mercoledì 15 dicembre 2021

Distrazione di massa

Costituzione 2 Sembra una regola fissa e, anzi, probabilmente lo è: quando l’opinione pubblica è tutta concentrata su qualcos’altro, quello è il momento in cui in Italia qualcuno tenta di stravolgere il quadro istituzionale. E quasi sempre viene tirata in ballo una delle parole più pericolose del nostro vocabolario: la “governabilità”.

In questo momento, mentre tutti sono concentrati sulla recrudescenza del Covid, sui pericoli portati dalla variante omicron e sulle intollerabili polemiche sollevate da no-vax e no-pass, è la Meloni a tentare di approfittare della generale distrazione sui sistemi democratici. Nel nome della governabilità, infatti, ripropone per l’ennesima volta l’elezione diretta del presidente della Repubblica, ma, se lei non fa altro che tentare di portare acqua al suo mulino, a preoccupare è la distratta reazione degli italiani: secondo un sondaggio fatto da Ilvo Diamanti, infatti, ben 74 italiani su 100 – praticamente 1 su 4 – sarebbero d’accordo con lei. E così torna di scottante attualità una vignetta di Altan che, come sempre, sa mettere il dito nelle tante piaghe politiche che ci angustiano: uno dei due protagonisti dice: «La Costituzione è in pericolo!». E l’altro ribatte: «Interveniamo o ci riserviamo il piacere di dire che l’avevamo detto?».

Al di là del fatto che l’Italia ha saputo rinascere dalle ceneri della guerra proprio rifiutando la “governabilità” a nessuno passa neppure lontanamente per la testa che in tal caso la nostra Costituzione andrebbe totalmente stravolta, che Camera e Senato dovrebbero avere compiti profondamente diversi da quelli disegnati per loro dalla Costituzione e che gli altri sistemi presidenzialisti presentano contrappesi istituzionali dei quali da noi non c’è la minima traccia. Tanto per fare un paio di esempi, negli Stati Uniti le Camere hanno caratteristiche, anche elettive, profondamente diverse ed esistono le elezioni di medio termine che possono far coesistere un presidente con una maggioranza contraria, mentre in Francia la convivenza tra un presidente e una maggioranza parlamentare diversa è stata già piuttosto frequente. Qui da noi, secondo il disegno meloniano, che ha molte assonanze con quello renziano di un po’ più di cinque anni fa, il presidenzialismo sarebbe accoppiato a un sistema elettorale maggioritario con premi sparsi: un ottimo sistema per sostituire “governabilità” con “autoritarismo”.

Ancora una volta, insomma, ci troviamo di fronte a un assalto al sistema elettorale proporzionale da parte degli amanti del maggioritario. A impedire questi rigurgiti maggioritari non bastano gli esempi della “legge Acerbo”, né quelli possibili della “legge truffa”, e neppure le simulazioni fatte sulla fortunatamente fallita riforma costituzionale sognata da quel Renzi, vero cavallo di Troia all’interno di un miope PD, che ora si è avvicinato tanto alla destra da sostenere che (chissà poi perché?) oggi Meloni, Salvini e Berlusconi avrebbero il diritto di indicare il nuovo Presidente della Repubblica.

Meno ricordato e conosciuto, ma di grande importanza è il furto, compiuto durante la Costituente, dai maggioritari che già pensavano alla “legge truffa”. In breve: nel progetto costituzionale approntato dalla Commissione dei 75 e presentato all’Aula il 31 gennaio 1947, la materia poi accorpata nell’attuale articolo 75 era suddivisa tra gli articoli 72 e 73. Il 72 dichiarava che non potevano essere materia di referendum le leggi tributarie, le approvazioni dei bilanci e le ratifiche di trattati internazionali. Quando, il 16 ottobre 1947, l’articolo fu discusso in aula, furono escluse anche le leggi di amnistia e indulto e le leggi elettorali. Gli emendamenti furono approvati pur con l’opposizione del presidente del Comitato dei Diciotto, Meuccio Ruini. A questo punto gli articoli 72 e 73 furono accorpati a opera del Comitato dei Diciotto, ma nel testo, riscritto e ripresentato come articolo 75, di “leggi elettorali” non si parlava più.

Come questa manipolazione poté passare inosservata? Semplicemente perché nella seduta pomeridiana del 21 dicembre 1947 furono considerati in blocco gli articoli che avevano subito variazioni anche solo formali perché l’aula si esprimesse su tali modifiche, ma tra gli articoli ritoccati non figurava l’articolo 75, nuovo e non cambiato e, quindi, capziosamente non segnalato tra quelli su cui votare. Quindi Umberto Terracini, presidente dell’Assemblea, non lo portò al voto perché convinto fosse rimasto invariato. Ruini lo sapeva bene, ma tacque. E, anzi, mentre nel 1953 infuriava la battaglia parlamentare contro la “legge truffa”, si assunse beffardamente il “merito” di quella “svista”.

Insomma, lo scudo contro i rischi democratici che i costituenti avevano lucidamente previsto è stato affossato da una truffa deliberata alla quale poi nessuno ha avuto la forza di porre rimedio.

Si potrebbe obbiettare che quella volta i costituenti avevano ancora vividi i ricordi delle violenze e dei disastri fascisti e che oggi sono passato più di settant’anni da allora, ma a ben guardare i rigurgiti fascisti, nazisti, razzisti e aliofobi del nostro Paese, e le ben gradite alleanze di Fratelli d’Italia e della Lega con i gruppi nostalgici di estrema destra, non si direbbe proprio che il fascismo sia ormai soltanto un ricordo. Ed è anche in quest’ottica che la proposta della Meloni deve essere valutata.

Si dice spesso che il popolo italiano è più avanti dei propri rappresentanti politici e probabilmente è vero. Ma se così è, sarebbe il caso di cominciare subito a ragionare su proposte pericolose che quasi sempre poi fortunatamente vengono bocciate dai referendum. Farlo subito farebbe risparmiare molta fatica e allontanerebbe anche lo spettro che proprio i referendum possano sparire in una futura revisione costituzionale presidenzialista.

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