giovedì 23 aprile 2020

Le parole del virus: Linguaggio

In questo terribile periodo dominato dal coronavirus sono molte le parole di cui abbiamo scoperto, o riscoperto, il vero significato. Sembra doveroso fissare questi pensieri in una specie di piccolo vocabolario per non dimenticarli quando questo orrore sarà passato.
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Le notizie dei fatti, se non vi assistiamo direttamente, ci arrivano attraverso narrazioni altrui, e ogni racconto è inevitabilmente mediato e influenzato dal punto di vista e dalle inevitabili convinzioni del testimone diretto: quindi la realtà ne esce sempre un po’ mutata o, nei casi peggiori, colposamente stravolta o, addirittura, colpevolmente e deliberatamente camuffata. È insomma evidente che dello stesso avvenimento si possono avere, sia pur in buona fede, delle narrazioni molto diverse, perché la stessa cosa può essere vista sotto varie angolature che ne cambiano la prospettiva. Pensate alle infinite discussioni dopo un incidente stradale, o a quelle, ancor più immotivatamente radicalizzate, davanti a una moviola che fa discutere sull’esistenza di un gol, di un fuori gioco, o di un fallo.

Niente di grave, normalmente, ma se il linguaggio e la sua comprensione, sono importanti in ogni circostanza della vita, diventano basilari nei momenti di crisi. Ed è difficile pensare a una crisi più profonda e ramificata di quella indotta dal dilagare del Covid-19. Poiché la conoscenza dei fatti è fondamentale, sia per decidere le direttive da impartire agli altri, sia per scegliere se obbedire, o meno, a decreti e regolamenti, allora la cosa più importante è capire se, al di là della buona o cattiva fede, quello che ci viene proposto è realtà, oppure appartiene al mondo della fiction.

La cosa non è assolutamente facile, anche perché le parole isolate sono realtà virtuali, mentre soltanto quelle che appaiono in un testo e in un contesto hanno consistenza reale. In questa serie, “Le parole del virus”, per esempio, il vocabolo del titolo, da solo, resta senza quella sostanza che poi appare, invece, nel contenuto del testo. E, purtroppo, noi di solito restiamo più colpiti dalle parole, brevi e suggestive, che dalle frasi, complesse e maggiormente capaci di distrarre.

A farci attenzione, si realizza subito che il concetto di “bugia” è antichissimo, tanto che già nei Dieci comandamenti si ammonisce: «Non dire falsa testimonianza», ma soltanto con Sant’Agostino si comincia a cogliere l’aspetto linguistico di una questione che fino ad allora era stata trattata soltanto sul piano filosofico e teologico. Il santo di Ippona afferma: «Il linguaggio è stato senza dubbio istituito non perché gli uomini si ingannino reciprocamente, ma perché ciascuno porti a conoscenza degli altri i propri pensieri. È per questo che usare il linguaggio per mentire, contro il suo fine originario, è peccato». E il concetto è ripreso da altri due dottori della Chiesa, Tommaso d’Aquino e Bonaventura da Bagnoregio che affinano ancora di più il concetto: «La lingua dovrebbe rivelare i pensieri, non nasconderli».

Lasciamo pur perdere il concetto di peccato, ma in caso di falsificazione della realtà, appare evidente la violazione del patto di reciproca fiducia che dovrebbe esistere tra chiunque ha una responsabilità, anche deontologica, e chi di lui deve fidarsi, tra eletti ed elettori, ma anche tra chi sa e chi di lui si fida, in economia, nelle scienze, nella tecnica; nel racconto, appunto.

Con l’arrivo del coronavirus abbiamo avuto prove tangibili che tutto questo camuffare la realtà è diffusissimo in tutto il mondo, sia che provochi danni, magari per interessi propri, sia che serva esclusivamente a far pensare di far bella figura. Hanno colpito tutti le enormi differenze di percentuali tra malati e sani, tra gravi e gravissimi, tra colpiti e deceduti nei vari Paesi del mondo e, forse, anche tra le varie regioni italiane.

Difficile spiegarlo? Assolutamente no: basti pensare alla profonda differenza sostanziale tra «È morto di coronavirus» ed «È morto con il coronavirus». Basta decidere che nel secondo caso la reale causa della morte va ascritta alla patologia più antica e cronica, e le percentuali cambieranno in maniera sostanziale in quanto, a parità di numeratore muterà sensibilmente il denominatore. Con il risultato, saranno diversi anche i gradi di aggressività o di letalità che attribuiamo al virus e, con loro, probabilmente l’attenzione con cui metteremo in pratica le norme di difesa per noi e per gli altri.

Insomma, non solo le parole, messe in una frase, possono diventare bugiarde, ma anche i numeri possono essere piegati ai propri intendimenti. E se anche i numeri non riescono a dare più alcuna certezza, allora è semplicissimo passare dall’aggettivo “scientifico” all’aggettivo “dogmatico” e per molti diventa quasi naturale dare lo stesso peso a uno scienziato di fama e alla pur utilissima Wikipedia; ma anche a qualunque strillo appaia su un social.

A far capire, però, la differenza che corre tra scienza e propaganda basta quasi sempre ricordare che la scienza, dopo ogni affermazione, di solito ripete «fino a quando non ne sapremo di più», mentre la propaganda tenta sempre di gabellarci pensieri personali come realtà granitiche.

Le altre parole: Abbraccio, Ambiente, Anonimo, Anziano, Burocrazia, Confine, Democrazia, Denaro, Dignità, Dubbio, Empatia, Eroismo, Europeismo, Fede, Futuro, Infodemia, Lavoro, Lettura, Libertà, Memoria, Natura, Paesaggio, Quarantena, Regole, Resistenza, Scelta, Scienza, Sogno, Solidarietà, Tempo, Vulnerabilità.

Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/

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