venerdì 24 aprile 2020

Le parole del virus: Paura

In questo terribile periodo dominato dal coronavirus sono molte le parole di cui abbiamo scoperto, o riscoperto, il vero significato. Sembra doveroso fissare questi pensieri in una specie di piccolo vocabolario per non dimenticarli quando questo orrore sarà passato.
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Nel 1933, in piena crisi per la depressione economica, Franklin Delano Roosevelt disse ai suoi connazionali: «L’unica cosa di cui dobbiamo avere paura è la paura stessa». Al contrario, in questi giorni di piena crisi, anche economica, per il Covid-19, si avverte nettamente la paura che stia passando la paura.


Sembra un paradosso e, invece, per buona parte della popolazione è proprio così: lo si sente ripetere con accorate raccomandazioni di avere grande prudenza, dagli scienziati, dal Papa, dalla gente, da parte dei politici. A spingere nella direzione opposta, pur assicurando che saranno attentamente seguite tutte le procedure di sicurezza, è il mondo produttivo, quello del commercio, e l’altra parte dei politici, quelli che parlano quasi esclusivamente per smarcarsi a ogni costo sostenendo il contrario di quello che viene detto dagli altri.

Ora spetterà alla politica – e la cosa non è che rassicuri in maniera totale – trovare la giusta via di mezzo tra due esigenze, entrambe giustificate: non rischiare di far morire nessuno di coronavirus e non rischiare di far morire nessuno di fame, o di depressione da nuova e, per questo ancor meno sopportabile, povertà.

Nella mitologia maschilista che accompagna la storia di tutti i Paesi del mondo, il discorso della paura è stato sempre nascosto, esorcizzato, oppure palesemente disprezzato, quasi fosse un sentimento di cui vergognarsi, quasi rendesse meno uomo chi lo prova. Eppure è probabilmente proprio grazie anche alla paura che la nostra specie, meno veloce, meno forte, meno corazzata di tante altre, sia riuscita a sopravvivere con i nostri antenati, cavernicoli e palafitticoli, che univano all’innegabile coraggio, un senso di precisa coscienza dei propri limiti che, invece di paura, sarebbe più giusto chiamare saggia prudenza.
Infatti, se ci fate caso, il termine paura è del tutto carente per descrivere adeguatamente tutte le varie sfumature che si annidano sotto quest’unica parola: già noi, italiani contemporanei, siamo capaci di scendere un po’ più nel dettaglio usando termini come “timore”, “imbarazzo”, “preoccupazione”, “spavento”, “angoscia”, “terrore”, “panico”. E pensate che nella lingua della tribù dei pintupi dell’Australia occidenta¬le vengono usate almeno quindici parole diverse per descrivere un’intera gamma di sentimenti distinguibili solo attraverso le diverse si¬tuazioni in cui si verificano.

Il fatto è che, anche se viene considerata la più primitiva delle emozioni umane, la paura anche oggi può essere il nostro migliore alleato nel salvarci da pericoli mortali, ma può anche diventare una nemica terribile che arriva di soppiatto, facendo deflagrare ansie latenti e cancellando il pensiero razionale. La paura, insomma può paralizzare i muscoli, ma, ancor peggio, anche il cervello.

Il periodo del coronavirus ha dato a tutti la pur sgradevole possibilità di provare tangibilmente una paura reale; mentre prima non pochi, per provare il piacere del brivido, avevano cercato di surrogarla con film e libri dell’orrore. E oggi che alla paura sappiamo dare contorni reali risulta ancora più insopportabile il fatto che proprio sul concetto di paura, e non su una realtà paurosa, ma del tutto posticcia, taluni – e non serve davvero fare nomi – abbiano costruito la loro carriera politica temporaneamente di successo.

Hanno fatto credere che stiamo vivendo sotto una costante minaccia di violenze fisiche, mentre le organizzazioni internazionali fanno sapere che l’Italia, decisamente angustiata e infiltrata da organizzazioni mafiose, a livello di violenze è, a pari merito con il Lussemburgo, in testa alla classifica della sicurezza tra le nazioni europee che, a loro volta, nel loro insieme, sono in testa alla graduatoria mondiale. E l’Italia sarebbe in testa largamente da sola, se non ci fossero tutte le violenze contro le donne che deturpano e avviliscono l’immagine del nostro Paese.

Salvini e compagni hanno insistito ossessivamente, con abbondanza di propaganda e di fake news, sui rischi di un’invasione da parte di esseri umani cui attribuiscono la colpa di avere pelle, nazionalità, religione, lingua, abitudini diverse, e su questo hanno realizzato quei penitenziari per innocenti che sono i Centri di permanenza per il rimpatrio, come quello di Gradisca. Li hanno accusati di rubarci denaro, case e lavoro, mentre i fantomatici 35 euro giornalieri ovviamente non li hanno mai ricevuti. Sono stati anche cacciati dalle case di accoglienza cui sono stati tolti i contributi necessari. E, come lavoro, di solito, trovano impieghi che assomigliano molto a quelli del sottoproletariato dell’Ottocento, se non addirittura a una vera e propria schiavitù.

La forza dei razzisti ed eterofobi, però, non è data dalla bravura nel mentire per ingenerare paura e lucrare voti, ma soprattutto dalla capacità di non vergognarsene; una capacità che, per fortuna, alla maggior parte della gente è stata risparmiata, anche se sono troppi coloro che, davanti alla paura, anche se indotta artificiosamente, mettono a riposo il raziocinio e reagiscono soltanto con i medesimi istinti dei nostri più lontani progenitori.

Le altre parole: Abbraccio, Ambiente, Anonimo, Anziano, Burocrazia, Confine, Democrazia, Denaro, Dignità, Dubbio, Empatia, Eroismo, Europeismo, Fede, Futuro, Infodemia, Lavoro, Lettura, Libertà, Linguaggio, Memoria, Natura, Paesaggio, Quarantena, Regole, Resistenza, Scelta, Scienza, Sogno, Solidarietà, Tempo, Uguaglianza, Vulnerabilità.

Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/

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