domenica 21 gennaio 2024

La colpevole maggioranza silenziosa

Dopo quello che è successo allo Stadio Friuli, dove la partita tra Udinese e Milan è stata sospesa per 5 minuti perché il portiere ospite, Mike Maignan, seguito dai suoi compagni di squadra, è uscito dal campo perché stufo degli insulti razzisti a lui rivolti da alcuni spettatori della curva Nord, a me interessa molto poco sentir accusare «pochi sciocchi non tifosi» che si sono comportati in maniera indegna; che anche questo può aver influito sul pessimo risultato sportivo; che così ne esce compromessa la faccia «di una tra le città più civili d’Italia, spesso in prima linea per i diritti delle minoranze», anche perché tutta la scena è stata vista in diretta tv, come se la realtà diventasse tale soltanto se appare su uno schermo.

Mi interesserebbe molto di più se si cominciasse a mettere sotto accusa chi ha permesso che quei «pochi sciocchi non tifosi» facessero quello che hanno fatto. E non mi riferisco soltanto all’Udinese Calcio che, come tutte le Società delle serie maggiori di questo sport in Italia, è succube, o ricattata, e comunque colpevolmente silenziosa davanti a casi di razzismo, o di violenza, anche se ormai i loro introiti dipendono più dalle tv che dalle vendite dei biglietti.

Chiamo in causa soprattutto i tantissimi – se è vero che i cretini e i razzisti sono pochi – che erano presenti e che hanno permesso che accadesse quello che è accaduto, magari sorridendo, o con indifferenza, o anche disapprovando, ma in totale silenzio. Perché non sono pochi scemi – è un buon sinonimo di razzisti – a rovinare il nome di una città civilissima, ma i tanti che li hanno lasciati fare e, ancor prima, li hanno lasciati diventare quello che sono diventati. Perché una comunità diventa tale non soltanto se è capace di applicare la solidarietà, ma anche e soprattutto se si rende conto che sempre deve essere presente anche il concetto di corresponsabilità. Perché di quello che è successo allo Stadio Friuli siamo responsabili tutti, perché la cura di una comunità spetta a tutti coloro che di quella comunità fanno parte. È questa l’idea base sulla quale è nato il concetto di democrazia. è questa l’idea che, quando è mancata, ha spianato la strada all’avanzare di qualsiasi dittatura abbia deturpato questo nostro mondo.

E adesso? Adesso alla società non tocca soltanto di non lamentarsi davanti alle sanzioni che indubbiamente arriveranno, al minimo con la chiusura per un paio di partite della curva Nord: deve soprattutto chiedere scusa – e in maniera palese – a Mike Maignan, al Milan e a tutti coloro che amano lo sport e anche cominciare a punire coloro che sono i responsabili più apparenti di questa schifezza, individuandoli e togliendo loro il diritto di entrare allo stadio, anche restituendo una parte dei soldi dell’eventuale abbonamento.

Tenendo anche conto che questo stadio probabilmente non sarà squalificato, ma visto quello che vi succede, dovrebbe essere vietato ai minori perché se è vero che si impara dagli esempi, è altrettanto vero che anche gli esempi negativi, soprattutto se legati a una specie di impunità, devono essere considerati capaci di entrare nelle menti ancora in via di formazione.

E i tifosi? A loro spetta il compito più impegnativo: quello di fare la guardia a loro stessi, di non urlare soltanto contro l’arbitro, ma anche e soprattutto contro i propri compagni di tribuna, gradinata, o curva, se eccedono, se sconfinano nella violenza, nelle soperchierie, nel razzismo. Non si può stare zitti e sentirsi virtuosi solo perché, appunto, si è stati zitti. E magari poi lamentarsi perché la curva rimane chiusa. È come lamentarsi di come va una nazione dopo essersene sempre disinteressati e non essere andati neppure a votare.

venerdì 19 gennaio 2024

E l’articolo 527 del Codice penale?

Mi hanno insegnato a non criticare mai le sentenze della Magistratura, anche se sono convintamente in disaccordo con il verdetto. E anche questa volta farò così, limitandomi a esporre i fatti e a dare un suggerimento.

Le Sezioni unite della Corte di Cassazione erano chiamate a giudicare otto militanti di estrema destra che hanno fatto il saluto romano a Milano il 29 aprile 2016, alla commemorazione di Sergio Ramelli, militante del Fronte della Gioventù, aggredito nel 1975 da un gruppo di attivisti della sinistra extraparlamentare e morto oltre un mese e mezzo dopo per i traumi riportati. Gli aggressori di quella volta furono riconosciuti colpevoli di omicidio volontario.

Gli attuali imputati per il saluto romano erano stati assolti in primo grado e poi condannati in appello. Ora dovranno tornare davanti ai giudici d’appello su dispositivo della Suprema Corte che ha ritenuto che per i saluti romani non vada applicata la legge Scelba (formalmente legge 20 giugno 1952, n. 645) che, in attuazione della XII disposizione transitoria e finale della Costituzione, introdusse il reato di apologia del fascismo, in quanto – ha stabilito la Corte – «la “chiamata del presente” o “saluto romano” è un rituale evocativo della gestualità propria del disciolto partito fascista», ma che tale legge vada applicata «ove, avuto riguardo a tutte le circostanze del caso, sia idonea a integrare il concreto pericolo di riorganizzazione del disciolto partito fascista». E, obbiettivamente, in quella commemorazione molti hanno avuto nostalgia del drammatico ventennio, ma nessuno ha detto, o scritto, «E adesso riorganizziamo il disciolto partito fascista».

Eventualmente, continua la Corte, va valutata la legge Mancino (legge 25 giugno 1993, n. 205) anche se solo «a determinate condizioni» può configurarsi anche il delitto che «vieta il compimento di manifestazioni esteriori proprie o usuali di organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi che hanno tra i propri scopi l’incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi». E anche in questo caso non risulta che in nessun discorso ufficiale sia stato esplicitato l’odio che il disciolto partito fascista aveva fatto diventare leggi razziste, più che razziali, o esplicitato con una serie di dichiarazioni di guerra e con le feroci e sanguinarie avventure coloniali.

Ineccepibile, dunque, ma mi piacerebbe dare un sommesso consiglio agli avvocati che dovranno affrontare in altre occasioni processi contro i saluti romani che, dopo questa sentenza, sicuramente si moltiplicheranno a dismisura grazie a un senso di impunità gioiosamente subito messo in evidenza da Casa Pound. Provate a tirare in ballo anche l’articolo 527 del Codice Penale, quello in cui si dice che «Chiunque, in luogo pubblico, o aperto, o esposto al pubblico, compie atti osceni è soggetto alla sanzione amministrativa pecuniaria da euro 5.000 a euro 30.000. Si applica la pena della reclusione da quattro mesi a quattro anni e sei mesi se il fatto è commesso all’interno o nelle immediate vicinanze di luoghi abitualmente frequentati da minori e se da ciò deriva il pericolo che essi vi assistano».

Perché poco ci può essere di più osceno del comportamento di chi ha nostalgia del partito fascista, di chi rimpiange le sue leggi e i suoi comportamenti, di chi sbeffeggia o addirittura offende coloro che durante la Resistenza hanno dato la vita per ridare la libertà di vita e di scelta agli italiani, di chi oggi sognerebbe di togliere libertà, diritti e pensiero, di chi ambirebbe di riuscire a ridurre la democrazia a un simulacro dietro al quale c’è soltanto autoritarismo.

domenica 7 gennaio 2024

La dannazione del silenzio

Ma qualcuno crede davvero che una persona sufficientemente intelligente e non sotto l’effetto di alcol, o di sostanze psicotrope, possa acquistare qualcosa di visibilmente marcio, o non funzionante, o largamente più oberato da debiti che dotato di profitti? È possibile pensare che si possano spendere milioni di euro senza prima dare un’occhiata approfondita ai bilanci delle aziende che si intendono acquistare?

Evidentemente no. E allora lo stato di crisi richiesto dopo solo un paio di mesi dall’acquisto, per i giornali del gruppo NEM – tra cui il Messaggero Veneto e Il Piccolo – non può non far pensare a quello che sta succedendo a quelle testate: 11 giornalisti da prepensionare nel quotidiano di Udine e 9 in quello di Trieste.

Lasciamo pur perdere la clamorosa assenza di una legge che impedisca di chiedere uno stato di crisi prima di un congruo periodo – almeno un paio di anni, ma proprio per tenersi bassi – dall’acquisto, ma le domande da porci sono davvero molte.

Solo per citarne alcune… Perché qualche industriale, banchiere o manager dovrebbe buttare via i soldi propri, o delle proprie aziende per acquistare qualcosa di fallimentare? Quali possono essere i vantaggi che in qualche maniera siano in grado di compensare queste perdite? Perché anche un quotidiano che crea guadagni, come il Messaggero Veneto, deve essere depauperato – anche più degli altri – con l’uscita anticipata di ben 11 professionisti di esperienza e di conoscenza anche storica del territorio? Siamo davvero convinti che la crisi economica dell’informazione sulla carta stampata non sia collegata all’impoverimento della qualità del prodotto, dovuta anche al fatto che sulle spalle dei giornalisti, comunque sempre di meno, si assommano pure i lavori che una volta erano coperti da correttori, impaginatori e poligrafici di vario tipo che ora non esistono più?

Potrei andare avanti a lungo con domande di questo tipo, ma quella che mi aggredisce, e che trasmetto con urgenza anche a voi, è questa: è possibile che la politica – ogni parte politica – sia così sorda davanti al clangore di qualcosa che sta crollando tragicamente, non soltanto per i non pochi posti di lavoro perduti, ma anche perché viene sempre più minata l’informazione, anche e soprattutto come pluralismo e, quindi, come garanzia per una democrazia che non sia soltanto di irritante facciata. Un silenzio assordante che, se è ben giustificato per coloro che mettono in atto, o sostengono questi modi di agire, è del tutto incomprensibile, oltre che inaccettabile, se osservato anche da quelli che dovrebbero opporsi, sia per convinzione, sia per dovere politico.

È vero: visto quello che sta succedendo, non dovremmo stupircene. A livello nazionale vediamo approvare la legge bavaglio che impone il divieto di pubblicazione «integrale o per estratto» del testo di un’ordinanza di custodia cautelare. A livello regionale con tanto silenzio e poche proteste è stato accolto l’allontanamento di una persona come Angelo Floramo da parte di una testata il cui nome non cito perché meriterebbe una damnatio memoriae. E il silenzio politico è pressoché totale anche davanti all’incredibile iniziativa della Danieli che ha chiesto di avere l'elenco dei firmatari della petizione contro il progetto di acciaieria a San Giorgio di Nogaro e che, dopo il rifiuto del Consiglio Regionale, per motivi di privacy, ha fatto ricorso al TAR per ottenere i documenti.

Ma il silenzio meno comprensibile e più preoccupante è quello nostro, quello dei cittadini, che ormai assorbono con rassegnazione qualunque schifezza venga loro inflitta: non protestano, non scendono più in piazza o per strada, non entrano più nei partiti per cambiarli perché ritengono impossibile farlo: non vanno più nemmeno a votare perché non trovano qualcuno sul cui nome sia desiderabile tracciare una croce. O cambieremo noi cittadini, oppure la sconfitta, la perdita di conoscenza, libertà, diritti, democrazia sarà inevitabile, anche se mai – lo dimostra la storia – definitiva.

Ma sarebbe tragico consolarsi così.