domenica 26 aprile 2020

Le parole del virus: Indignarsi

In questo terribile periodo dominato dal coronavirus sono molte le parole di cui abbiamo scoperto, o riscoperto, il vero significato. Sembra doveroso fissare questi pensieri in una specie di piccolo vocabolario per non dimenticarli quando questo orrore sarà passato.
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Non sono poche le parole che, con il passare dei secoli, hanno mantenuto apparentemente identico il proprio significato, ma hanno visto andare in una specie di altalena il valore del sentimento che vogliono esprimere. Prendete, per esempio, il verbo “indignarsi” che, con i cambiamenti sociali ha mutato il significato profondo che è dato al sostantivo “indignazione”.

Aristotele, per esempio, considerava l’indignazione quel sentimento che si provava davanti a in¬frazioni alle regole da parte di persone in basso nella gerar¬chia sociale. E, infatti, la chiamava “nemesis”, con lo stesso nome dell’arcigna dea greca che distribuiva la giustizia, a indicare che il vocabolo si riferiva a una punizione quasi compensativa dopo un periodo ingiustificatamente fortunato. Nel Seicento, invece, Hobbes la definiva come «l’ira per un grande danno ar¬recato a un altro» causato ingiustamente e in modo intenziona¬le. È stato con lui che l’indignazione ha cominciato ad appartenere non più soltanto al potere, ma soprattutto agli individui che il potere schiaccia.

Oggi si ritiene – o forse si spera – che l’indignazione sia un’emozione capace di giocare un ruolo chiave nella vita pubblica. Dico «si spera» perché troppe volte si è pensato che l’indignazione sarebbe stata troppo forte per non esplodere a livello generale. Eppure non è quasi mai stato così. E la delusione è sempre stata cocente.

Nel Sessantotto l’indignazione era palpabile, si inalava con ogni respiro, dava corpo a idee e a fatti. Poi, pian piano, tutto si è illanguidito, tranne certi fatti che sarebbe stato meglio non fossero mai apparsi. Con l’arrivo del reaganismo, del thatcherismo, del berlusconismo, l’indignazione è apparsa come un vocabolo desueto. Tanto che nel 1998 il travolgente successo del piccolo pamphlet liberatorio e corrosivo “Indignatevi!”, di Stéphane Hessel, partigiano, allora novantatreenne ancora combattivo, ha colto quasi tutti di sorpresa.

Eppure non avrebbe dovuto sorprendere nessuno in quanto era esattamente come vedersi offrire a prezzi bassissimi un raro oggetto di antiquariato, davvero autentico: chi avrebbe rinunciato a quell’occasione? E buona parte degli acquirenti erano proprio quelli che avevano smesso da tempo di entrare in quei negozi di riferimenti etici e sociali che sono i seggi elettorali dove non trovavano più alcun simbolo che indicasse il proprio valore di riferimento.

Hessel si chiedeva dove fossero i valori tramandati dalla Resistenza; dove la voglia di giustizia e di uguaglianza; dove la società del progresso per tutti? Oggi le domande non sono affatto cambiate a dimostrare che di nuovo è calata una nebbia che si è un po’ diradata soltanto grazie alle canagliate razziste di Salvini, ma si è ancora ben lontani dalla speranza che l’indignazione raggiunga quella temperatura critica necessaria a far cambiare in meglio la società.

Anche nel tempo del Covid-19, nel quale la crisi dovrebbe rendere più sensibili, l’indignazione fa fatica a farsi strada in un mondo in cui si pensa quasi sempre prima a se stessi che agli altri, mentre l’indignazione è un sentimento che divampa per le ingiustizie che subiscono gli altri; se le subiamo noi, si parla di rabbia.

Una qualche reazione, ma tardiva e non troppo forte, se non tra i parenti, si è avuta per le troppe morti, in totale solitudine, di anziani nelle case di riposo e nelle RSA. Anziani che soltanto oggi si dice di voler difendere trattandoli come minus habens e accarezzando l’idea di impedire loro di muoversi. Strutture che evidentemente erano per buona parte inadatte già a sopportare situazioni che avrebbero potuto verificarsi anche con realtà molto meno mortifere del coronavirus.

Un’indignazione molto più radicale avrebbe dovuto provocare quello che è successo e sta accadendo ancora negli ospedali, dove mancavano letti per la terapia intensiva, ma anche i più elementari presidi individuali di difesa per medici e infermieri che hanno pagato con un numero assurdo di morti. E ancora oggi molti dei malati che non sono contagiati dal coronavirus devono essere curati con minore attenzione per motivazioni che non sono assolutamente facili da comprendere e ancor meno da accettare. E intanto fa sobbalzare, ma non troppo il moltiplicarsi di ispettori che si camuffano per non rischiare ritorsioni mentre affermano che i controlli seri nei luoghi di lavoro sono ancora un desiderio più che la realtà.

Del tutto inadeguata, ma ci abbiamo da sempre fatto il callo, è l’indignazione contro coloro che, non pagando le tasse, sottraggono alla comunità circa 120 miliardi di euro l’anno, una cifra che avrebbe messo a posto moltissime cose che non vanno in Italia. E fa restare di stucco la scarsa indignazione, sia davanti a quelli che hanno gonfiato a dismisura i prezzi delle mascherine, dei guanti e dei disinfettanti, sia per quelli che intercettano i medicinali per farne lievitare il prezzo, sia nei confronti di coloro che hanno approfittato del momento per delocalizzare altre imprese.

Indispone tanti, ma indigna troppo poco il fatto che buona parte del mondo politico, pur con intensità diverse, continui a dare, anche in momenti di crisi, la precedenza alla propaganda rispetto alla realtà e che intanto gli speculatori continuino a fare il loro gioco approfittando anche dei problemi creati da una pandemia che nel mondo ormai ha causato più di 200 mila vittime.

Meno grave, ma non per questo meno indisponente è anche la pubblicità che della situazione innescata dal coronavirus è stata provocata. Se all’inizio si poteva sorridere con indulgenza davanti a bambini che disegnavano arcobaleni con la scritta «Andrà tutto bene», questa scritta era diventata indisponente solo dopo pochi giorni dopo quando erano già centinaia i morti ai quali evidentemente non sarebbe più potuto andare tutto bene. E vedere oggi litanie di spot che esprimono il concetto che usciremo a testa alta da questa situazione dovrebbe indignare profondamente. A testa alta perché? Perché quelli che muoiono lo fanno con dignità? O perché il sacrificio di medici, infermieri, volontari può ripulire la coscienza di tutti anche dei colpevoli? O perché quelli che soffrono di più non hanno ancora riempito le piazze per protesta? Oppure per cos’altro? Non certamente perché non abbiamo saputo eleggere le persone che avrebbero dovuto evitare che il nostro Paese attraversasse quella maledetta notte che ci accompagna ormai da troppi anni.

Resta il fatto che l’indignazione è il primo passo per un vero risveglio delle coscienze e che lo spirito di Hessel dovrebbe ricordarcelo con fermezza in ogni momento di ogni giorno.

Le altre parole: Abbraccio, Ambiente, Anonimo, Anziano, Burocrazia, Confine, Democrazia, Denaro, Dignità, Dubbio, Empatia, Eroismo, Europeismo, Fede, Futuro, Infodemia, Lavoro, Lettura, Libertà, Linguaggio, Memoria, Natura, Opinione, Paesaggio, Paura, Quarantena, Regole, Resistenza, Scelta, Scienza, Sogno, Solidarietà, Tempo, Uguaglianza, Vulnerabilità.

Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/

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