domenica 19 aprile 2020

Le parole del virus: Anziano

In questo terribile periodo dominato dal coronavirus sono molte le parole di cui abbiamo scoperto, o riscoperto, il vero significato. Sembra doveroso fissare questi pensieri in una specie di piccolo vocabolario per non dimenticarli quando questo orrore sarà passato.
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Ci sono parole che con il passare dei secoli mantengono inalterato il loro significato letterale, ma vedono profondamente modificata la loro anima. Prendete la parola “Anziano” che letteralmente, da sempre, significa «Di età avanzata, attempato; convenzionalmente di più di 75 anni»; anche se, a dire il vero, fino alla fine del 2018 medici e sociologi fissavano il limite a 65.


Ma è l’anima della parola a essere stata stravolta. Una volta, infatti, l’anziano era una colonna portante dell’intera società e, in tal senso, la storia è zeppa di esempi emblematici: già nella preistoria e in età omerica, erano gli anziani, ritenuti saggi, a costituire un consiglio, la “gerousía” che assisteva i re e con loro deliberava; e nella Grecia classica questa istituzione si è conservata nelle città a regime aristocratico, tra cui Sparta. Era presente anche a Cartagine, in varie città-stato dell’Asia Minore e nelle isole dell’Egeo. A Roma agli anziani era riconosciuta saggezza già nel nome del Senato, l’organo di importante controllo della Repubblica, e anche il “Cato Maior de senectute” testimonia l’importanza e il rispetto che si attribuiva loro. Il Consiglio degli anziani esisteva nella Repubblica di Firenze nel XIII secolo, e in altri staterelli medievali di tutt’Europa, con il ruolo di magistratura che rappresentava il popolo e riceveva atti e ambascerie. Nel 1795 la Costituzione voluta dai Termidoriani nella Rivoluzione Francese ha chiamato così una delle sue due assemblee legislative, e in tutte le repubbliche, da quella di Venezia a oggi, è stato ripreso il nome “Senato” che di solito ha richiesto età più alte per praticare l’elettorato, sia attivo, sia passivo, rispetto ad altre assemblee.

Oggi la parola “anziano” riveste ancora importanza in alcune religioni e nel mondo dello scautismo. Ma sono sempre più quelli che, da quando la possibilità di accedere a Wikipedia ha fatto credere a molti che l’esperienza, oltre che la conoscenza acquisita, fosse diventata praticamente inutile, la parola “anziano”, se non è diventata un insulto, è considerata comunque quasi un termine discriminatorio.

Ammetto che sto navigando sul filo di un palese conflitto di interessi, visto che, anche se non ho ancora raggiunto i 75 anni, non è che ci sia proprio tanto lontano, ma continuo a domandarmi, come quando ero più giovane, perché, al di là del deprezzamento del valore dell’esperienza e, in certi casi, della saggezza, oggi la società tenda a ritenere gli anziani, che ricevono affetto e rispetto quasi soltanto dai propri cari, spesso una specie di fastidio. La cronaca nera ha testimoniato come quelli che sono ricoverati in determinate case di riposo per assicurare loro un’assistenza medico-infermieristica continua e capace, talvolta sono trattati come oggetti, mentre in troppi casi il Covid-19, unito all’incuria umana, ha trasformato i ricoveri in mattatoi dove a centinaia, in tutt’Italia, molti vecchi – anche se nessuno li chiama più così – sono morti in disperata solitudine. Beffardamente perché è alla loro generazione che dobbiamo il Servizio Sanitario Nazionale.

Nel combattere il Covid-19 la segregazione casalinga è stata indispensabile e anche nella cosiddetta Fase 2 sarà fondamentale mantenere un notevole "distanziamento sociale", ma quello che appare insopportabile è la generalizzazione che, come sempre, dilaga perché risparmia la fatica di pensare e che rischia di portare a una di quelle segregazioni generiche che nella storia hanno dato tremende prove di sé, creando razzismi ed esclusioni. Parlo di generalizzazione in quanto si sta parlando di rimodulare la libertà di movimento basandosi soprattutto sull’età.

Lasciamo pur perdere il fatto che la segregazione casalinga ruba a ciunque una frazione di esistenza in una percentuale che, però, per gli anziani, con aspettativa di vita inferiore ai giovani, diventa altissima, ma siamo sicuri che tutti gli anziani siano più sventati dei giovani? E poi, se si parla di fragilità, ci si ricorda che, ovviamente, visto che non siano tutti uguali, è diversa per ognuno di noi? Si punta il dito contro i capelli bianchi, ma si sorvola sul fatto che alcuni parlamentari (il termine “onorevole”, per certi mi sembra davvero eccessivo) hanno dato prova di sé pretendendo di andare al mare, o di passeggiarecon la fidanzata nel centro di Roma, mentre tutti gli altri dovevano stare a casa. E si fa finta di non vedere e che altri portano la mascherina sempre come un inconsueto orecchino.

Ripeto: stare a casa il più possibile mi sembra assolutamente doveroso e di solito sono proprio quelli in età a non rischiare di impazzire per la noia, quantomeno perché sanno apprezzare la lettura e capitalizzare i propri ricordi, ma la vera domanda è se si teme che gli anziani siano gli untori, oppure se rischiano più di altri di diventare “unti”. Perché al di fuori dalle case di riposo, che quasi sempre diventano veri e propri focolai non appena uno resta contagiato, gli anziani non si infettano più dei giovani e, se muoiono di più – ma non proprio tanto di più – è perché è più probabile che abbiano già qualche patologia precedente che non è escluso abbia minato anche qualche giovane.

Ma se si propende – come sembra assodato – a farli restare chiusi in casa perché più esposti al contagio, allora si dimostra, evidentemente, che li si considera più svampiti dei giovani, mentre, a parità di disponibilità di presidi di difesa personali, sono generalmente perfettamente consci e in grado di usarli e di muoversi con la stessa prudenza che usano oggi quando escono per prendere i giornali, o fare la spesa. Senza contare che molti, proprio per saggezza, si sono imposti fin da subito, da soli, un’autoclausura non totale, ma quasi, per salvaguardare se stessi e gli altri.

La ribellione di chi è sano a una discriminazione, da realizzare in base all’età, per la segregazione casalinga non dipende da una questione di noia, né di voglia di passeggiate, ma semplicemente del diritto di avere rapporti umani diretti, magari anche senza contatto, con altre persone e soprattutto con i propri cari. Ed è inutile dire che esiste Whatsapp: lasciamo pur perdere il fatto che alcuni non hanno il computer e altri non lo hanno mai usato, ma pensare che Whatsapp possa trasmettere calore umano è come ritenere che Wikipedia possa infondere cultura mentre, al massimo, riesce a trasmettere erudizione.

Una segregazione casalinga basata su discriminazioni decise in base all’età farebbe sentire i “reclusi”, ben lungi dal sentirsi difesi, proprio come si sentono i prigionieri dei cosiddetti "Centri di permanenza per il rimpatrio", come quello di Gradisca: condannati alla detenzione pur in totale assenza di reato.

Le altre parole: Abbraccio, Ambiente, Anonimo, Burocrazia, Confine, Democrazia, Denaro, Dignità, Dubbio, Empatia, Eroismo, Europeismo, Fede, Futuro, Infodemia, Lavoro, Libertà, Memoria, Natura, Paesaggio, Quarantena, Scelta, Scienza, Sogno, Solidarietà, Tempo, Vulnerabilità.

Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/

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