In questo
terribile periodo dominato dal coronavirus sono molte le parole di cui
abbiamo scoperto, o riscoperto, il vero significato. Sembra doveroso
fissare questi pensieri in una specie di piccolo vocabolario per non
dimenticarli quando questo orrore sarà passato.
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Il
cambio di abitudini impostoci dal Covid-19 ha causato mutamenti non
soltanto in campo ambientale, portando a una pulizia dell’aria e
dell’acqua di cui si era perduta quasi la memoria, ma ha comportato
variazioni sensibili anche nei rapporti interpersonali e sociali, e la
parola “empatia” non soltanto ha cominciato a essere sentita molto più
spesso, ma ha assunto anche una sua consistenza reale.
Chi avrebbe mai pensato, fino a poco
più di un mese fa che, fuori dai pochi negozi ancora aperti, si
sarebbero dovute formare delle file più o meno lunghe? E che, in più,
sarebbero state ordinate? E, soprattutto, che soltanto in rarissimi casi
si sarebbero verificati quei tentativi furbastri – che erano quasi una
specie di sport nazionale – di rubare il posto a chi legittimamente era
più avanti nell’attesa del turno d’entrata? Anzi, che la solidarietà
degli altri con colui che stava per subire il sopruso e l’arrabbiatura
con chi se ne rendeva protagonista, è stata tanto evidente e palese che
ormai di episodi simili non se ne vedono praticamente più.
A spingere in questa direzione è
stato proprio il diffondersi di quella che dalla fine dell’Ottocento è
chiamata “empatia”, cioè la capacità di comprendere in modo immediato lo
stato d’animo e la situazione emotiva di un’altra persona, quasi sempre
senza dover nemmeno ricorrere alla comunicazione verbale. Ed è evidente
che, se oggi è più semplice essere empatici con gli altri, questo
avviene perché siamo consci di essere tutti su una stessa barca ancora
sballottata dalle onde di una terribile pandemia e che richiede che
tutti agiscano solidalmente per sperare di tornare a galleggiare in un
mare calmo, riducendo i danni al minimo possibile.
L’empatia è parente di quella
simpatia di cui già prima si parlava, ma è anche sensibilmente diversa:
richiede meno requisiti e sforzi per svilupparsi, però è sicuramente più
superficiale. E, mentre la simpatia, fase che precede sentimenti più
solidi, può essere messa in crisi da differenze di carattere,
linguaggio, religione, fede politica, gusti culturali e mille altre
cose, l’empatia non ha bisogno di conferme: quasi sempre inizia e
finisce lì. A prima vista, quindi, può sembrare praticamente inutile e,
invece, è fondamentale per rendere più facile il primo approccio tra
persone diverse, che non si conoscono e che, magari, non si rivedranno
mai più, ma che, grazie all’empatia, riducono assieme quel tasso di
tensione e di stress che riempiva molti momenti delle nostre giornate:
al lavoro, nel traffico, nelle attese del turno, appunto. Riesce anche a
farci dimenticare, almeno per qualche tempo, quei sensi di timore, o di
paura che inevitabilmente accompagnano questi periodi. Ed empatia è
anche quel sentimento di ribellione interna che proviamo quando
percepiamo che tante storie, tanti sentimenti, tante persone, in questi
giorni sono stati ridotti a disadorni numeri che ci danno preziose
indicazioni statistiche, ma ci tolgono altrettanto preziosi sentimenti
umani.
A far meditare in questo senso è
anche la notizia data dal professor Gianfranco Sinagra, direttore del
Dipartimento Cardiovascolare di Trieste che ha rilevato come, con
l’arrivo del coronavirus, sia drasticamente calato il numero degli
infarti gravi degli ictus. Ovviamente ci sarà ancora molto da studiare
per capire quale tipo di relazione ci sia tra questi due avvenimenti che
sembrano totalmente staccati, ma la prima indicazione pare essere
proprio quella di un mutamento obbligato di certe abitudini
comportamentali non proprio salutari o troppo pesanti e, in parte,
quindi, di una diminuzione dello stress. Forse aveva ragione lo
psicologo Simon Baron-Cohen che aveva definito l’empatia un «solvente
universale». «Ogni problema – ha scritto – che viene immerso
nell'empatia diventa risolvibile».
L’empatia, insomma, è il primo passo
verso le condizioni che permettono rapporti molto più umani: la
simpatia e soprattutto la compassione che, pur avendo radici
etimologiche perfettamente uguali, nel parlare comune hanno sviluppato
un significato diverso. Non può non essere definita “compassione”, per
esempio, la decisione di un medico dell’ospedale di Crema – e non sarà
stato sicuramente l’unico in questo nostro Paese – che, pur essendo
oberato da pensieri e preoccupazioni per sé, per i suoi cari e per
coloro che sono affidati alle sue cure, ha deciso di patire insieme a un
malato agli sgoccioli della sua vita e con i suoi parenti, abbracciando
chi se ne stava andando, pur se fino a pochi giorni prima totalmente
sconosciuto, e reggendogli il cellulare vicino all’orecchio in maniera
da assicurare almeno una comunicazione sonora con chi stava per perdere
il marito, il padre, il nonno; o comunque una persona cara.
Sono moltissime le cose ancora da
capire, ma soprattutto dovremmo chiederci, empaticamente, perché spesso
l’essere umano riesca a trarre da sé il meglio soltanto in presenza di
disgrazie e sciagure. Pensando anche che se l’azione empatica si
sviluppasse sempre, anche in modi che, erroneamente, sembrano aver poco a
che fare con l’empatia, come per esempio non evadere le tasse, molti
lutti e molti danni potrebbero essere evitati, o, quantomeno ridotti.
Infatti è empatia pensare che se si sottraggono i soldi alla comunità,
si finisce per rendere più facile far massacrare, per esempio, la sanità
pubblica causando un danno terribile a migliaia di persone. E forse
anche a se stessi.
Le altre parole: Abbraccio, Ambiente, Burocrazia, Anonimo, Confine, Democrazia, Denaro, Dignità, Europeismo, Futuro, Infodemia, Libertà, Natura, Scelta, Sogno, Solidarietà, Tempo, Vulnerabilità.
Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/
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