In questo
terribile periodo dominato dal coronavirus sono molte le parole di cui
abbiamo scoperto, o riscoperto, il vero significato. Sembra doveroso
fissare questi pensieri in una specie di piccolo vocabolario per non
dimenticarli quando questo orrore sarà passato.
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Tra
le tante parole delle quali, per nostra comodità, abbiamo finito per
travisare il significato, un posto di rilievo spetta a “natura” e
all’aggettivo che ne deriva più direttamente, “naturale”, che nella
vulgata comune oggi è applicato quasi soltanto a scenari sereni: alberi
mossi dolcemente dalla brezza, spiagge assolate e immacolate, sorgenti
di acque cristalline, ghiacci purissimi. O, dal punto di vista
biologico, a cibi nei quali, nella coltivazione, o nell’allevamento,
l’intervento della chimica non sia terribilmente massiccio.
E invece, nel primo caso, è
perfettamente “naturale” anche la furia degli elementi quando castigano
l’arroganza umana e rivelano la nostra piccolezza: il terremoto che rade
al suolo costruzioni di ogni tipo; l’inondazione che sommerge, travolge
e trascina quanto incontra sulla sua strada; il fulmine che stermina
greggi di pecore, colpisce un gitante che non trova riparo, o abbatte un
aereo con i suoi passeggeri; la tromba marina che frantuma le barche
contro la scogliera; il tornado che risucchia nel suo vortice anche vite
umane.
Nella nostra mente ciò che viene
definito “naturale” ha una doppia valenza: è desiderabile, quasi fosse
un prodotto dell’Eden perduto, ma in esso percepiamo anche, con la sua
innocente bellezza, o con la cocente umiliazione che infligge ad alcuni
nostri progetti, una specie di rimprovero rivolto all’artificio umano.
E la stessa cosa accade anche nella
parte alimentare in cui facciamo finta di dimenticare che il terreno da
cui i vegetali assorbono il nutrimento è comunque l’indiretto frutto
delle nostre attività, che piante e animali in ogni caso metabolizzano
la stessa aria che entra nei nostri polmoni, che spesso la cosiddetta
“naturalità” si applica soltanto all’ultima fase della preparazione.
Ricordo un’etichetta su della carne e in cui si assicurava che
all’animale a cui prima apparteneva «non sono stati dati antibiotici
negli ultimi sei mesi». Naturalità a tempo parziale, insomma.
Resta il fatto che in ogni caso,
anche a livello inconscio, sappiamo perfettamente che non siamo padroni
della natura e che dobbiamo accettare come naturale il fatto che le
montagne continuino a sgretolarsi sotto l’azione degli elementi
atmosferici e climatici, fornendo quei sedimenti che poi andranno a
formare nuove pianure. Anzi, di solito già lo accettiamo tranquillamente
perché, per esempio, non ci interessa molto che un ghiaione acuisca la
sua curva, o diventi più terroso che ghiaioso. Però non solo restiamo
legittimamente dispiaciuti, ma anche cerchiamo immediatamente e
irragionevolmente dei colpevoli, come quando la natura, qualche anno fa,
decise che le Cinque Torri diventassero quattro; o, per essere più
precisi, quattro e qualcosa.
Questa reazione è assurda perché la
realtà è che forse da qualche parte la natura sbaglia, forse da qualche
parte è geniale; probabilmente, come ha detto Aristotele ne “La
Politica”, «la natura non fa mai nulla d’inutile». Ma, comunque, come le
ha create, così sarà lei a distruggere le cose tra cui viviamo. Noi
generalmente possiamo aver contribuito – e fino a circa un secolo fa
solo in minima parte e quasi sempre in maniera universalmente colposa
più che personalmente volontaria, o preterintenzionale – ad accelerare
alcuni processi.
Proprio alla luce di queste
constatazioni appare curioso il “complottismo” che spesso viene a galla
quando l’uomo è messo alle strette da cose minuscole che non sa come
combattere. È infatti senza molto senso l’insistita ricerca di colpe
umane che sgravino la natura da ogni sospetto. Nel caso del Covid-19,
per esempio, si insiste molto, su una costruzione umana di questo virus,
pensando a una guerra biologica ed equivocando soprattutto su un
servizio televisivo mandato in onda nel 2015 dal Tg Leonardo, quello
dedicato da Rai3 alla scienza. E si insiste anche dopo che scienziati di
tutto il mondo, chiamati a controllare questa tesi, hanno confermato,
nessuno escluso, che questo coronavirus non è stato assolutamente creato
in laboratorio, ma è uscito, per naturale mutazione, da quegli
incredibili laboratori biologici attrezzatissimi che sono i corpi
viventi; in questo caso, quelli dei pipistrelli.
Questo tentare di scaricare la
colpa, al di là di ogni ragionevolezza, su altri esseri umani può
apparire strano, ma ha una sua logica perché non nasconde, come si
potrebbe anche pensare, il rifiuto del dispiacere di sentirsi traditi
dalla natura, bensì il desiderio di non sentirsi sconfitti in partenza
dalla natura stessa; con l’idea che, mentre una cosa di derivazione
umana può essere combattuta, molto più difficile è opporsi con successo
alle volontà della natura.
Insomma, invece di derivare dalla
superbia di credere che l’essere umano si sia davvero appropriato del
verbo “creare”, questo atteggiamento esprime una scarsa fiducia nelle
capacità dell’umanità e dei suoi scienziati. Una scarsa fiducia
immeritata, visto che finora l’uomo è sempre riuscito a difendersi e non
si vede perché, nei tempi che saranno necessari, non dovrebbe riuscire a
farcela anche questa volta, magari con qualche ingegnoso stratagemma e
un po’ di sacrifici.
Le altre parole: Anonimo, Confine, Denaro, Dignità, Europeismo, Futuro, Infodemia, Libertà, Scelta, Solidarietà
Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/
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