mercoledì 15 aprile 2020

Le parole del virus: Paesaggio

In questo terribile periodo dominato dal coronavirus sono molte le parole di cui abbiamo scoperto, o riscoperto, il vero significato. Sembra doveroso fissare questi pensieri in una specie di piccolo vocabolario per non dimenticarli quando questo orrore sarà passato.
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Il panorama è cosa profondamente diversa dal paesaggio. Se il primo, infatti, è opera della natura e tende a rimanere inalterato per periodi di tempo che, confrontati con la vita umana, potrebbero essere paragonati all’eternità, il secondo, invece, dipende dall’interazione tra uomo e natura e può cambiare con grande frequenza. Se il primo, inoltre, come una cartolina, può interessare soprattutto a livello turistico, il secondo, come scenografia di un palcoscenico, è fondamentale per tutti e, in prima istanza, proprio per coloro che in quel paesaggio vivono e contribuiscono a farlo evolvere.

E, in questo quadro, è evidente che, come l’uomo influisce sul paesaggio, è anche il paesaggio a influire sull’uomo in una reciproca interazione inserita in un ambito in cui è messo in rilievo il fatto che non sempre percepiamo che spesso quello che definiamo “naturale” è, in realtà, il frutto di incontri e scontri tra le non sempre comprensibili esigenze della natura e quelle, spesso ancor meno comprensibili, o addirittura irragionevoli, dell’uomo. Pensate soltanto, in montagna, al confine tra il bosco e il prato, che dipende non dalla natura, ma in buona parte da cosa l’uomo decide rispetto allo sfalcio dell’erba.

Mai, comunque, un paesaggio è cambiato tanto repentinamente e profondamente come, ultimamente, quello urbano, completamente stravolto dai cambiamenti indotti nelle nostre abitudini, nella nostra vita, dal Covid-19. Perché, visto che l’uomo e le sue attività sono parti integranti del paesaggio stesso, le forti limitazioni di movimento ci hanno portato a vivere in una realtà profondamente diversa che non può non influire su di noi e che, quindi, va valutata con estrema attenzione.

Strade quasi sempre deserte, silenzi inediti che occupano la maggior parte delle ore dalle quali sono stati espulsi i chiacchiericci della gente, i borbottii dei motori, lo stridore delle frenate, i fracassi dei lavori in corso. Dopo un primo periodo di straniamento è entrata in gioco la nostra capacità di adattamento e abbiamo cominciato non soltanto a soffrire per la limitazione dei movimenti, ma anche ad apprezzare alcune realtà di cui si era quasi perduta ogni traccia: il silenzio, appunto, la diminuita pressione degli orari da rispettare e delle corse da fare per essere all’ora giusta nel luogo dove si deve essere, la pulizia dell’aria e, per chi la vede, anche quella dell’acqua.

Insomma, ognuno di noi, se non ha avuto problemi maggiori, causati a lui stesso, o ai suoi cari, dal coronavirus, si è creato un nuovo equilibrio di vita e, in buona parte dei casi, vi si è adattato, o, almeno, lo ha inserito tra le regole che incanalano le nostre esistenze. Ma tra qualche tempo – e si spera il prima possibile – il Govid-19 sarà sconfitto, come sconfitte sono state tutte le altre pandemie, e si ripresenterà alle nostre porte quella che fino a un paio di mesi fa consideravamo la vita normale. E a quel punto dovremmo essere noi a decidere se spalancare la porta e lasciarla entrare come se nulla fosse successo, oppure se, con una inedita e inattesa esperienza, porre delle nuove condizioni, perché – appare inevitabile – nulla potrà essere esattamente come prima.

Il coronavirus ha dato nuovi parametri a tutti nostri cinque sensi: l’udito si sta riposando, la vista apprezza una rinnovata limpidezza dell’aria, l’olfatto non trova i miasmi dei tubi di scarico, il tatto si sente orfano di tutte le strette di mano e gli abbracci che sono stati banditi; anche il gusto ne ha risentito perché bere un aperitivo con gli amici ha un sapore totalmente diverso dal berlo da soli.

Ma non si tratta soltanto dei cinque sensi. Ci sarà, anche e soprattutto, la necessità di recuperare lo stare assieme, di rinforzare quei legami che sono stati resi più fragili dalla lontananza, di ricominciare una vita di comunità che potrà riprendere appieno soltanto quando la paura del contagio diventerà meno forte della voglia del confronto diretto. E questo potrà accadere davvero soltanto con l’arrivo del vaccino.

E, come per tutti i cambiamenti, dovremmo preparaci anche a questo che sarà molto più profondo e duraturo di quanto oggi possiamo pensare poiché alcuni cambiamenti saranno indipendenti dalla nostra volontà e causeranno altri cambiamenti che oggi non riusciremmo nemmeno a prefigurare.

Sarebbe bello, però, che ammaestrati da questa esperienza e consci di altre occasioni sprecate, la nostra comunità umana cominciasse a ragionare seriamente su quali correttivi, sociali e personali, il coronavirus ha portato nelle nostre vite e, conseguentemente, su quali cambiamenti, pur nel disastro che stiamo vivendo, meritino di essere presi in considerazione per migliorare la condizione generale di un’umanità che pare sia in grado di sentirsi unita soltanto nei momenti più difficili, quelli in cui tutti ci si sente in pericolo, mentre dovrebbe riuscire a cooperare sempre, anche senza il collante del terrore per sé e per gli altri.

Le altre parole: Abbraccio, Ambiente, Anonimo, Burocrazia, Confine, Democrazia, Denaro, Dignità, Dubbio, Empatia, Eroismo, Europeismo, Fede, Futuro, Infodemia, Libertà, Memoria, Natura, Quarantena, Scelta, Sogno, Solidarietà, Tempo, Vulnerabilità.


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