In questo
terribile periodo dominato dal coronavirus sono molte le parole di cui
abbiamo scoperto, o riscoperto, il vero significato. Sembra doveroso
fissare questi pensieri in una specie di piccolo vocabolario per non
dimenticarli quando questo orrore sarà passato.
---
Lo
sentiamo ripetere ogni giorno che bisogna resistere: alla voglia di
uscire, alla spontanea tentazione di sfregarsi gli occhi, al desiderio
di incontrare le persone care e quelle amiche, alla spinta abitudinaria a
non osservare attentamente le distanze con il vicino della fila mentre
si chiacchiera con lui durante l’attesa. Il fatto, poi, che siamo ormai
vicinissimi al 25 aprile, festa della Liberazione ha fatto usare ancora
di più la parola “Resistenza”; a volte con la lettera iniziale
maiuscola, a volte con quella minuscola. Addirittura anche alcune
pubblicità l’hanno utilizzata per propagandare il proprio prodotto.
Del resto, il Covid-19 è riuscito a
influire anche sulla celebrazione della Resistenza, quella con la “R”
maiuscola, perché per la prima volta dalla fine della guerra la
manifestazione del 25 aprile non potrà essere celebrata con cortei,
raduni, cori, bandiere perché, almeno per quest’anno, il coronavirus che
non permette assembramenti. Al loro posto, però, sono già organizzati
cortei e raduni virtuali, mentre articoli e discorsi hanno già
cominciato a essere diffusi sul web, in radio, in televisione e sui
giornali.
Probabilmente, anzi, qualcuno – per
non far nomi, il sindaco di Udine – sarà grato al virus per questa
sospensione perché gli risparmierà il fastidio di tollerare le bordate
di fischi che gli sono state indirizzate ogni volta in cui ha dovuto
tenere un’orazione ufficiale impostagli dal suo ruolo istituzionale e ha
tentato di stravolgere il senso della cerimonia raccontando cose
inaccettabili, come il fatto che tutti i morti meritano la stessa pietà
(ed è vero, perché la morte accumuna tutti in un triste passaggio), ma
anche l’identico rispetto (ed è assolutamente falso in quanto il
rispetto lo si merita in vita e la vita di un fascista, o di un nazista,
non è stata neppure vagamente simile a quella di un partigiano, o di
uno dei tanti che, pur senza imbracciare un'arma, si sono rifiutati di
collaborare).
Incredibilmente il coronavirus è
stato tirato in ballo anche dal nostalgicissimo Ignazio La Russa, che ha
proposto di dedicare la giornata della Liberazione a tutti coloro che
sono morti di Covid-19 adoperandosi per salvare gli altri. Il suo
ragionamento è troppo scoperto anche per essere soltanto furbo: quella
contro il coronavirus – dice – è una guerra; noi vogliamo rivordare
queste vittime come quelle di tutte le guerre; allora onoriamole tutte
insieme; e nel calderone mettiamoci anche i morti di quella che ha
insanguinato l’Italia dal 1943 al ’45; da entrambe le parti, s’intende –
puntualizza La Russa – perché così la si finisce di distinguere gli uni
dagli altri e si chiude il sipario anche sugli ideali divergenti che li
hanno animati. E, poi, ciliegina finale sulla torta, basta con la
divisiva “Bella ciao” che fastidiosamente è ormai diventata simbolo di libertà in tutto il mondo: sostituiamola con la guerresca “Canzone del Piave”.
Teoricamente tutto si potrebbe fare,
dicono. D’accordo, per carità, ma soltanto se tutte le vittime uccise
dai nazisti nei Lager, dopo essere state denunciate, catturate,
seviziate dai fascisti, che comunque hanno ammazzato un bel po’ di
persone anche da soli, accettassero di essere ricordate insieme a coloro
che le hanno uccise, torturate o tradite. E magari ci vorrebbe un po’
di rispetto anche per le vittime del Covid-19 che, per la stragrande
maggioranza probabilmente si sentirebbero profondamente offese a essere
mescolate nel ricordo ai nazifascisti.
So benissimo che più d’uno mi
accuserà di aver fatto, con questo scritto, politica. È vero: è
assolutamente così. Ed è giusto che sia così perché essere antifascisti è
fare politica; credere nella democrazia è fare politica; non mediare su
certi principi è fare politica; ricordare che l’articolo 1 della
Costituzione nata dalla Resistenza pone il lavoro a fondamento di tutto è
fare politica; ribadire che la preminenza spetta sempre ai bisogni
degli uomini e non a quelli dei bilanci è fare politica; celebrare il 25
aprile con i ragazzi, affinché tutte le generazioni siano consapevoli
della nostra storia e diventino sensibili e attente, prima che sia
troppo tardi, a ogni pur minimo, ma progressivo degrado etico e
democratico è fare politica; perché dire che l’indifferenza, il non
prendere posizione, sono già complicità è fare politica. Senza tutto
questo, celebrare la Liberazione non avrebbe il minimo senso.
Vorrei, però, mettere a fuoco ancora un paio di punti di contatto tra la Resistenza e l’oggi. Combattere è
sempre eroico, ma quasi naturale perché spesso è la stessa lotta a
venirti a cercare per costringerti a difenderti. Il problema, oggi come
allora, è il dopo, quando arriva la soddisfazione della vittoria con la
tentazione di fermarsi per dimenticare le brutte cose passare, quando ci
si sente ormai al sicuro, si abbassa la guardia e si pensa di poter
godere dei frutti del successo. Ed è proprio allora che il virus può
riprendere forza e provocare altre catastrofi. Sia che il virus si
chiami Covid-19, sia che si chiami fascismo.
Le altre parole: Abbraccio, Ambiente, Anonimo, Anziano, Burocrazia, Confine, Democrazia, Denaro, Dignità, Dubbio, Empatia, Eroismo, Europeismo, Fede, Futuro, Infodemia, Lavoro, Lettura, Libertà, Memoria, Natura, Paesaggio, Quarantena, Regole, Scelta, Scienza, Sogno, Solidarietà, Tempo, Vulnerabilità.
Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/
Nessun commento:
Posta un commento