martedì 15 dicembre 2020

Pensierini di Natale

«Come sapete ci aspetta un Natale molto magro perché stanno pensando addirittura di aggravare ulteriormente le proibizioni. Io penso che le persone siano un po’ stanche di questa situazione e vorrebbero, alla fine, venirne fuori. Anche se qualcuno morirà, pazienza». Non è una frase estrapolata da uno dei tanti social grondanti odio per qualsiasi persona diversa da chi lo scrive, né è stata necessariamente scritta (ma forse anche sì) da un integralista degli aperitivi, da un elemento di estrema destra, o da un resistente alla cosiddetta “dittatura sanitaria”. A pronunciare queste parole inqualificabili, un vero e proprio pensierino di Natale all’incontrario, è stato il presidente di Confindustria Macerata, Domenico Guzzini, mentre parlava del Covid e delle ricadute economiche della pandemia durante un evento ufficiale on line dedicato alla moda.

In questa frase c’è una disumanità talmente forte da non essere tollerabile, da rendere difficile non soltanto credere alle proprie orecchie, ma anche accettare che a pronunciarla sia stato un essere umano. Eppure dovremmo avere la capacità di non stupirci grazie al callo creato da una storia di nefandezze inimmaginabili, e non soltanto in un’antichità che spesso guardiamo con la spocchia di chi, da presunto evoluto, guarda quelli che considera un po’ selvaggi, ma anche in epoche praticamente contemporanee quando uomini come Hitler, Mussolini, Stalin, Pol Pot e, per venire a giorni ancora più vicini a noi, Osama Bin Laden, Sharon, Bush, e una sfilza di persone che sarebbe troppo lungo elencare, che hanno avuto il potere di far uccidere tanti altri uomini da non poterne tenere un conto esatto. Mentre altri forse non hanno ammazzato con le armi, ma hanno ucciso con la fame e con le umiliazioni.

Subito dopo sono arrivate le scuse dello stesso Gozzini: «Sinceramente chiedo scusa a tutti e in particolare alle famiglie toccate dal dramma del Covid, per la frase che ho pronunciato. Ho sbagliato nei contenuti e nei modi; ho fatto un’affermazione sbagliata, che non raffigura il mio pensiero, né tantomeno quello dell’Associazione che rappresento».

Il problema, però, non è quello delle scuse: ormai valgono sì e no un centesimo la tonnellata e nessuno si scompone più neppure se deve smentire se stesso, magari accampando una temporanea incapacità di intendere e di volere. Il problema è che nessuno potrebbe mai pronunciare una simile bestialità se prima non l’avesse già pensata; se non fosse convinto che qualcuno di quelli che l’hanno ascoltata alla fine, sottovoce, dirà all’oratore: «Hai fatto bene. Era ora che qualcuno lo dicesse».

Scandalizzarci è naturale ancor prima che obbligatorio: può rassicurarci del fatto che possediamo ancora qualche briciola di umanità, ma serve davvero a ben poco. Avremmo dovuto farlo ben prima; quantomeno quando si sono aperte le porte dei campi di sterminio e si è visto cosa c’era dentro; quantomeno quando, assieme ai nostalgici fascisti, sono apparsi i negazionisti; quantomeno quando si è assistito al fatto che sempre più flebili sono state le reazioni alla scandalosa pretesa di parificare i partigiani desiderosi di libertà e democrazia ai repubblichini schiavi di Hitler e dei suoi criminali aguzzini; quantomeno quando Salvini, dietro al motto “Prima gli italiani”, ha creato decreti che hanno fatto morire nel Mediterraneo migliaia di persone che nessuno è andato più a salvare; quantomeno quando abbiamo lasciato che un partito che si definisce di centrosinistra, dopo aver accettato di avere tra le proprie file un ministro come Minniti, ha lasciato che i decreti Salvini restassero in vigore a lungo per poi ammorbidirli, ma non ancora cancellarli del tutto. Dovremmo scandalizzarci in primis di noi stessi.

I Guzzini ci sono stati, ci sono e ci saranno sempre: innamorati più del benessere proprio che della vita altrui, indifferenti al fatto di poter favorire il diffondersi del contagio, interessati più alla possibilità di bere e mangiare in compagnia che ai bollettini di morte diffusi ogni pomeriggio, sensibili più alle esigenze del mercato che a quelle della vita, convinti che a morire saranno sempre gli altri. Ma il vero problema non sono loro: sarebbero trascurabili inezie se sbattessero contro quell’indignazione generale che è sempre stata la molla per ogni progresso sociale. Oggi quella molla appare allentata e se non si riuscirà a darle nuovamente tono, i veri colpevoli saremo noi.

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