, con le sue televisioni, ha minato
il tessuto etico e politico di un intero Paese. Come se al di là di
quella condanna, il suo rapporto con la giustizia non fosse stato
contrassegnato soprattutto da scadenze di termini e come se qualcuno
degli attuali senatori a vita fosse disposto a immolarsi per far posto
al signore delle “cene eleganti”.
Ben più mimetici, purtroppo sono
molti di coloro che dovrebbero essere i Mosè della situazione e che,
invece, troppo spesso si soffermano a guardare con interesse una serie
di apparenti idoli d’oro che comunemente sono ritenuti in grado di
convogliare voti verso i loro adoratori, o almeno, verso quelli che non
vi si oppongono con forza.
Mi sto riferendo, ovviamente, al
PD, o a quella sua parte che vive nel silenzio, pensando che possa
essere sufficiente capitalizzare gli errori, le indegnità e le assurdità
degli altri, senza neppure sforzarsi di offrire un tentativo di mappa
di quell’attraversamento; senza nemmeno azzardarsi a fare il primo passo
perché questo significherebbe alzare nuovamente, come bandiere da
seguire, valori e coscienze, termini apparentemente del tutto fuori moda
in un’epoca in cui la moda e l’apparenza fanno premio quasi su tutto.
Come può il PD aver lasciato che
siano ancora in vigore i cosiddetti “Decreti sicurezza” di Salvini che
costringono ancora decine di profughi a restare su navi che li hanno
salvati rischiando anche delle multe.
Come può il PD restare in silenzio
mentre si avvicina un referendum che non rischierà soltanto di
dimezzare il Parlamento, ma anche di mutilare la democrazia rendendo il
dibattito più rarefatto e la rappresentanza soltanto un ricordo?
Come può il PD lasciar passare
quasi sotto silenzio l’incontro, durato all’incirca tre ore a palazzo
Chigi, tra il presidente del Consiglio Giuseppe Conte e tale Davide
Casaleggio? Perché questo signore, ufficialmente, è soltanto un
imprenditore, proprietario della Casaleggio Associati e, quindi,
tenutario della piattaforma Rousseau che pretenderebbe di gestire una
sorta di democrazia diretta. Tre ore di discussioni politiche tra un
presidente indicato da alcuni partiti e designato dal Presidente della
Repubblica e un signore non designato da nessuno se non da se stesso e
dal fatto di aver ereditato un movimento cofondato da suo padre
Gianroberto e da Beppe Grillo.
Non sarebbe stato il caso che il
partito che dovrebbe rappresentare almeno una parte della sinistra e che
dovrebbe essere uno dei pochi garanti rimasti della nostra Costituzione
e della nostra democrazia, facesse sentire la propria voce per chiedere
al presidente del Consiglio a che titolo dare tanto spazio a qualcuno
che dalla democrazia e dei partiti non sa cosa farsene nemmeno in casa
propria?
Intanto, sentiamo che l’assessore regionale del Friuli Venezia Giulia,
Riccardo Riccardi, è felice di annunciare che la Sanità in regione nel
2019 ha accumulato attivi per 14 milioni e 700 mila euro.
Dal suo punto
di vista politico è un’esultanza comprensibile e razionale, ma non lo è
per noi che non riteniamo che la sanità possa essere chiamata “azienda”,
perché siamo convinti che debba produrre salute e vita e non utili:
questi risultati ci appaiono come degli sputi in faccia. Se non ci
fossero stati quegli utili, quante attese in meno avrebbero dovuto
sopportare i cittadini di questa regione? Quanti posti letto in più ci
sarebbero ancora? Quanto meno drammaticamente si sarebbe potuta
affrontare l’emergenza del coronavirus?
Davanti a questa soddisfazione da
parte della destra, si sente forse qualche obiezione di personaggi di
quella che mi ostino a chiamare sinistra?
Il primo passo
dell’attraversata del deserto è ancora ben lontano dall’ essere fatto.
Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/
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