In questo
terribile periodo dominato dal coronavirus sono molte le parole di cui
abbiamo scoperto, o riscoperto, il vero significato. Sembra doveroso
fissare questi pensieri in una specie di piccolo vocabolario per non
dimenticarli quando questo orrore sarà passato.
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Il
panorama è cosa profondamente diversa dal paesaggio. Se il primo,
infatti, è opera della natura e tende a rimanere inalterato per periodi
di tempo che, confrontati con la vita umana, potrebbero essere
paragonati all’eternità, il secondo, invece, dipende dall’interazione
tra uomo e natura e può cambiare con grande frequenza. Se il primo,
inoltre, come una cartolina, può interessare soprattutto a livello
turistico, il secondo, come scenografia di un palcoscenico, è
fondamentale per tutti e, in prima istanza, proprio per coloro che in
quel paesaggio vivono e contribuiscono a farlo evolvere.
E, in questo quadro, è evidente che,
come l’uomo influisce sul paesaggio, è anche il paesaggio a influire
sull’uomo in una reciproca interazione inserita in un ambito in cui è
messo in rilievo il fatto che non sempre percepiamo che spesso quello
che definiamo “naturale” è, in realtà, il frutto di incontri e scontri
tra le non sempre comprensibili esigenze della natura e quelle, spesso
ancor meno comprensibili, o addirittura irragionevoli, dell’uomo.
Pensate soltanto, in montagna, al confine tra il bosco e il prato, che
dipende non dalla natura, ma in buona parte da cosa l’uomo decide
rispetto allo sfalcio dell’erba.
Mai, comunque, un paesaggio è
cambiato tanto repentinamente e profondamente come, ultimamente, quello
urbano, completamente stravolto dai cambiamenti indotti nelle nostre
abitudini, nella nostra vita, dal Covid-19. Perché, visto che l’uomo e
le sue attività sono parti integranti del paesaggio stesso, le forti
limitazioni di movimento ci hanno portato a vivere in una realtà
profondamente diversa che non può non influire su di noi e che, quindi,
va valutata con estrema attenzione.
Strade quasi sempre deserte, silenzi
inediti che occupano la maggior parte delle ore dalle quali sono stati
espulsi i chiacchiericci della gente, i borbottii dei motori, lo
stridore delle frenate, i fracassi dei lavori in corso. Dopo un primo
periodo di straniamento è entrata in gioco la nostra capacità di
adattamento e abbiamo cominciato non soltanto a soffrire per la
limitazione dei movimenti, ma anche ad apprezzare alcune realtà di cui
si era quasi perduta ogni traccia: il silenzio, appunto, la diminuita
pressione degli orari da rispettare e delle corse da fare per essere
all’ora giusta nel luogo dove si deve essere, la pulizia dell’aria e,
per chi la vede, anche quella dell’acqua.
Insomma, ognuno di noi, se non ha
avuto problemi maggiori, causati a lui stesso, o ai suoi cari, dal
coronavirus, si è creato un nuovo equilibrio di vita e, in buona parte
dei casi, vi si è adattato, o, almeno, lo ha inserito tra le regole che
incanalano le nostre esistenze. Ma tra qualche tempo – e si spera il
prima possibile – il Govid-19 sarà sconfitto, come sconfitte sono state
tutte le altre pandemie, e si ripresenterà alle nostre porte quella che
fino a un paio di mesi fa consideravamo la vita normale. E a quel punto
dovremmo essere noi a decidere se spalancare la porta e lasciarla
entrare come se nulla fosse successo, oppure se, con una inedita e
inattesa esperienza, porre delle nuove condizioni, perché – appare
inevitabile – nulla potrà essere esattamente come prima.
Il coronavirus ha dato nuovi
parametri a tutti nostri cinque sensi: l’udito si sta riposando, la
vista apprezza una rinnovata limpidezza dell’aria, l’olfatto non trova i
miasmi dei tubi di scarico, il tatto si sente orfano di tutte le
strette di mano e gli abbracci che sono stati banditi; anche il gusto ne
ha risentito perché bere un aperitivo con gli amici ha un sapore
totalmente diverso dal berlo da soli.
Ma non si tratta soltanto dei cinque
sensi. Ci sarà, anche e soprattutto, la necessità di recuperare lo
stare assieme, di rinforzare quei legami che sono stati resi più fragili
dalla lontananza, di ricominciare una vita di comunità che potrà
riprendere appieno soltanto quando la paura del contagio diventerà meno
forte della voglia del confronto diretto. E questo potrà accadere
davvero soltanto con l’arrivo del vaccino.
E, come per tutti i cambiamenti,
dovremmo preparaci anche a questo che sarà molto più profondo e duraturo
di quanto oggi possiamo pensare poiché alcuni cambiamenti saranno
indipendenti dalla nostra volontà e causeranno altri cambiamenti che
oggi non riusciremmo nemmeno a prefigurare.
Sarebbe bello, però, che ammaestrati
da questa esperienza e consci di altre occasioni sprecate, la nostra
comunità umana cominciasse a ragionare seriamente su quali correttivi,
sociali e personali, il coronavirus ha portato nelle nostre vite e,
conseguentemente, su quali cambiamenti, pur nel disastro che stiamo
vivendo, meritino di essere presi in considerazione per migliorare la
condizione generale di un’umanità che pare sia in grado di sentirsi
unita soltanto nei momenti più difficili, quelli in cui tutti ci si
sente in pericolo, mentre dovrebbe riuscire a cooperare sempre, anche
senza il collante del terrore per sé e per gli altri.
Le altre parole: Abbraccio, Ambiente, Anonimo, Burocrazia, Confine, Democrazia, Denaro, Dignità, Dubbio, Empatia, Eroismo, Europeismo, Fede, Futuro, Infodemia, Libertà, Memoria, Natura, Quarantena, Scelta, Sogno, Solidarietà, Tempo, Vulnerabilità.
Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/
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