mercoledì 22 aprile 2020

Le parole del virus: Resistenza

In questo terribile periodo dominato dal coronavirus sono molte le parole di cui abbiamo scoperto, o riscoperto, il vero significato. Sembra doveroso fissare questi pensieri in una specie di piccolo vocabolario per non dimenticarli quando questo orrore sarà passato.
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Lo sentiamo ripetere ogni giorno che bisogna resistere: alla voglia di uscire, alla spontanea tentazione di sfregarsi gli occhi, al desiderio di incontrare le persone care e quelle amiche, alla spinta abitudinaria a non osservare attentamente le distanze con il vicino della fila mentre si chiacchiera con lui durante l’attesa. Il fatto, poi, che siamo ormai vicinissimi al 25 aprile, festa della Liberazione ha fatto usare ancora di più la parola “Resistenza”; a volte con la lettera iniziale maiuscola, a volte con quella minuscola. Addirittura anche alcune pubblicità l’hanno utilizzata per propagandare il proprio prodotto.

Del resto, il Covid-19 è riuscito a influire anche sulla celebrazione della Resistenza, quella con la “R” maiuscola, perché per la prima volta dalla fine della guerra la manifestazione del 25 aprile non potrà essere celebrata con cortei, raduni, cori, bandiere perché, almeno per quest’anno, il coronavirus che non permette assembramenti. Al loro posto, però, sono già organizzati cortei e raduni virtuali, mentre articoli e discorsi hanno già cominciato a essere diffusi sul web, in radio, in televisione e sui giornali.

Probabilmente, anzi, qualcuno – per non far nomi, il sindaco di Udine – sarà grato al virus per questa sospensione perché gli risparmierà il fastidio di tollerare le bordate di fischi che gli sono state indirizzate ogni volta in cui ha dovuto tenere un’orazione ufficiale impostagli dal suo ruolo istituzionale e ha tentato di stravolgere il senso della cerimonia raccontando cose inaccettabili, come il fatto che tutti i morti meritano la stessa pietà (ed è vero, perché la morte accumuna tutti in un triste passaggio), ma anche l’identico rispetto (ed è assolutamente falso in quanto il rispetto lo si merita in vita e la vita di un fascista, o di un nazista, non è stata neppure vagamente simile a quella di un partigiano, o di uno dei tanti che, pur senza imbracciare un'arma, si sono rifiutati di collaborare).

Incredibilmente il coronavirus è stato tirato in ballo anche dal nostalgicissimo Ignazio La Russa, che ha proposto di dedicare la giornata della Liberazione a tutti coloro che sono morti di Covid-19 adoperandosi per salvare gli altri. Il suo ragionamento è troppo scoperto anche per essere soltanto furbo: quella contro il coronavirus – dice – è una guerra; noi vogliamo rivordare queste vittime come quelle di tutte le guerre; allora onoriamole tutte insieme; e nel calderone mettiamoci anche i morti di quella che ha insanguinato l’Italia dal 1943 al ’45; da entrambe le parti, s’intende – puntualizza La Russa – perché così la si finisce di distinguere gli uni dagli altri e si chiude il sipario anche sugli ideali divergenti che li hanno animati. E, poi, ciliegina finale sulla torta, basta con la divisiva “Bella ciao” che fastidiosamente è ormai diventata simbolo di libertà in tutto il mondo: sostituiamola con la guerresca “Canzone del Piave”.

Teoricamente tutto si potrebbe fare, dicono. D’accordo, per carità, ma soltanto se tutte le vittime uccise dai nazisti nei Lager, dopo essere state denunciate, catturate, seviziate dai fascisti, che comunque hanno ammazzato un bel po’ di persone anche da soli, accettassero di essere ricordate insieme a coloro che le hanno uccise, torturate o tradite. E magari ci vorrebbe un po’ di rispetto anche per le vittime del Covid-19 che, per la stragrande maggioranza probabilmente si sentirebbero profondamente offese a essere mescolate nel ricordo ai nazifascisti.

So benissimo che più d’uno mi accuserà di aver fatto, con questo scritto, politica. È vero: è assolutamente così. Ed è giusto che sia così perché essere antifascisti è fare politica; credere nella democrazia è fare politica; non mediare su certi principi è fare politica; ricordare che l’articolo 1 della Costituzione nata dalla Resistenza pone il lavoro a fondamento di tutto è fare politica; ribadire che la preminenza spetta sempre ai bisogni degli uomini e non a quelli dei bilanci è fare politica; celebrare il 25 aprile con i ragazzi, affinché tutte le generazioni siano consapevoli della nostra storia e diventino sensibili e attente, prima che sia troppo tardi, a ogni pur minimo, ma progressivo degrado etico e democratico è fare politica; perché dire che l’indifferenza, il non prendere posizione, sono già complicità è fare politica. Senza tutto questo, celebrare la Liberazione non avrebbe il minimo senso.

Vorrei, però, mettere a fuoco ancora un paio di punti di contatto tra la Resistenza e l’oggi. Combattere è sempre eroico, ma quasi naturale perché spesso è la stessa lotta a venirti a cercare per costringerti a difenderti. Il problema, oggi come allora, è il dopo, quando arriva la soddisfazione della vittoria con la tentazione di fermarsi per dimenticare le brutte cose passare, quando ci si sente ormai al sicuro, si abbassa la guardia e si pensa di poter godere dei frutti del successo. Ed è proprio allora che il virus può riprendere forza e provocare altre catastrofi. Sia che il virus si chiami Covid-19, sia che si chiami fascismo.


Le altre parole: Abbraccio, Ambiente, Anonimo, Anziano, Burocrazia, Confine, Democrazia, Denaro, Dignità, Dubbio, Empatia, Eroismo, Europeismo, Fede, Futuro, Infodemia, Lavoro, Lettura, Libertà, Memoria, Natura, Paesaggio, Quarantena, Regole, Scelta, Scienza, Sogno, Solidarietà, Tempo, Vulnerabilità.

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