lunedì 13 aprile 2020

Le parole del virus: Eroismo

In questo terribile periodo dominato dal coronavirus sono molte le parole di cui abbiamo scoperto, o riscoperto, il vero significato. Sembra doveroso fissare questi pensieri in una specie di piccolo vocabolario per non dimenticarli quando questo orrore sarà passato.
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Ci sono alcuni vocaboli che indicano aspetti umani di grande valore, ma che poi, negli anni, sono stati utilizzati troppo spesso al di là del loro vero significato e davanti ai quali, oggi, di primo acchito, siamo diventati inevitabilmente sospettosi. Uno di questi è la parola “eroismo” che una volta era utilizzata per descrivere azioni di guerra, o, come ne “Il cuore” di De Amicis, per raccontare episodi di grande coraggio civile. Questo abuso è maturato e si è esteso soprattutto in ambito sportivo, quando si è voluto esaltare, a colpi di aggettivi, imprese, anche non sempre vincenti, che hanno richiesto al protagonista fino all’ultima stilla di energia, o di determinazione. E poi si è estesa, sempre senza valide motivazioni, anche ad altri campi.

Oggi, con le vicende legate alla pandemia portata dal Covid-19, la parola “eroismo” ha ripreso appieno il suo significato iniziale che descrive la condizione d’animo di chi «in imprese guerresche o di altro genere, di propria iniziativa e libero da qualsiasi vincolo, compie uno straordinario e generoso atto di coraggio, che comporti, o possa comportare, il consapevole sacrificio di sé stesso, allo scopo di proteggere il bene altrui o comune». E non soltanto l’ha recuperato, ma l’ha addirittura approfondito e meglio specificato.

Nessuno si sogna più, per esempio di fare assurde graduatorie tra vari eroismi finendo addirittura per creare l’orrendo neologismo “eroicissimo” come superlativo dell’aggettivo “eroico” che è già superlativo in se stesso. E nessuno pensa nemmeno più che l’eroismo debba essere quantitativamente limitato a un numero estremamente esiguo di persone. Oggi, infatti, ci si è resi conto che questo appellativo spetta senza dubbio alcuno a tutti coloro che stanno combattendo in prima linea contro il coronavirus e a quelli che accompagnano i contagiati nella loro malattia e, troppo spesso, fino all’ultimo istante di vita, quando se ne vanno senza avere alcuna persona cara accanto. Mi riferisco a medici ospedalieri e di famiglia, a infermieri, operatori socio-sanitari, conducenti e addetti alle autoambulanze, sacerdoti, assistenti psicologici e materiali di persone in difficoltà momentanea, o cronica, alle migliaia di volontari che mettono a repentaglio se stessi perché sono convinti di avere un dovere da compiere.


Il terribile periodo che stiamo attraversando, ha chiarito, per esempio, che non lecito usare questa parola per indicare un’eccezionalità che ci teoricamente ci giustifica mettendoci al riparo da nostri malesseri etici: «Gli eroi – in tal caso si potrebbe dire – sono coloro che possono fare cose molto al di là dell'ordinario, mentre io sono soltanto una persona normale».


In questo senso, addirittura è stata sfatata un’aura mitica che circonda l’eroismo e che, come già dicevo, ha fatto diffondere l’idea che possa riguardare soltanto pochissimi membri della comunità umana. E a chiarire ancora alcuni altri aspetti della faccenda è intervenuto il caso del Cardarelli, ospedale di Napoli, da dove si era diffusa una notizia di assenteismo, subito rivelatasi falsa. Ma in questo caso non è la realtà, o meno, della notizia a importare, ma la nostra reazione: ci siamo resi conto che stavamo dividendo la comunità del Cardarelli in due parti nettamente distinte: gli eroi e i vigliacchi; e nessuno in mezzo. E ci siamo anche resi conto che si tratta di una divisione assurda, impossibile; che nelle cose umane non esistono soltanto il bianco e il nero, ma che abbondano i grigi e che l’eroismo, in fondo è una scelta tra seguire la propria umanità e il proprio dovere, o voltarsi dall’altra parte. E che, probabilmente, senza farci soverchio caso e assolutamente senza alcuna risonanza, davanti a questi tipi di scelta, nel corso della vita ci siamo trovati quasi tutti.

Inoltre abbiamo anche capito che vedevamo le cose da un’angolazione sbagliata. Sicuramente meglio di come potrei fare io, questa situazione è già stata illustrata dal professor Ugo Morelli: «A lungo abbiamo vissuto con l’idea che ci fosse da un lato l’osservatore e dall’altro l’evento. Siamo stati convinti che il centro di ogni visione e comprensione fosse l’osservatore e che a distanza ci fosse l’evento. Che da vicino si vedesse meglio; e invece vedevamo solo noi stessi. Vicino o lontano, inoltre, poco contava: era questione di strumenti. Ma il centro era comunque l’osservatore, padrone dello sguardo e della spiegazione. Abbiamo applicato questa prospettiva non solo alle cose e ai luoghi, ma anche alle persone e alle culture. Viviamo oggi almeno due spiazzamenti: l’evento, il sistema, ma soprattutto gli altri osservati non sono passivi, ma a loro volta ci osservano. Non solo, ma soprattutto gli altri non sono lontani; non sono neppure vicini, ma sono in noi, sono noi stessi».


E, a proposito di eroismo, ha detto bene Bertolt Brecht: «Beato quel popolo che non ha bisogno di eroi», ma è anche incontestabile dire: «Beato il popolo che, quando serve, gli eroi li trova dentro di sé». In Italia questo è successo spesso e ogni volta gli eroi non hanno chiesto ricompense di sorta, ma avrebbero desiderato che chi governa questo Paese, a prescindere dalla colorazione politica, faccia in modo che di eroi ci sia bisogno il meno possibile. Sono certo che lo desiderano anche gli eroi di oggi.


Le altre parole: Abbraccio, Ambiente, Anonimo, Burocrazia, Confine, Democrazia, Denaro, Dignità, Dubbio, Empatia, Europeismo, Fede, Futuro, Infodemia, Libertà, Natura, Quarantena, Scelta, Sogno, Solidarietà, Tempo, Vulnerabilità.


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