giovedì 30 aprile 2020

Le parole del virus: Ansia

In questo terribile periodo dominato dal coronavirus sono molte le parole di cui abbiamo scoperto, o riscoperto, il vero significato. Sembra doveroso fissare questi pensieri in una specie di piccolo vocabolario per non dimenticarli quando questo orrore sarà passato.
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Si sente ripetere ogni giorno che si deve imparare a convivere con il Covid-19. E si pensa che, tutto sommato, non sia troppo difficile: basta innestare gli automatismi della mascherina, dei guanti, del “distanziamento sociale” e si è a posto. Ma quasi subito ci si rende conto che non si potrà sfuggire a un’altra convivenza decisamente più complicata: quella con noi stessi, o, almeno, con quelle parti di noi che ci possono mettere in crisi. E questa consapevolezza viene a galla non appena si constata che la resistenza al contagio non dipende soltanto da noi, ma anche, a meno di non rinchiudersi sine die in una catacomba, dal comportamento degli altri.

Ed è qui che affiora l’ansia. Perché c’è poco da fare: fino a quando non sarà confermata l’efficacia di un vaccino e non sarà inoculato a tutti, il Covid-19 sarà sempre accompagnato dall’ansia, uno stato d’animo un po’ più grave dello stress e meno angosciante della paura, ma che comunque finisce per mettere in difficoltà visto che arriva a ondate successive facendo seguire a momenti di qualche ottimismo altri di acuta preoccupazione.

Lo vediamo adesso, nell’imminenza della cosiddetta Fase 2 a livello nazionale che, per certi versi, è già cominciata nella nostra regione. Mentre si liberalizzano alcuni movimenti personali, si riaprono un buon numero di realtà produttive e di negozi, arriva una serie di docce fredde: la Germania, dopo una prima riapertura, ha visto ricrescere velocemente il numero dei contagi; la Francia ha sospeso la già prevista e imminente ripresa delle scuole e ha dichiarato concluso il campionato di calcio. In Italia, intanto, mentre numerose categorie protestano perché nelle riaperture «si è osato troppo poco», il Comitato tecnico scientifico che affianca il governo per l’emergenza del coronavirus snocciola una serie di dati raggelanti: se poi queste cifre sono ulteriormente approfondite al vaglio del tasso di letalità della malattia, il quadro diventa anche soltanto psicologicamente insostenibile.

Aprendo tutto, come se il virus fosse scomparso d’incanto, il numero di persone che finirebbero in terapia intensiva da qui a fine anno sarebbe insostenibile: oltre 430 mila con un picco di 151mila l’8 giugno. La sola chiusura delle scuole, mantenendo il resto attivo, farebbe scendere il picco a 110 mila (l’8 agosto), con un totale per tutto il 2020 di 397 mila casi da rianimazione. Se si riaprissero soltanto le scuole, poi, il picco di letti di terapia intensiva occupati sarebbe di 7.600, con oltre 48 mila casi fino a fine anno.

Siamo forse finiti in un antro di disperazione dal quale non si può uscire? Assolutamente no. Intanto perché la realizzazione di un vaccino non è soltanto una vaga speranza, ma, visti i progressi già raggiunti da una scienza che collabora in tutte le parti del mondo, sembra potersi concretizzare in tempi non brevissimi, ma comunque da record. Poi in quanto la gradualità e l’attenzione con cui si procede alla “normalizzazione” dovrebbe garantire di restare ben lontani da quei pericoli. E, infine, perché con le nostre ansie abbiamo imparato a convivere già da molto tempo. E non mi riferisco soltanto a quelle che ci fanno compagnia da quando siamo venuti al mondo, ma anche a quelle legate alla situazione attuale.

L’elenco non è breve. La prima ansia è legata alla paura del contagio che rimane, ma diventa parte di noi e si rivela più uno scudo davanti alla malattia che una minaccia alla nostra stabilità psicologica. E poi il meccanismo che fa seguire al sorgere di una paura la sua metabolizzazione si ripete. Pensate a quante paure sono diventate quasi abitudinarie e, quindi, non più in grado di rovinarci le giornate: il timore che un vaccino non venga mai scoperto; che non si realizzi un’immunizzazione per quelli già colpiti dal male in forma non letale; che in autunno si scateni la temuta recrudescenza; che siano gli altri ad avvicinarsi troppo a noi; che quando tutto tornerà normale a non essere più quello che definiamo “normali” saremo noi che intanto avremo perduto le nostre abitudini; che quando si riapriranno bar, ristoranti, scuole, teatri e cinema, troppa gente ci si precipiti mandando a quel paese la prevenzione; che quando si riapriranno bar, ristoranti, scuole, teatri e cinema, non ci vada nessuno mandando a quel paese l’economia; che la lontananza coatta possa infrangere, se non amicizie consolidate, almeno piacevoli compagnie, o anche amori appena nati; che il paesaggio delle città deserte scavi dentro di noi un’insofferenza alle città affollate. E potrei continuare.

Il fatto è che quando usciremo da questa esperienza, saremo un’inedita comunità che per una certa parte, ben maggiore di quella esistente fino a qualche mese fa, sarà costituita da tante solitudini che non renderanno certamente più facile affrontare l’ansia più sottile, ma anche quella più radicata e, cioè, che siamo assolutamente consci che non potremo più essere quello che siamo stati, ma non abbiamo ancora idea di quello che potremo diventare, se non che comunque saremo diversi.

Ma anche per questa ansia possediamo già un’arma di difesa ricordata pochi giorni fa con forza pure dal filosofo e sociologo Jürgen Habermas, che ultimamente è stata usata molto meno del necessario con nefaste conseguenze sociali ed etiche: la solidarietà nei confronti degli altri esseri umani che, se diffusa come dovrebbe sempre essere, garantisce che rivolge i suoi benefici frutti anche nei nostri confronti.

Perché le solitudini non sono mai condanne definitive e le porte che le rinchiudono possono essere sempre aperte, ma usando sulla stessa serratura contemporaneamente due chiavi: dal di dentro e dal di fuori. E quando la porta si apre l’ansia non evapora nel nulla, ma, insieme con altri, diventa decisamente sopportabile.


Le altre parole: Abbraccio, Ambiente, Anonimo, Anziano, Burocrazia, Confine, Democrazia, Denaro, Dignità, Dubbio, Empatia, Eroismo, Europeismo, Fede, Futuro, Guerra, Indignarsi, Infodemia, Lavoro, Lettura, Libertà, Linguaggio, Memoria, Natura, Opinione, Paesaggio, Paura, Quarantena, Regole, Resistenza, Scelta, Scienza, Scuola, Sogno, Solidarietà, Tempo, Uguaglianza, Vulnerabilità, Zelo.


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