In questo
terribile periodo dominato dal coronavirus sono molte le parole di cui
abbiamo scoperto, o riscoperto, il vero significato. Sembra doveroso
fissare questi pensieri in una specie di piccolo vocabolario per non
dimenticarli quando questo orrore sarà passato.
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Nel
1933, in piena crisi per la depressione economica, Franklin Delano
Roosevelt disse ai suoi connazionali: «L’unica cosa di cui dobbiamo
avere paura è la paura stessa». Al contrario, in questi giorni di piena
crisi, anche economica, per il Covid-19, si avverte nettamente la paura
che stia passando la paura.
Sembra
un paradosso e, invece, per buona parte della popolazione è proprio
così: lo si sente ripetere con accorate raccomandazioni di avere grande
prudenza, dagli scienziati, dal Papa, dalla gente, da parte dei
politici. A spingere nella direzione opposta, pur assicurando che
saranno attentamente seguite tutte le procedure di sicurezza, è il mondo
produttivo, quello del commercio, e l’altra parte dei politici, quelli
che parlano quasi esclusivamente per smarcarsi a ogni costo sostenendo
il contrario di quello che viene detto dagli altri.
Ora
spetterà alla politica – e la cosa non è che rassicuri in maniera
totale – trovare la giusta via di mezzo tra due esigenze, entrambe
giustificate: non rischiare di far morire nessuno di coronavirus e non
rischiare di far morire nessuno di fame, o di depressione da nuova e,
per questo ancor meno sopportabile, povertà.
Nella
mitologia maschilista che accompagna la storia di tutti i Paesi del
mondo, il discorso della paura è stato sempre nascosto, esorcizzato,
oppure palesemente disprezzato, quasi fosse un sentimento di cui
vergognarsi, quasi rendesse meno uomo chi lo prova. Eppure è
probabilmente proprio grazie anche alla paura che la nostra specie, meno
veloce, meno forte, meno corazzata di tante altre, sia riuscita a
sopravvivere con i nostri antenati, cavernicoli e palafitticoli, che
univano all’innegabile coraggio, un senso di precisa coscienza dei
propri limiti che, invece di paura, sarebbe più giusto chiamare saggia
prudenza.
Infatti,
se ci fate caso, il termine paura è del tutto carente per descrivere
adeguatamente tutte le varie sfumature che si annidano sotto quest’unica
parola: già noi, italiani contemporanei, siamo capaci di scendere un
po’ più nel dettaglio usando termini come “timore”, “imbarazzo”,
“preoccupazione”, “spavento”, “angoscia”, “terrore”, “panico”. E pensate
che nella lingua della tribù dei pintupi dell’Australia occidenta¬le
vengono usate almeno quindici parole diverse per descrivere un’intera
gamma di sentimenti distinguibili solo attraverso le diverse si¬tuazioni
in cui si verificano.
Il
fatto è che, anche se viene considerata la più primitiva delle emozioni
umane, la paura anche oggi può essere il nostro migliore alleato nel
salvarci da pericoli mortali, ma può anche diventare una nemica
terribile che arriva di soppiatto, facendo deflagrare ansie latenti e
cancellando il pensiero razionale. La paura, insomma può paralizzare i
muscoli, ma, ancor peggio, anche il cervello.
Il
periodo del coronavirus ha dato a tutti la pur sgradevole possibilità
di provare tangibilmente una paura reale; mentre prima non pochi, per
provare il piacere del brivido, avevano cercato di surrogarla con film e
libri dell’orrore. E oggi che alla paura sappiamo dare contorni reali
risulta ancora più insopportabile il fatto che proprio sul concetto di
paura, e non su una realtà paurosa, ma del tutto posticcia, taluni – e
non serve davvero fare nomi – abbiano costruito la loro carriera
politica temporaneamente di successo.
Hanno
fatto credere che stiamo vivendo sotto una costante minaccia di
violenze fisiche, mentre le organizzazioni internazionali fanno sapere
che l’Italia, decisamente angustiata e infiltrata da organizzazioni
mafiose, a livello di violenze è, a pari merito con il Lussemburgo, in
testa alla classifica della sicurezza tra le nazioni europee che, a loro
volta, nel loro insieme, sono in testa alla graduatoria mondiale. E
l’Italia sarebbe in testa largamente da sola, se non ci fossero tutte le
violenze contro le donne che deturpano e avviliscono l’immagine del
nostro Paese.
Salvini
e compagni hanno insistito ossessivamente, con abbondanza di propaganda
e di fake news, sui rischi di un’invasione da parte di esseri umani cui
attribuiscono la colpa di avere pelle, nazionalità, religione, lingua,
abitudini diverse, e su questo hanno realizzato quei penitenziari per
innocenti che sono i Centri di permanenza per il rimpatrio, come quello
di Gradisca. Li hanno accusati di rubarci denaro, case e lavoro, mentre i
fantomatici 35 euro giornalieri ovviamente non li hanno mai ricevuti.
Sono stati anche cacciati dalle case di accoglienza cui sono stati tolti
i contributi necessari. E, come lavoro, di solito, trovano impieghi che
assomigliano molto a quelli del sottoproletariato dell’Ottocento, se
non addirittura a una vera e propria schiavitù.
La
forza dei razzisti ed eterofobi, però, non è data dalla bravura nel
mentire per ingenerare paura e lucrare voti, ma soprattutto dalla
capacità di non vergognarsene; una capacità che, per fortuna, alla
maggior parte della gente è stata risparmiata, anche se sono troppi
coloro che, davanti alla paura, anche se indotta artificiosamente,
mettono a riposo il raziocinio e reagiscono soltanto con i medesimi
istinti dei nostri più lontani progenitori.
Le altre parole: Abbraccio, Ambiente, Anonimo, Anziano, Burocrazia, Confine, Democrazia, Denaro, Dignità, Dubbio, Empatia, Eroismo, Europeismo, Fede, Futuro, Infodemia, Lavoro, Lettura, Libertà, Linguaggio, Memoria, Natura, Paesaggio, Quarantena, Regole, Resistenza, Scelta, Scienza, Sogno, Solidarietà, Tempo, Uguaglianza, Vulnerabilità.
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