In questo
terribile periodo dominato dal coronavirus sono molte le parole di cui
abbiamo scoperto, o riscoperto, il vero significato. Sembra doveroso
fissare questi pensieri in una specie di piccolo vocabolario per non
dimenticarli quando questo orrore sarà passato.
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La
frase «La matematica non è un’opinione» è una delle più usate tra
quelle ricorrenti nel linguaggio comune e fu pronunciata (a dire il vero
la sua versione originale parlava di “aritmetica” e non di
“matematica”) nel 1879 da Bernardino Grimaldi, ministro delle finanze
del secondo governo Cairoli, appena caduto, per spiegare perché non
avrebbe accettato un reincarico, visto che lui, esponente della Sinistra
Storica, riteneva assolutamente ingiusta la “tassa sul macinato” che
colpiva soprattutto le classi meno abbienti, e che sarebbe stato
doveroso sostituirla, visto che quell’introito era fondamentale per
l’erario, con un’altra imposta che andasse a toccare soprattutto coloro
che, pur con una nuova imposizione, non avrebbero corso il rischio di
morire di fame.
Poi questa frase non riuscì a
fermare la “tassa sul macinato” e, ovviamente, non influì minimamente
sulla matematica, ma mise in chiaro a tutti che la parola opinione, non è
assolutamente un fatto, ma soltanto la libera espressione di un proprio
pensiero. E, anche, che non tutte le opinioni, essendo pensieri, sono
lecite, proprio come anche le ideologie, che sono pensieri, non sono
lecite se finiscono per mettere a repentaglio la vita di qualcuno.
A prima vista potrebbe sembrare
strano che delle parole possano addirittura riuscire a uccidere, ma è
sicuramente così, soprattutto in periodi di grave crisi, come quella
provocata dal dilagare del Covid-19, soprattutto se le opinioni
propagandano idee sbagliate e se inducono a comportamenti che
favoriscono il contagio.
Le opinioni sono, quindi, pericolose
e devono essere bandite? Certamente no, ma è del tutto necessario far
sapere anche agli ascoltatori e ai lettori non particolarmente
smaliziati che quella che stanno ascoltando è, appunto, un’opinione e
non una certezza e che, quindi, non è assolutamente il caso di seguirne i
possibili dettami senza considerare che può essere sbagliata e che,
quindi, può portare alla rovina.
Nel campo della scienza un metodo
abbastanza sicuro per separare il grano dalla gramigna, i fatti dalle
opinioni, consiste nell’ascoltare attentamente quello che viene
dichiarato: di solito i fatti scientifici vengono presentati con dovizia
di pezze d’appoggio sperimentabili e, immancabilmente, con la
specificazione che «così ci portano a concludere gli studi, gli
esperimenti di laboratorio e le analisi statistiche, ma se qualche
novità dovesse apparire, saremo pronti a modificare le nostre
conclusioni». Per le opinioni questo non viene detto perché per
realizzarle non servono studi, laboratori, statistiche e nemmeno
controprove.
Per illustrare questa situazione
vorrei agganciarmi a un’intervista rilasciata da Luc Montagnier, lo
scopritore dell’HIV, il virus dell’Aids, che per questo è stato
insignito del Premio Nobel. Ovviamente non ho alcuna qualifica per
valutare scientificamente quello che Montagnier sostiene, e non lo faccio; ma posso
sicuramente analizzare il modo di esprimere le proprie idee da cui
traspare nettamente il desiderio di tramutare, nelle menti altrui,
un’opinione in un fatto. E un’opinione non diventa mai un fatto, se non è
suffragata da prove, anche se è espressa da un Nobel.
Ai microni di "Pourquoi Docteur", trasmissione scientifica di CNews France,
Montagnier ha detto un bel po’ di cose apparentemente molto importanti:
che il Covid-19 è stato manipolato con l’aggiunta di piccole sequenze
di HIV e che, quindi, è stato creato in laboratorio, probabilmente in
Cina, probabilmente con il sostegno economico degli Stati Uniti; che dal
laboratorio è uscito probabilmente per incuria e non per dolo; che
molti altri sono della sua idea; che, essendo il nuovo coronavirus un
prodotto artificiale, finirà per sparire in breve tempo perché la natura
rifiuta e distrugge le cose non semplici, quelle realizzate
dall’uomo.Al di là della sovrabbondanza dei “probabilmente”, però,
colpiscono alcune altre affermazioni che vogliono far restare sul vago: è
stato – dice – un lavoro di precisione, «da orologiaio», ma può essere
stato fatto in un posto qualsiasi. Lo scopo non è chiaro «e io non
accuso nessuno. Forse si è voluto fare un vaccino contro l’AIDS»; se
l’ipotesi di un’origine di laboratorio è rifiutata da tutti gli altri
scienziati «è perché c’è una volontà di nascondere questi lavori»: molti
direbbero la stessa cosa, ma li hanno obbligati a ritrattare perché
«subiscono fortissime pressioni che io, premio Nobel, non subisco su di
me». Tutti le Nazioni sono d’accordo a nascondere qualcosa che sarebbe
un terribile atto d’accusa contro chi l’ha realizzata? «Potrebbe anche
essere», è la risposta.
Non mi interessa soffermarmi sulle
reazioni sdegnate di migliaia di uomini di scienza che accusano
Montagnier di usare una tesi che si fonda su una ricerca indiana
ritirata «perché la comunità scientifica ne aveva immediatamente
segnalato le falle», né voglio dare troppo spazio ad altre accuse al
Nobel francese che da anni si è attirato la disapprovazione scientifica
generale perché, dopo il premio, ha inanellato una serie di
dichiarazioni definite «strane» come una supposta origine microbica
dell’autismo, una crociata contro i vaccini, il sostegno all’omeopatia e
il suggerimento a Papa Giovanni Paolo II di curare il suo Parkinson con
succo di papaya.
Né mi sembra particolarmente
importante, in questo momento, sapere dove e perché questo mostro
microscopico sarebbe state realizzato dall’uomo. Molto più importante,
invece, sarebbe una sua ritrattazione del concetto che questo virus tra
breve scomparirà da solo perché la natura distrugge le creature che non
sono sue. Chi ci crede finirebbe per mettersi in grave pericolo: «Perché
metterci in clausura e fare tanta attenzione? Tanto tra un po’ tutto
tornerà come prima».
In realtà nulla tornerà come prima,
tranne l’insopprimibile tendenza a mettersi sotto i riflettori
dell’attenzione generale spacciando opinioni per dati di fatto.
E, intanto, buon 25 aprile a chi lo merita. Non è una festa di tutti, né per tutti.
Le altre parole: Abbraccio, Ambiente, Anonimo, Anziano, Burocrazia, Confine, Democrazia, Denaro, Dignità, Dubbio, Empatia, Eroismo, Europeismo, Fede, Futuro, Infodemia, Lavoro, Lettura, Libertà, Linguaggio, Memoria, Natura, Paesaggio, Paura, Quarantena, Regole, Resistenza, Scelta, Scienza, Sogno, Solidarietà, Tempo, Uguaglianza, Vulnerabilità.
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