sabato 19 settembre 2015

La volta buona

Talvolta l’entusiasmo può tradire. Dopo la chiusura di tre ore, a inizio giornata, di Colosseo, Foro Romano e Palatino, Terme di Diocleziano e Ostia Antica, il ministro della Cultura, il dem (ma perché non si cambiano nome?) Dario Franceschini se ne è uscito con la frase: «Ora basta, la misura è colma», proponendo anche di inserire «i Musei tra i servizi pubblici essenziali». E immediatamente Renzi ha twittato: «Non lasceremo la cultura ostaggio di quei sindacalisti contro l’Italia. Oggi decreto legge #Colosseo#lavoltabuona».
Vi inviterei a lasciar pur perdere il fatto che la cultura, in Italia, è sempre stata ostaggio soltanto della politica che non l’ha mai sostenuta, ma, anzi l’ha affamata anche e soprattutto perché la cultura fa pensare e questa politica ha fame di voti senza motivazioni perché altrimenti le percentuali dei votanti si ridurrebbero ancora più drasticamente di così.

Lascerei pur perdere anche lo scontato tono spregiativo di «quei sindacalisti», ma vi inviterei a soffermare la vostra attenzione sul secondo hashtag: «#lavoltabuona» che lascia trasparire un entusiasmo e quasi un sospiro di sollievo che questa volta si potrebbe tradurre più o meno così: «Finalmente l’hanno fatta grossa e mi hanno dato la possibilità di intervenire contro di loro».

Ma l’hanno fatta davvero grossa i lavoratori sulle cui motivazioni sia Franceschini (che è stato addirittura per otto mesi segretario nazionale del PD), sia Renzi non hanno ritenuto di spendere una parola?

Vediamo. Intanto l’assemblea era stata richiesta in maniera legittima e nei termini di legge con l’anticipo di una settimana e, a quel punto, l’avviso del ritardo dell’apertura doveva essere eseguito non dalle rappresentanze sindacali – che pure l’hanno fatto con un comunicato stampa (che, inevitabilmente, non ha trovato il minimo spazio sugli organi di informazione) – ma dall’ente gestore dei siti archeologici che, in questo caso, non è il Comune, ma lo Stato.

Poi quelle che una volta – quando il termine non risultava così antipatico agli inquilini di palazzo Chigi – si chiamavano “rivendicazioni” non sono cose da poco perché nell’assemblea, che dicono essere stata molto affollata, si è parlato del mancato pagamento, da nove mesi in qua, delle indennità di turnazione e delle prestazioni per le centinaia di aperture straordinarie (dal primo maggio a quelle notturne) che – in omaggio ai contratti modellati sulla “produttività” – avrebbero dovuto costituire circa il 30% del salario; e si è discusso anche della mancata apertura di una trattativa per il rinnovo del contratto dei lavoratori pubblici bloccato per la parte economica da molti anni. Più una serie di altre questioni più specificatamente attinenti al lavoro e alla sicurezza.

Più tardi, l’ineffabile Franceschini, entrando a palazzo Chigi per la riunione del Consiglio dei ministri dove avrebbe chiesto un decreto ad hoc, ha affermato che «Nessuno vuole limitare il diritto dei lavoratori» a fare assemblee o scioperi, aggiungendo, però che «Servono delle regole chiare». Forse sarebbe stato più esatto dire che le regole chiare esistono già da molti anni, ma che al capo di questo governo quelle regole non piacciono e vuole cambiarle.
Intendiamoci: è assolutamente giusto rispettare (e non soltanto perché portano i soldi dei biglietti d’ingresso) i turisti che fanno lunghi viaggi per venire a vedere le nostre bellezze artistiche e storiche, ma sarebbe anche giusto che lo Stato pagasse nella maniera adeguata – ma almeno in quella pattuita – coloro che lavorano per lui. L’avesse fatto, oggi non si starebbe a discutere di questa assemblea perché probabilmente non sarebbe mai stata convocata.

«La volta buona», dice Renzi, perché vi vede l’occasione per continuare nella sua opera antisindacale e, quindi, per togliere un’altra fetta di diritti democratici ai cittadini di questo Paese. Sarebbe il caso che pensassimo più spesso a quanti italiani hanno sacrificato la loro vita durante la Resistenza e durante gli anni di piombo per realizzare il sogno di una repubblica davvero democratica e che ci domandassimo come abbiamo fatto a permettere di tradire così tanto quei sacrifici? Come abbiamo fatto a disattendere così tanto quelle speranze? Com’è possibile che questo nostro popolo italiano, così sensibile nel reagire alle invasioni del proprio territorio e delle proprietà individuali, sia così insensibile davanti alle invasioni dei diritti e alla loro conculcazione?


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giovedì 17 settembre 2015

Se il razzismo non è più reato

Confesso che ogni tanto mi viene il dubbio di trovarmi a criticare il PD di Renzi con una frequenza forse eccessiva; ma francamente la crescente lontananza da un partito per il quale ho quasi sempre votato sta diventando tale che mi sembra di essere addirittura fin troppo tenero e distratto nei suoi confronti. Non per quello che fa perché ogni leader di partito – in un’epoca in cui i partiti si sono ridotti a diventare semplici comitati elettorali – ha il diritto di fare ciò in cui crede, ma perché dice di farlo in nome della sinistra, mentre la sua forza elettorale è data in buona parte dal fatto che i tanti non più elettori del PD sono stati sostituiti da ex elettori berlusconiani soddisfatti del fatto che finalmente Renzi sta realizzando le cose di destra che Berlusconi non era stato capace di fare Oggi, però, il mio disappunto è dato da qualcosa che travalica le decisioni che potremmo definire “politiche” per entrare nel campo di quelle di coscienza. E anche qui le distanze stanno diventando abissali visto che è stato determinante il PD a salvare Roberto Calderoli dal processo di diffamazione con l’aggravante di istigazione al razzismo nei confronti dell'ex ministro Cécile Kyenge. Con il voto di una consistente parte dei senatori del PD l’aggravante è stata negata e, così, viene a cadere anche il processo per diffamazione che, da sola, avrebbe avuto bisogno di una denuncia di parte che non era mai stata presentata in quanto, con l’aggravante, si sarebbe dovuto procedere d’ufficio. È un voto che sdogana il razzismo, che fa sapere che, se si è parlamentari, ci si può fare un baffo non soltanto delle leggi, ma anche della Costituzione, si possono diseducare i giovani e offrire alibi ai beceri e ai violenti. E il perdono della Kyenge a Calderoli c'è stato (nella foto il momento delle scuse), ma soltanto a livello personale; non certamente - perché impossibile - sul piano istituzionale.

Merita ricordare le parole pronunciate da Calderoli nel luglio del 2013 riferendosi all’allora ministro Kyenge alla quale ora, ferita sanguinosamente da alcuni suoi colleghi di un partito nel quale non ha ancora deciso se restare, non rimane che rivolgersi alla Corte europea: «Ogni tanto – aveva sproloquiato il leghista –smanettando con internet, apro il sito del governo e quando vedo venire fuori la Kyenge io resto secco. Io sono anche un amante degli animali, per l'amore del cielo. Ho avuto le tigri, gli orsi, le scimmie e tutto il resto. Però quando vedo uscire delle sembianze di un orango, io resto ancora sconvolto».
Ebbene in queste frasi alcuni esponenti del PD non hanno rilevato gli estremi del razzismo. E nei loro confronti non è intervenuto il padrone del PD, Matteo Renzi, che pretende di cancellare la libertà di coscienza e l’autonomia di mandato dei suoi parlamentari quando si tratta di votare qualcosa che fa comodo a lui, ma che, pur riempiendosi la bocca di belle parole nei comizi che possono portare consensi, lascia perfettamente liberi quegli stessi parlamentari di sfregiare gli articoli della nostra Costituzione – almeno il 2 e il 3, per brevità – se la cosa non lo tocca direttamente.
E, bontà mia, mi rifiuto di credere che abbia potuto raggiungere un tale grado di abiezione – come hanno sospettato alcuni – da scambiare la non autorizzazione a procedere con il ritiro degli oltre mezzo milione di emendamenti presentati da Calderoli sulla riforma del Senato.
Il centrosinistra che ricordo io era molto attento a queste cose di semplice umanità, mentre era il centrodestra, quand’era in maggioranza, a permettere che i razzisti se la cavassero senza danni. Ma probabilmente sto sbagliando a usare il tempo imperfetto: sarebbe più giusto usare il presente. Perché il centrodestra non “era”, ma “è” la maggioranza.

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mercoledì 16 settembre 2015

Cosa preferiamo perdere?


La prima scena si svolge in Inghilterra dove la straripante vittoria, alle primarie, di Jeremy Corbyn, esponente della vera sinistra del Partito Laburista inglese, provoca due immediate e opposte reazioni: la corsa alla reiscrizione al Labour di migliaia di ex tesserati delusi dal progressivo spostarsi a destra del partito che da alcuni milioni di iscritti era passato a qualche centinaio di migliaia, e le previsioni catastrofiche per i destini elettorali di Corbyn da parte di Tony Blair, da altri esponenti di punta del Labour e da politologi assortiti. Sulle prime non c'è molto da dire se non che siamo convinti che questo succederebbe anche in Italia se il PD tornasse a essere un partito di centrosinistra. Le seconde, invece, meritano una certa attenzione perché dimostrano che se la sinistra sembra svegliarsi sono in molti a preoccuparsi della cosa.

La seconda scena avviene nelle stanze in cui la maggioranza del PD afferma di voler trovare un accordo unitario con la minoranza sulla spinosa questione delle riforme costituzionali legate al destino del Senato. La senatrice della minoranza dem, Doris Lo Moro abbandona il vertice e parla di «binario morto», specificando di non voler più partecipare alle riunioni con governo e capigruppo perché «non si sta discutendo di nulla». Non solo non si è toccato l'articolo 2 ma nemmeno l'articolo 1 sulle funzioni del nuovo Senato. A stretto giro risponde l’altera Maria Elena Boschi: «Non siamo preoccupati per i numeri» e «Sono emerse differenze all'interno della stessa minoranza Pd». E poi, ossequiente si accoda l’ineffabile Ettore Rosato: «Denis Verdini – aggiunge con incredibile eleganza – ha già votato questa riforma». Intanto Renzi fa esercitare delle pressioni su Grasso che ricordano molto quelle che Berlusconi effettuava a suo tempo ritenendo se stesso molto più importante delle leggi, dei regolamenti, della democrazia. Proprio come Renzi.

Sono due scene da considerare assolutamente insieme perché hanno il merito di riportare in primo piano una domanda che da troppi anni è stata accuratamente evitata, a livello individuale e collettivo, dalla politica e, purtroppo, soprattutto dagli elettori: «Posso accettare più facilmente di perdere le elezioni, o di perdere i miei ideali e, con essi, la mia identità?».
Una domanda che corrisponde, più o meno, a quella che ci pone davanti al bivio in cui decidere se lasciarsi supinamente cambiare dal mondo, oppure, anche se le probabilità di successo non sono tantissime, se tentare di far cambiare quello stesso mondo che non ci piace troppo. Se lasciarsi annullare dalla presunta forza altrui, o lottare con la forza propria.

Perché è la prima ipotesi che le persone di sinistra e di centrosinistra stanno rischiando oggi. Alcuni preferiscono uscire dal PD e condurre la propria battaglia dal di fuori; altri preferiscono farlo dal di dentro; ed entrambe le scelte vanno rispettate, purché non ci sia rassegnazione. Sono scelte divergenti nella parte decisionale, ma partono dal medesimo presupposto che proprio in Blair trova un esempio storico indiscutibile: Blair è stato primo ministro britannico per dieci anni (gli stessi a cui punta Renzi); ha vinto, ma ha tradito le radici del suo partito realizzando politiche di destra e, così facendo, lo ha desertificato. Ora non è detto che Corbyn possa vincere al prossimo appuntamento elettorale (come Syriza in Grecia e, in parte, Podemos in Spagna), ma ha regalato di nuovo alla Gran Bretagna un vero dibattito democratico che prende finalmente il posto di un monologo neoliberista; anche se il “neo–” probabilmente è di più. Renzi sta imitando il suo maestro, ma forse noi, ammaestrati dal passato, potremmo evitare il disastro inglese.

E magari dovremmo anche renderci conto che la sconfitta della sinistra è cominciata con l’accettazione del sistema maggioritario (non è un’accusa ad altri, perché anch’io allora ho votato in maniera sbagliata) che avrebbe dovuto essere rifiutato non perché contrario agli interessi della sinistra, ma perché contrario agli ideali della sinistra che ha sempre voluto che tutti, non solo i potenti, avessero voce, ma anche peso, in capitolo.


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lunedì 7 settembre 2015

Il ponte stradale di Budapest

strazioNessuna vita dovrebbe mai essere sacrificata per qualcosa. Tanto meno quella di un bambino. La foto che qui unisco è stata straziante quando ha cominciato a girare su internet, lo è ancora e continuerà per sempre a esserlo. Vorrei non averla mai vista. Ogni volta che la rivedo mi sforzo di non piangere. E non sempre ci riesco. Perché riproporla oggi? Perché forse sarà questa foto a cambiare il destino di un continente, o, addirittura, del mondo. Lasciamo pur perdere il fatto che si è parlato delle cose che qui si vedono per anni e che nulla si è mai mosso confermando il fatto che sono gli occhi e non le orecchie a mettere in moto il cervello e il cuore; le emozioni e non i ragionamenti. Ma senza questa foto oggi non assisteremmo al fatto che i governi razzisti, xenofobi, o anche soltanto isolazionisti, sono in difficoltà, se non in crisi; che anche i tanti governi indifferenti, o attenti soltanto a curare le proprie coltivazioni di voti, hanno assunto posizioni più solidali e responsabili; che un numero incredibile di gente ha deciso di non curare più soltanto il proprio orticello, ma di darsi da fare per aiutare gli altri; e non soltanto il prossimo - perché chi sta arrivando appare lontanissimo - ma chiunque ha bisogno.
Senza questa foto quello che è il Paese con il governo probabilmente in testa nella classifica del razzismo, l’Ungheria, oggi non sarebbe invasa da automobili di cittadini di uno che era considerato tra i Paesi più indifferenti, l’Austria: cittadini che attraversano il confine per andare a prendere i profughi bloccati a Budapest e per portarli verso la speranza. E se ancora oggi parliamo del "ponte aereo di Berlino", che ha permesso alla principale città tedesca di sopravvivere, pur soffocata dalla morsa sovietica, per molto più a lungo dovremo parlare del “ponte automobilistico di Budapest” che ha permesso alla civiltà dell’Europa di sopravvivere, pur soffocata dalla morsa dell’egoismo e dell’indifferenza.
E questa foto, pur senza parlare, non può non chiedere a ognuno di noi se a qualcuno può davvero importare se quel povero bambino stava scappando dalla probabile morte per guerra, o dalla morte per fame, o per malattie? Non può non chiederci se davvero qualcuno, dotato ancora di qualche briciola di sentimento umano, può credere che dei genitori rischino la vita dei figli, oltre che la propria, alla leggera, soltanto per vivere un po’ meglio. Si può forse consigliare pazienza a un genitore che vede inscheletrire e morire i propri figli anche se non trapassati da proiettili e schegge, soltanto perché quelli che sono comunque veri e propri soprusi di regimi di vario tipo non sono ufficialmente considerati tali?
È possibile che in questo strazio al quale stiamo assistendo si possa ragionare in termini quantitativi? Davanti alla lunghissima fila di disperati che chiedono di entrare per salvare se stessi e i propri cari, quando e perché si dovrebbe poter dire «Basta. Il posto è esaurito. Tu ancora puoi passare; tu, invece, devi tornartene indietro a morire. E senza protestare, senza rompere le scatole e senza tentare di entrare lo stesso.»?
Davanti a quale diritto conculcato si può dire «Tu puoi passare» e davanti a quale, invece, si chiude la porta e si dice «Tu resti fuori»? Chi è che deve stabilire qual è il limite oltre il quale si è autorizzati a non sopportare più e a cercare di andarsene, se non si ha l’animo di fare rivoluzioni? Si può forse legarlo ai voleri della maggioranza del momento del Paese di accoglienza?
In realtà, almeno in Italia, la risposta sarebbe semplice: basterebbe, infatti, affidarsi all’articolo 10 della nostra tanto pericolante Costituzione che dice «Lo straniero al quale sia impedito nel suo Paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica secondo le condizioni stabilite dalla legge».
E tra le libertà democratiche si sono anche quelle di mangiare, di essere in buona salute, di poter curare i propri cari e di cercare un futuro degno e dignitoso per sé e per loro.
Tutto questo costa? È vero. Ma, come sempre, le spese devono essere valutate in base a quello che, facendo quelle spese si ottiene. Quale spesa avreste potuto ritenere impossibile per evitare che questa foto potesse essere scattata perché quel piccolissimo, sfortunato protagonista potesse essere ancora vivo. Se riuscite a fissare una cifra, non ho davvero alcuna voglia di parlare con voi.
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