domenica 13 dicembre 2020

Le due competenze

Tutte le grandi crisi – e la pandemia causata dal Covid-19 non fa eccezione – portano con sé disastri, lutti e sofferenze, ma anche momenti di chiarificazione che solo apparentemente sono più o meno importanti, mentre in realtà sarebbero sempre utilissimi se diventassero, pur in un mondo terribilmente ed egoisticamente distratto, preziosi momenti di insegnamento per tutti.

Provate a pensare alla violenta polemica che rischia di mandare a casa un governo pur in piena crisi pandemica, regalando probabilmente il potere a figuri come Salvini e la Meloni e rischiando di perdere almeno una fetta dei miliardi di euro stanziati per l’Italia dall’Unione Europea. È una polemica che si sviluppa proprio sull’indirizzamento e sulla gestione di questa massa di miliardi davanti ai quali si sono inevitabilmente scatenati quei tantissimi appetiti che mai vanno in crisi, ma, anzi, si rallegrano davanti alle disgrazie altrui. Ricordate i due che, pensando ai futuri guadagni derivanti da appalti e mazzette, si telefonavano ridacchiando subito dopo la scossa che aveva raso al suolo L’Aquila e un bel po’ di Abruzzo?

Da una parte c’è Conte che vorrebbe una gestione piramidale, con lui stesso al vertice e, sotto, una nutritissima schiera di “tecnici”. Dall’altra Renzi che, non potendo pretendere di essere lui stesso al vertice, ha come prima preoccupazione quella di impedire di raggiungere quella posizione a chiunque altro e, per ottenere questo scopo, rivendica il primato della politica sulla tecnica nelle scelte. In mezzo, con infinite sfumature, tutti gli altri, generalmente con un occhio più attento al bene proprio che a quello generale.

Lasciamo perdere il fatto che ogni cosa detta da Renzi puzza lontano un miglio di interesse privato, ma questa volta c’è la netta sensazione che entrambe le posizioni abbiano in sé qualcosa di giusto e qualcosa di sbagliato. E tutto deriva, come spesso accade, dal fatto che uno stesso vocabolo può essere usato con intenzioni del tutto diverse, se non diametralmente opposte.

Questa volta a finire sul banco degli accusati è la parola “competenza” che ha, appunto, almeno due significati. Nella prima accezione, competenza significa «Piena capacità di orientarsi in un determinato campo»; nella seconda, invece, vuol dire «Legittimazione normativa di un’autorità, o di un organo, a svolgere determinate funzioni». E le due cose sono immediatamente percepibili come potenzialmente molto lontane. Un esempio chiaro è rappresentato da Danilo Toninelli che, quando era incredibilmente ministro delle infrastrutture e dei trasporti nel primo governo Conte, aveva indubbiamente la “competenza” per firmare qualsiasi carta ministeriale, ma non necessariamente quella per capire a fondo cosa vi era scritto e, tantomeno, quella, ben più importante, per dare un’impronta a una politica utile alla nazione nel settore di sua “competenza”.

La stessa cosa si potrebbe dire oggi anche di Luigi di Maio che ha la “competenza” del Ministero degli Affari esteri, ma sicuramente non quella necessaria a trattare davvero gli “affari esteri”: la stessa evanescenza davanti all’omicidio Regeni ne è una dimostrazione indiscutibile.

Sul perché politica e competenza non coincidano quasi mai si potrebbe discutere a lungo tirando in causa in primis il fatto che, visto che la quasi totalità dei partiti punta soprattutto a guadagnare voti per le elezioni successive, la competenza è inevitabilmente subordinata alla visibilità, la sostanza all’apparenza, la qualità alla rinomanza. Ma è anche indiscutibile il fatto che la competenza scientifica finirebbe per mettere irreversibilmente in crisi troppo spesso la politica, quando le scelte sono fatte pensando, appunto, alla visibilità e non alla concretezza.

Così non fosse non staremmo assistendo alle grandi discussioni su come passare Natale e capodanno e su come uscire dal proprio comune senza minimamente pensare alle decine di migliaia di morti causati da quella specie di “liberi tutti” estivo che ha favorito la diffusione del coronavirus e ci staremmo domandando, invece che gioirne, come mai la nostra regione, con tanti morti e tanti contagiati da essere citata come “maglia nera” in Italia dal New York Times, possa essere considerata “gialla”.

Dall’altra parte si può sicuramente argomentare che alcune scelte scientificamente inappuntabili, se totalmente avulse dalla situazione sociale del posto e del momento, finirebbero per creare scompensi più gravi dei benefici.

Resta il fatto che tentare non soltanto di mettere insieme le due “competenze”, ma addirittura di unirle, quando si è ai vertici è praticamente impossibile. Bisognerebbe lavorare per compenetrarle quando si è ancora giovani e aperti, anche perché non ancora irrigiditi dalle abitudini e dall’autostima.

Un’utopia? Assolutamente no. Una volta all’interno dei partiti educare politicamente e dare strumenti di giudizio per affrontare problematiche le più diverse possibili era la regola; e nessuno si vergognava di interpellare dei tecnici per acquisire anche la competenza scientifica da appaiare a quella istituzionale. Poi, più che sparire questa pratica, sono spariti i partiti, non tanto come nome, ma come sostanza costituzionale, come gruppi capaci di raccogliere persone che la pensano più o meno allo stesso modo ed entità in grado di percepire i problemi della gente e di trasportarli, come un’efficiente cinghia di trasmissione, nelle stanze dove si può decidere. Ora tutto questo non c’è più e fin quando non tornerà le due competenze non potranno mai compenetrarsi.

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