In questo
terribile periodo dominato dal coronavirus sono molte le parole di cui
abbiamo scoperto, o riscoperto, il vero significato. Sembra doveroso
fissare questi pensieri in una specie di piccolo vocabolario per non
dimenticarli quando questo orrore sarà passato.
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Ci
sono alcuni vocaboli che indicano aspetti umani di grande valore, ma
che poi, negli anni, sono stati utilizzati troppo spesso al di là del
loro vero significato e davanti ai quali, oggi, di primo acchito, siamo
diventati inevitabilmente sospettosi. Uno di questi è la parola
“eroismo” che una volta era utilizzata per descrivere azioni di guerra,
o, come ne “Il cuore” di De Amicis, per raccontare episodi di grande
coraggio civile. Questo abuso è maturato e si è esteso soprattutto in
ambito sportivo, quando si è voluto esaltare, a colpi di aggettivi,
imprese, anche non sempre vincenti, che hanno richiesto al protagonista
fino all’ultima stilla di energia, o di determinazione. E poi si è
estesa, sempre senza valide motivazioni, anche ad altri campi.
Oggi, con le vicende legate alla
pandemia portata dal Covid-19, la parola “eroismo” ha ripreso appieno il
suo significato iniziale che descrive la condizione d’animo di chi «in
imprese guerresche o di altro genere, di propria iniziativa e libero da
qualsiasi vincolo, compie uno straordinario e generoso atto di coraggio,
che comporti, o possa comportare, il consapevole sacrificio di sé
stesso, allo scopo di proteggere il bene altrui o comune». E non
soltanto l’ha recuperato, ma l’ha addirittura approfondito e meglio
specificato.
Nessuno si sogna più, per esempio di
fare assurde graduatorie tra vari eroismi finendo addirittura per
creare l’orrendo neologismo “eroicissimo” come superlativo
dell’aggettivo “eroico” che è già superlativo in se stesso. E nessuno
pensa nemmeno più che l’eroismo debba essere quantitativamente limitato a
un numero estremamente esiguo di persone. Oggi, infatti, ci si è resi
conto che questo appellativo spetta senza dubbio alcuno a tutti coloro
che stanno combattendo in prima linea contro il coronavirus e a quelli
che accompagnano i contagiati nella loro malattia e, troppo spesso, fino
all’ultimo istante di vita, quando se ne vanno senza avere alcuna
persona cara accanto. Mi riferisco a medici ospedalieri e di famiglia, a
infermieri, operatori socio-sanitari, conducenti e addetti alle
autoambulanze, sacerdoti, assistenti psicologici e materiali di persone
in difficoltà momentanea, o cronica, alle migliaia di volontari che
mettono a repentaglio se stessi perché sono convinti di avere un dovere
da compiere.
Il terribile periodo che stiamo
attraversando, ha chiarito, per esempio, che non lecito usare questa
parola per indicare un’eccezionalità che ci teoricamente ci giustifica
mettendoci al riparo da nostri malesseri etici: «Gli eroi – in tal caso
si potrebbe dire – sono coloro che possono fare cose molto al di là
dell'ordinario, mentre io sono soltanto una persona normale».
In questo senso, addirittura è stata
sfatata un’aura mitica che circonda l’eroismo e che, come già dicevo,
ha fatto diffondere l’idea che possa riguardare soltanto pochissimi
membri della comunità umana. E a chiarire ancora alcuni altri aspetti
della faccenda è intervenuto il caso del Cardarelli, ospedale di Napoli,
da dove si era diffusa una notizia di assenteismo, subito rivelatasi
falsa. Ma in questo caso non è la realtà, o meno, della notizia a
importare, ma la nostra reazione: ci siamo resi conto che stavamo
dividendo la comunità del Cardarelli in due parti nettamente distinte:
gli eroi e i vigliacchi; e nessuno in mezzo. E ci siamo anche resi conto
che si tratta di una divisione assurda, impossibile; che nelle cose
umane non esistono soltanto il bianco e il nero, ma che abbondano i
grigi e che l’eroismo, in fondo è una scelta tra seguire la propria
umanità e il proprio dovere, o voltarsi dall’altra parte. E che,
probabilmente, senza farci soverchio caso e assolutamente senza alcuna
risonanza, davanti a questi tipi di scelta, nel corso della vita ci
siamo trovati quasi tutti.
Inoltre abbiamo anche capito che
vedevamo le cose da un’angolazione sbagliata. Sicuramente meglio di come
potrei fare io, questa situazione è già stata illustrata dal professor
Ugo Morelli: «A lungo abbiamo vissuto con l’idea che ci fosse da un lato
l’osservatore e dall’altro l’evento. Siamo stati convinti che il centro
di ogni visione e comprensione fosse l’osservatore e che a distanza ci
fosse l’evento. Che da vicino si vedesse meglio; e invece vedevamo solo
noi stessi. Vicino o lontano, inoltre, poco contava: era questione di
strumenti. Ma il centro era comunque l’osservatore, padrone dello
sguardo e della spiegazione. Abbiamo applicato questa prospettiva non
solo alle cose e ai luoghi, ma anche alle persone e alle culture.
Viviamo oggi almeno due spiazzamenti: l’evento, il sistema, ma
soprattutto gli altri osservati non sono passivi, ma a loro volta ci
osservano. Non solo, ma soprattutto gli altri non sono lontani; non sono
neppure vicini, ma sono in noi, sono noi stessi».
E, a proposito di eroismo, ha detto
bene Bertolt Brecht: «Beato quel popolo che non ha bisogno di eroi», ma è
anche incontestabile dire: «Beato il popolo che, quando serve, gli eroi
li trova dentro di sé». In Italia questo è successo spesso e ogni volta
gli eroi non hanno chiesto ricompense di sorta, ma avrebbero desiderato
che chi governa questo Paese, a prescindere dalla colorazione politica,
faccia in modo che di eroi ci sia bisogno il meno possibile. Sono certo
che lo desiderano anche gli eroi di oggi.
Le altre parole: Abbraccio, Ambiente, Anonimo, Burocrazia, Confine, Democrazia, Denaro, Dignità, Dubbio, Empatia, Europeismo, Fede, Futuro, Infodemia, Libertà, Natura, Quarantena, Scelta, Sogno, Solidarietà, Tempo, Vulnerabilità.
Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/
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