giovedì 9 aprile 2020

Le parole del virus: Empatia

In questo terribile periodo dominato dal coronavirus sono molte le parole di cui abbiamo scoperto, o riscoperto, il vero significato. Sembra doveroso fissare questi pensieri in una specie di piccolo vocabolario per non dimenticarli quando questo orrore sarà passato.
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Il cambio di abitudini impostoci dal Covid-19 ha causato mutamenti non soltanto in campo ambientale, portando a una pulizia dell’aria e dell’acqua di cui si era perduta quasi la memoria, ma ha comportato variazioni sensibili anche nei rapporti interpersonali e sociali, e la parola “empatia” non soltanto ha cominciato a essere sentita molto più spesso, ma ha assunto anche una sua consistenza reale.

Chi avrebbe mai pensato, fino a poco più di un mese fa che, fuori dai pochi negozi ancora aperti, si sarebbero dovute formare delle file più o meno lunghe? E che, in più, sarebbero state ordinate? E, soprattutto, che soltanto in rarissimi casi si sarebbero verificati quei tentativi furbastri – che erano quasi una specie di sport nazionale – di rubare il posto a chi legittimamente era più avanti nell’attesa del turno d’entrata? Anzi, che la solidarietà degli altri con colui che stava per subire il sopruso e l’arrabbiatura con chi se ne rendeva protagonista, è stata tanto evidente e palese che ormai di episodi simili non se ne vedono praticamente più.

A spingere in questa direzione è stato proprio il diffondersi di quella che dalla fine dell’Ottocento è chiamata “empatia”, cioè la capacità di comprendere in modo immediato lo stato d’animo e la situazione emotiva di un’altra persona, quasi sempre senza dover nemmeno ricorrere alla comunicazione verbale. Ed è evidente che, se oggi è più semplice essere empatici con gli altri, questo avviene perché siamo consci di essere tutti su una stessa barca ancora sballottata dalle onde di una terribile pandemia e che richiede che tutti agiscano solidalmente per sperare di tornare a galleggiare in un mare calmo, riducendo i danni al minimo possibile.

L’empatia è parente di quella simpatia di cui già prima si parlava, ma è anche sensibilmente diversa: richiede meno requisiti e sforzi per svilupparsi, però è sicuramente più superficiale. E, mentre la simpatia, fase che precede sentimenti più solidi, può essere messa in crisi da differenze di carattere, linguaggio, religione, fede politica, gusti culturali e mille altre cose, l’empatia non ha bisogno di conferme: quasi sempre inizia e finisce lì. A prima vista, quindi, può sembrare praticamente inutile e, invece, è fondamentale per rendere più facile il primo approccio tra persone diverse, che non si conoscono e che, magari, non si rivedranno mai più, ma che, grazie all’empatia, riducono assieme quel tasso di tensione e di stress che riempiva molti momenti delle nostre giornate: al lavoro, nel traffico, nelle attese del turno, appunto. Riesce anche a farci dimenticare, almeno per qualche tempo, quei sensi di timore, o di paura che inevitabilmente accompagnano questi periodi. Ed empatia è anche quel sentimento di ribellione interna che proviamo quando percepiamo che tante storie, tanti sentimenti, tante persone, in questi giorni sono stati ridotti a disadorni numeri che ci danno preziose indicazioni statistiche, ma ci tolgono altrettanto preziosi sentimenti umani.

A far meditare in questo senso è anche la notizia data dal professor Gianfranco Sinagra, direttore del Dipartimento Cardiovascolare di Trieste che ha rilevato come, con l’arrivo del coronavirus, sia drasticamente calato il numero degli infarti gravi degli ictus. Ovviamente ci sarà ancora molto da studiare per capire quale tipo di relazione ci sia tra questi due avvenimenti che sembrano totalmente staccati, ma la prima indicazione pare essere proprio quella di un mutamento obbligato di certe abitudini comportamentali non proprio salutari o troppo pesanti e, in parte, quindi, di una diminuzione dello stress. Forse aveva ragione lo psicologo Simon Baron-Cohen che aveva definito l’empatia un «solvente universale». «Ogni problema – ha scritto – che viene immerso nell'empatia diventa risolvibile».

L’empatia, insomma, è il primo passo verso le condizioni che permettono rapporti molto più umani: la simpatia e soprattutto la compassione che, pur avendo radici etimologiche perfettamente uguali, nel parlare comune hanno sviluppato un significato diverso. Non può non essere definita “compassione”, per esempio, la decisione di un medico dell’ospedale di Crema – e non sarà stato sicuramente l’unico in questo nostro Paese – che, pur essendo oberato da pensieri e preoccupazioni per sé, per i suoi cari e per coloro che sono affidati alle sue cure, ha deciso di patire insieme a un malato agli sgoccioli della sua vita e con i suoi parenti, abbracciando chi se ne stava andando, pur se fino a pochi giorni prima totalmente sconosciuto, e reggendogli il cellulare vicino all’orecchio in maniera da assicurare almeno una comunicazione sonora con chi stava per perdere il marito, il padre, il nonno; o comunque una persona cara.

Sono moltissime le cose ancora da capire, ma soprattutto dovremmo chiederci, empaticamente, perché spesso l’essere umano riesca a trarre da sé il meglio soltanto in presenza di disgrazie e sciagure. Pensando anche che se l’azione empatica si sviluppasse sempre, anche in modi che, erroneamente, sembrano aver poco a che fare con l’empatia, come per esempio non evadere le tasse, molti lutti e molti danni potrebbero essere evitati, o, quantomeno ridotti. Infatti è empatia pensare che se si sottraggono i soldi alla comunità, si finisce per rendere più facile far massacrare, per esempio, la sanità pubblica causando un danno terribile a migliaia di persone. E forse anche a se stessi.

Le altre parole: Abbraccio, Ambiente, Burocrazia, Anonimo, Confine, Democrazia, Denaro, Dignità, Europeismo, Futuro, Infodemia, Libertà, Natura, Scelta, Sogno, Solidarietà, Tempo, Vulnerabilità.


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