In questo
terribile periodo dominato dal coronavirus sono molte le parole di cui
abbiamo scoperto, o riscoperto, il vero significato. Sembra doveroso
fissare questi pensieri in una specie di piccolo vocabolario per non
dimenticarli quando questo orrore sarà passato.
---
Ci
sono parole che con il passare dei secoli mantengono inalterato il loro
significato letterale, ma vedono profondamente modificata la loro
anima. Prendete la parola “Anziano” che letteralmente, da sempre,
significa «Di età avanzata, attempato; convenzionalmente di più di 75
anni»; anche se, a dire il vero, fino alla fine del 2018 medici e
sociologi fissavano il limite a 65.
Ma è l’anima della parola a essere
stata stravolta. Una volta, infatti, l’anziano era una colonna portante
dell’intera società e, in tal senso, la storia è zeppa di esempi
emblematici: già nella preistoria e in età omerica, erano gli anziani,
ritenuti saggi, a costituire un consiglio, la “gerousía” che
assisteva i re e con loro deliberava; e nella Grecia classica questa
istituzione si è conservata nelle città a regime aristocratico, tra cui
Sparta. Era presente anche a Cartagine, in varie città-stato dell’Asia
Minore e nelle isole dell’Egeo. A Roma agli anziani era riconosciuta
saggezza già nel nome del Senato, l’organo di importante controllo della
Repubblica, e anche il “Cato Maior de senectute” testimonia
l’importanza e il rispetto che si attribuiva loro. Il Consiglio degli
anziani esisteva nella Repubblica di Firenze nel XIII secolo, e in altri
staterelli medievali di tutt’Europa, con il ruolo di magistratura che
rappresentava il popolo e riceveva atti e ambascerie. Nel 1795 la
Costituzione voluta dai Termidoriani nella Rivoluzione Francese ha
chiamato così una delle sue due assemblee legislative, e in tutte le
repubbliche, da quella di Venezia a oggi, è stato ripreso il nome
“Senato” che di solito ha richiesto età più alte per praticare
l’elettorato, sia attivo, sia passivo, rispetto ad altre assemblee.
Oggi la parola “anziano” riveste
ancora importanza in alcune religioni e nel mondo dello scautismo. Ma
sono sempre più quelli che, da quando la possibilità di accedere a Wikipedia
ha fatto credere a molti che l’esperienza, oltre che la conoscenza
acquisita, fosse diventata praticamente inutile, la parola “anziano”, se
non è diventata un insulto, è considerata comunque quasi un termine
discriminatorio.
Ammetto che sto navigando sul filo
di un palese conflitto di interessi, visto che, anche se non ho ancora
raggiunto i 75 anni, non è che ci sia proprio tanto lontano, ma continuo
a domandarmi, come quando ero più giovane, perché, al di là del
deprezzamento del valore dell’esperienza e, in certi casi, della
saggezza, oggi la società tenda a ritenere gli anziani, che ricevono
affetto e rispetto quasi soltanto dai propri cari, spesso una specie di
fastidio. La cronaca nera ha testimoniato come quelli che sono
ricoverati in determinate case di riposo per assicurare loro
un’assistenza medico-infermieristica continua e capace, talvolta sono
trattati come oggetti, mentre in troppi casi il Covid-19, unito
all’incuria umana, ha trasformato i ricoveri in mattatoi dove a
centinaia, in tutt’Italia, molti vecchi – anche se nessuno li chiama più
così – sono morti in disperata solitudine. Beffardamente perché è alla
loro generazione che dobbiamo il Servizio Sanitario Nazionale.
Nel combattere il Covid-19 la
segregazione casalinga è stata indispensabile e anche nella cosiddetta
Fase 2 sarà fondamentale mantenere un notevole "distanziamento sociale",
ma quello che appare insopportabile è la generalizzazione che, come
sempre, dilaga perché risparmia la fatica di pensare e che rischia di
portare a una di quelle segregazioni generiche che nella storia hanno
dato tremende prove di sé, creando razzismi ed esclusioni. Parlo di
generalizzazione in quanto si sta parlando di rimodulare la libertà di
movimento basandosi soprattutto sull’età.
Lasciamo pur perdere il fatto che la
segregazione casalinga ruba a ciunque una frazione di esistenza in una
percentuale che, però, per gli anziani, con aspettativa di vita
inferiore ai giovani, diventa altissima, ma siamo sicuri che tutti gli
anziani siano più sventati dei giovani? E poi, se si parla di fragilità,
ci si ricorda che, ovviamente, visto che non siano tutti uguali, è
diversa per ognuno di noi? Si punta il dito contro i capelli bianchi, ma
si sorvola sul fatto che alcuni parlamentari (il termine “onorevole”,
per certi mi sembra davvero eccessivo) hanno dato prova di sé
pretendendo di andare al mare, o di passeggiarecon la fidanzata nel
centro di Roma, mentre tutti gli altri dovevano stare a casa. E si fa
finta di non vedere e che altri portano la mascherina sempre come un
inconsueto orecchino.
Ripeto: stare a casa il più
possibile mi sembra assolutamente doveroso e di solito sono proprio
quelli in età a non rischiare di impazzire per la noia, quantomeno
perché sanno apprezzare la lettura e capitalizzare i propri ricordi, ma
la vera domanda è se si teme che gli anziani siano gli untori, oppure se
rischiano più di altri di diventare “unti”. Perché al di fuori dalle
case di riposo, che quasi sempre diventano veri e propri focolai non
appena uno resta contagiato, gli anziani non si infettano più dei
giovani e, se muoiono di più – ma non proprio tanto di più – è perché è
più probabile che abbiano già qualche patologia precedente che non è
escluso abbia minato anche qualche giovane.
Ma se si propende – come sembra
assodato – a farli restare chiusi in casa perché più esposti al
contagio, allora si dimostra, evidentemente, che li si considera più
svampiti dei giovani, mentre, a parità di disponibilità di presidi di
difesa personali, sono generalmente perfettamente consci e in grado di
usarli e di muoversi con la stessa prudenza che usano oggi quando escono
per prendere i giornali, o fare la spesa. Senza contare che molti,
proprio per saggezza, si sono imposti fin da subito, da soli,
un’autoclausura non totale, ma quasi, per salvaguardare se stessi e gli
altri.
La ribellione di chi è sano a una
discriminazione, da realizzare in base all’età, per la segregazione
casalinga non dipende da una questione di noia, né di voglia di
passeggiate, ma semplicemente del diritto di avere rapporti umani
diretti, magari anche senza contatto, con altre persone e soprattutto
con i propri cari. Ed è inutile dire che esiste Whatsapp: lasciamo pur perdere il fatto che alcuni non hanno il computer e altri non lo hanno mai usato, ma pensare che Whatsapp possa trasmettere calore umano è come ritenere che Wikipedia possa infondere cultura mentre, al massimo, riesce a trasmettere erudizione.
Una segregazione casalinga basata su
discriminazioni decise in base all’età farebbe sentire i “reclusi”, ben
lungi dal sentirsi difesi, proprio come si sentono i prigionieri dei
cosiddetti "Centri di permanenza per il rimpatrio", come quello di
Gradisca: condannati alla detenzione pur in totale assenza di reato.
Le altre parole: Abbraccio, Ambiente, Anonimo, Burocrazia, Confine, Democrazia, Denaro, Dignità, Dubbio, Empatia, Eroismo, Europeismo, Fede, Futuro, Infodemia, Lavoro, Libertà, Memoria, Natura, Paesaggio, Quarantena, Scelta, Scienza, Sogno, Solidarietà, Tempo, Vulnerabilità.
Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/
Nessun commento:
Posta un commento