In questo
terribile periodo dominato dal coronavirus sono molte le parole di cui
abbiamo scoperto, o riscoperto, il vero significato. Sembra doveroso
fissare questi pensieri in una specie di piccolo vocabolario per non
dimenticarli quando questo orrore sarà passato.
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Non
sono poche le parole che, con il passare dei secoli, hanno mantenuto
apparentemente identico il proprio significato, ma hanno visto andare in
una specie di altalena il valore del sentimento che vogliono esprimere.
Prendete, per esempio, il verbo “indignarsi” che, con i cambiamenti
sociali ha mutato il significato profondo che è dato al sostantivo
“indignazione”.
Aristotele, per esempio, considerava
l’indignazione quel sentimento che si provava davanti a in¬frazioni
alle regole da parte di persone in basso nella gerar¬chia sociale. E,
infatti, la chiamava “nemesis”, con lo stesso nome dell’arcigna dea
greca che distribuiva la giustizia, a indicare che il vocabolo si
riferiva a una punizione quasi compensativa dopo un periodo
ingiustificatamente fortunato. Nel Seicento, invece, Hobbes la definiva
come «l’ira per un grande danno ar¬recato a un altro» causato
ingiustamente e in modo intenziona¬le. È stato con lui che
l’indignazione ha cominciato ad appartenere non più soltanto al potere,
ma soprattutto agli individui che il potere schiaccia.
Oggi si ritiene – o forse si spera –
che l’indignazione sia un’emozione capace di giocare un ruolo chiave
nella vita pubblica. Dico «si spera» perché troppe volte si è pensato
che l’indignazione sarebbe stata troppo forte per non esplodere a
livello generale. Eppure non è quasi mai stato così. E la delusione è
sempre stata cocente.
Nel Sessantotto l’indignazione era
palpabile, si inalava con ogni respiro, dava corpo a idee e a fatti.
Poi, pian piano, tutto si è illanguidito, tranne certi fatti che sarebbe
stato meglio non fossero mai apparsi. Con l’arrivo del reaganismo, del
thatcherismo, del berlusconismo, l’indignazione è apparsa come un
vocabolo desueto. Tanto che nel 1998 il travolgente successo del piccolo
pamphlet liberatorio e corrosivo “Indignatevi!”, di Stéphane Hessel,
partigiano, allora novantatreenne ancora combattivo, ha colto quasi
tutti di sorpresa.
Eppure non avrebbe dovuto
sorprendere nessuno in quanto era esattamente come vedersi offrire a
prezzi bassissimi un raro oggetto di antiquariato, davvero autentico:
chi avrebbe rinunciato a quell’occasione? E buona parte degli acquirenti
erano proprio quelli che avevano smesso da tempo di entrare in quei
negozi di riferimenti etici e sociali che sono i seggi elettorali dove
non trovavano più alcun simbolo che indicasse il proprio valore di
riferimento.
Hessel si chiedeva dove fossero i
valori tramandati dalla Resistenza; dove la voglia di giustizia e di
uguaglianza; dove la società del progresso per tutti? Oggi le domande
non sono affatto cambiate a dimostrare che di nuovo è calata una nebbia
che si è un po’ diradata soltanto grazie alle canagliate razziste di
Salvini, ma si è ancora ben lontani dalla speranza che l’indignazione
raggiunga quella temperatura critica necessaria a far cambiare in meglio
la società.
Anche nel tempo del Covid-19, nel
quale la crisi dovrebbe rendere più sensibili, l’indignazione fa fatica a
farsi strada in un mondo in cui si pensa quasi sempre prima a se stessi
che agli altri, mentre l’indignazione è un sentimento che divampa per
le ingiustizie che subiscono gli altri; se le subiamo noi, si parla di
rabbia.
Una qualche reazione, ma tardiva e
non troppo forte, se non tra i parenti, si è avuta per le troppe morti,
in totale solitudine, di anziani nelle case di riposo e nelle RSA.
Anziani che soltanto oggi si dice di voler difendere trattandoli come
minus habens e accarezzando l’idea di impedire loro di muoversi.
Strutture che evidentemente erano per buona parte inadatte già a
sopportare situazioni che avrebbero potuto verificarsi anche con realtà
molto meno mortifere del coronavirus.
Un’indignazione molto più radicale
avrebbe dovuto provocare quello che è successo e sta accadendo ancora
negli ospedali, dove mancavano letti per la terapia intensiva, ma anche i
più elementari presidi individuali di difesa per medici e infermieri
che hanno pagato con un numero assurdo di morti. E ancora oggi molti dei
malati che non sono contagiati dal coronavirus devono essere curati con
minore attenzione per motivazioni che non sono assolutamente facili da
comprendere e ancor meno da accettare. E intanto fa sobbalzare, ma non
troppo il moltiplicarsi di ispettori che si camuffano per non rischiare
ritorsioni mentre affermano che i controlli seri nei luoghi di lavoro
sono ancora un desiderio più che la realtà.
Del tutto inadeguata, ma ci abbiamo
da sempre fatto il callo, è l’indignazione contro coloro che, non
pagando le tasse, sottraggono alla comunità circa 120 miliardi di euro
l’anno, una cifra che avrebbe messo a posto moltissime cose che non
vanno in Italia. E fa restare di stucco la scarsa indignazione, sia
davanti a quelli che hanno gonfiato a dismisura i prezzi delle
mascherine, dei guanti e dei disinfettanti, sia per quelli che
intercettano i medicinali per farne lievitare il prezzo, sia nei
confronti di coloro che hanno approfittato del momento per delocalizzare
altre imprese.
Indispone tanti, ma indigna troppo
poco il fatto che buona parte del mondo politico, pur con intensità
diverse, continui a dare, anche in momenti di crisi, la precedenza alla
propaganda rispetto alla realtà e che intanto gli speculatori continuino
a fare il loro gioco approfittando anche dei problemi creati da una
pandemia che nel mondo ormai ha causato più di 200 mila vittime.
Meno grave, ma non per questo meno
indisponente è anche la pubblicità che della situazione innescata dal
coronavirus è stata provocata. Se all’inizio si poteva sorridere con
indulgenza davanti a bambini che disegnavano arcobaleni con la scritta
«Andrà tutto bene», questa scritta era diventata indisponente solo dopo
pochi giorni dopo quando erano già centinaia i morti ai quali
evidentemente non sarebbe più potuto andare tutto bene. E vedere oggi
litanie di spot che esprimono il concetto che usciremo a testa alta da
questa situazione dovrebbe indignare profondamente. A testa alta perché?
Perché quelli che muoiono lo fanno con dignità? O perché il sacrificio
di medici, infermieri, volontari può ripulire la coscienza di tutti
anche dei colpevoli? O perché quelli che soffrono di più non hanno
ancora riempito le piazze per protesta? Oppure per cos’altro? Non
certamente perché non abbiamo saputo eleggere le persone che avrebbero
dovuto evitare che il nostro Paese attraversasse quella maledetta notte
che ci accompagna ormai da troppi anni.
Resta il fatto che l’indignazione è
il primo passo per un vero risveglio delle coscienze e che lo spirito di
Hessel dovrebbe ricordarcelo con fermezza in ogni momento di ogni
giorno.
Le altre parole: Abbraccio, Ambiente, Anonimo, Anziano, Burocrazia, Confine, Democrazia, Denaro, Dignità, Dubbio, Empatia, Eroismo, Europeismo, Fede, Futuro, Infodemia, Lavoro, Lettura, Libertà, Linguaggio, Memoria, Natura, Opinione, Paesaggio, Paura, Quarantena, Regole, Resistenza, Scelta, Scienza, Sogno, Solidarietà, Tempo, Uguaglianza, Vulnerabilità.
Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/
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