In questo
terribile periodo dominato dal coronavirus sono molte le parole di cui
abbiamo scoperto, o riscoperto, il vero significato. Sembra doveroso
fissare questi pensieri in una specie di piccolo vocabolario per non
dimenticarli quando questo orrore sarà passato.
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Poche cose, tra quelle che regolano la
nostra vita, sono sfuggenti come il tempo, realtà assolutamente
soggettiva e variabile nella sua percezione, ma contemporaneamente
rigida e per tutti uguale nella sua scansione scientifica per la quale
gli uomini si sono impegnati fin dall’antichità con l’obbiettivo di
liberarsi dal monotono ripetersi dei cicli naturali, individuando gli
anni, i mesi, le settimane, i giorni, le ore, i minuti e i secondi. E lo
hanno fatto sfruttando il muoversi del Sole e della Luna, quello delle
ombre, il fluire della sabbia, o dell’acqua, fino ad arrivare
all’invenzione dell’orologio e, poi, ad affinare sempre di più i
meccanismi e, con essi, la precisione.
L’arrivo del Covid-19 ha nuovamente
mescolato le carte ridando più importanza non al tempo rigido, quello
che sovrintende al lavoro, agli appuntamenti, alle scadenze, ma a quello
soggettivo, che si allarga e si restringe a piacere – quasi sempre suo,
non il nostro – nelle ore che trascorriamo confinati in un luogo
soltanto, o al massimo a casa e al lavoro, con a disposizione tanto
tempo liberato più che libero.
Questa doppia valenza del tempo è
già stata attentamente analizzata dalla scienza con il russo Ilya
Prigogine, premio Nobel per la Chimica nel 1977, che in almeno due libri
– “L’invenzione del tempo” e “Tra il tempo e l’eternità” – ha
affrontato questo mistero che, più recentemente, è stato oggetto anche
degli studi di Carlo Rovelli che, ne “L’ordine del tempo”, ha
sottolineato che passato e futuro ormai non si oppongono più, come a
lungo si è pensato, e che a perdere consistenza è, invece, proprio
l’unico elemento che si credeva certo e concreto: il presente.
Comunque, pur senza inerpicarsi
sulle difficili e intricate strade della fisica, chiunque di noi,
proprio in questo periodo del coronavirus, si è reso conto di poter
accettare tranquillamente l’accusa che Gandhi aveva rivolto agli uomini
dell’Occidente: «Voi avete sempre l’ora, ma non avete mai il tempo».
Non è difficile constatare che in
periodi come questo il concetto di tempo diventa ancora più
spiccatamente diverso per ognuno di noi, anche soltanto nel peso che al
tempo diamo nel tentare di traguardare e quantificare le settimane, i
giorni, le ore che ci separano dal momento in cui pensiamo che potremo
riappropriarci della nostra vita di prima, ma soprattutto dal poter
archiviare nell’armadio dei brutti ricordi il timore che il Covid-19
possa ridurre drasticamente il tempo che ci rimane da vivere.
Da persona a persona, la diversità
di queste quantificazioni ipotetiche è estremamente rilevante, a seconda
dell’età, della salute , da come si è abituati a occupare le nostre
giornate. Probabilmente in una situazione in cui dobbiamo ingegnarci a
riempire in maniera soddisfacente il tempo, anche se soprattutto per non
fissarsi su un unico pensiero, siamo più inquieti in quanto siamo ben
consci che l’inattività, o meglio la noia, rischia di portarci a negare
l’esistenza del nostro tempo soggettivo perché il tempo esiste soltanto
in termini di cambiamento e, se qualcosa rimane sempre uguale, per
quella cosa il tempo non esiste. Proprio come non c’è calore se non c’è
movimento. E l’essere umano non può accettare che il tempo si fermi e
cessi di esistere in quanto sa benissimo che scomparirebbe anche lui
perché tutti noi siamo fatti di tempo.
Il fatto è che in questi giorni
sembrano non avere più consistenza molte cose che affidavamo a una
realtà che ci dava concretezza e sicurezza: quella della misurazione con
i numeri che conferiscono alla misura un significato reale. Anche le
cifre si sono dovute inchinare a una specie di relatività casalinga
nella quale rischiamo di perdere punti di riferimento importantissimi.
Fino a non molte settimane fa, se avessimo sentito dire che un virus ha
ucciso in un giorno 525 persone soltanto in Italia, ne saremmo rimasti
inorriditi, anche pensando a coloro ai quali il tempo è stato rubato in
solitudine assieme al tempo nostro che avremmo potuto passare con loro.
Oggi la pietas, anche se è resa più labile dalla mancanza di nomi e
storie celati dall’impersonalità dei numeri, continua a esistere, ma è
mescolata quasi a una specie di sospiro di sollievo perché la cifra
appare in calando rispetto a quelle degli ultimi giorni.
Il nostro modo di affrontare il
tempo e i numeri, insomma, sta diventando una specie di termometro che
ci dovrebbe permettere di capire quanto il Covid-19 ha stravolto il
nostro modo di essere e di sentire e in che misura ci sarà facile, o
difficile, riadattarci a un vivere personale e sociale che, per forza di
cose, non potrà mai tornare a essere com’era prima che il virus
aggredisse l’umanità.
Per il momento, comunque, abbiamo
imparato almeno due cose: che non è vero che il tempo è denaro e che, il
cosiddetto “tempo reale” con cui televisioni, radio e internet si
vantano di darci le notizie, non è un vantaggio, ma, anzi, è una
dannazione in quanto sostituisce la riflessione con la fretta e riduce
l’informazione a una semplice comunicazione, magari neppure troppo
attentamente verificata.
Le altre parole: Abbraccio, Burocrazia, Anonimo, Confine, Democrazia, Denaro, Dignità, Europeismo, Futuro, Infodemia, Libertà, Natura, Scelta, Sogno, Solidarietà, Vulnerabilità.
Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/
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