martedì 7 aprile 2020

Le parole del virus: Tempo

In questo terribile periodo dominato dal coronavirus sono molte le parole di cui abbiamo scoperto, o riscoperto, il vero significato. Sembra doveroso fissare questi pensieri in una specie di piccolo vocabolario per non dimenticarli quando questo orrore sarà passato.
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Poche cose, tra quelle che regolano la nostra vita, sono sfuggenti come il tempo, realtà assolutamente soggettiva e variabile nella sua percezione, ma contemporaneamente rigida e per tutti uguale nella sua scansione scientifica per la quale gli uomini si sono impegnati fin dall’antichità con l’obbiettivo di liberarsi dal monotono ripetersi dei cicli naturali, individuando gli anni, i mesi, le settimane, i giorni, le ore, i minuti e i secondi. E lo hanno fatto sfruttando il muoversi del Sole e della Luna, quello delle ombre, il fluire della sabbia, o dell’acqua, fino ad arrivare all’invenzione dell’orologio e, poi, ad affinare sempre di più i meccanismi e, con essi, la precisione.

L’arrivo del Covid-19 ha nuovamente mescolato le carte ridando più importanza non al tempo rigido, quello che sovrintende al lavoro, agli appuntamenti, alle scadenze, ma a quello soggettivo, che si allarga e si restringe a piacere – quasi sempre suo, non il nostro – nelle ore che trascorriamo confinati in un luogo soltanto, o al massimo a casa e al lavoro, con a disposizione tanto tempo liberato più che libero.

Questa doppia valenza del tempo è già stata attentamente analizzata dalla scienza con il russo Ilya Prigogine, premio Nobel per la Chimica nel 1977, che in almeno due libri – “L’invenzione del tempo” e “Tra il tempo e l’eternità” – ha affrontato questo mistero che, più recentemente, è stato oggetto anche degli studi di Carlo Rovelli che, ne “L’ordine del tempo”, ha sottolineato che passato e futuro ormai non si oppongono più, come a lungo si è pensato, e che a perdere consistenza è, invece, proprio l’unico elemento che si credeva certo e concreto: il presente.

Comunque, pur senza inerpicarsi sulle difficili e intricate strade della fisica, chiunque di noi, proprio in questo periodo del coronavirus, si è reso conto di poter accettare tranquillamente l’accusa che Gandhi aveva rivolto agli uomini dell’Occidente: «Voi avete sempre l’ora, ma non avete mai il tempo».

Non è difficile constatare che in periodi come questo il concetto di tempo diventa ancora più spiccatamente diverso per ognuno di noi, anche soltanto nel peso che al tempo diamo nel tentare di traguardare e quantificare le settimane, i giorni, le ore che ci separano dal momento in cui pensiamo che potremo riappropriarci della nostra vita di prima, ma soprattutto dal poter archiviare nell’armadio dei brutti ricordi il timore che il Covid-19 possa ridurre drasticamente il tempo che ci rimane da vivere.

Da persona a persona, la diversità di queste quantificazioni ipotetiche è estremamente rilevante, a seconda dell’età, della salute , da come si è abituati a occupare le nostre giornate. Probabilmente in una situazione in cui dobbiamo ingegnarci a riempire in maniera soddisfacente il tempo, anche se soprattutto per non fissarsi su un unico pensiero, siamo più inquieti in quanto siamo ben consci che l’inattività, o meglio la noia, rischia di portarci a negare l’esistenza del nostro tempo soggettivo perché il tempo esiste soltanto in termini di cambiamento e, se qualcosa rimane sempre uguale, per quella cosa il tempo non esiste. Proprio come non c’è calore se non c’è movimento. E l’essere umano non può accettare che il tempo si fermi e cessi di esistere in quanto sa benissimo che scomparirebbe anche lui perché tutti noi siamo fatti di tempo.

Il fatto è che in questi giorni sembrano non avere più consistenza molte cose che affidavamo a una realtà che ci dava concretezza e sicurezza: quella della misurazione con i numeri che conferiscono alla misura un significato reale. Anche le cifre si sono dovute inchinare a una specie di relatività casalinga nella quale rischiamo di perdere punti di riferimento importantissimi. Fino a non molte settimane fa, se avessimo sentito dire che un virus ha ucciso in un giorno 525 persone soltanto in Italia, ne saremmo rimasti inorriditi, anche pensando a coloro ai quali il tempo è stato rubato in solitudine assieme al tempo nostro che avremmo potuto passare con loro. Oggi la pietas, anche se è resa più labile dalla mancanza di nomi e storie celati dall’impersonalità dei numeri, continua a esistere, ma è mescolata quasi a una specie di sospiro di sollievo perché la cifra appare in calando rispetto a quelle degli ultimi giorni.

Il nostro modo di affrontare il tempo e i numeri, insomma, sta diventando una specie di termometro che ci dovrebbe permettere di capire quanto il Covid-19 ha stravolto il nostro modo di essere e di sentire e in che misura ci sarà facile, o difficile, riadattarci a un vivere personale e sociale che, per forza di cose, non potrà mai tornare a essere com’era prima che il virus aggredisse l’umanità.

Per il momento, comunque, abbiamo imparato almeno due cose: che non è vero che il tempo è denaro e che, il cosiddetto “tempo reale” con cui televisioni, radio e internet si vantano di darci le notizie, non è un vantaggio, ma, anzi, è una dannazione in quanto sostituisce la riflessione con la fretta e riduce l’informazione a una semplice comunicazione, magari neppure troppo attentamente verificata.


Le altre parole: Abbraccio, Burocrazia, Anonimo, Confine, Democrazia, Denaro, Dignità, Europeismo, Futuro, Infodemia, Libertà, Natura, Scelta, Sogno, Solidarietà, Vulnerabilità.


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