In questo
terribile periodo dominato dal coronavirus sono molte le parole di cui
abbiamo scoperto, o riscoperto, il vero significato. Sembra doveroso
fissare questi pensieri in una specie di piccolo vocabolario per non
dimenticarli quando questo orrore sarà passato.
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Le
notizie dei fatti, se non vi assistiamo direttamente, ci arrivano
attraverso narrazioni altrui, e ogni racconto è inevitabilmente mediato e
influenzato dal punto di vista e dalle inevitabili convinzioni del
testimone diretto: quindi la realtà ne esce sempre un po’ mutata o, nei
casi peggiori, colposamente stravolta o, addirittura, colpevolmente e
deliberatamente camuffata. È insomma evidente che dello stesso
avvenimento si possono avere, sia pur in buona fede, delle narrazioni
molto diverse, perché la stessa cosa può essere vista sotto varie
angolature che ne cambiano la prospettiva. Pensate alle infinite
discussioni dopo un incidente stradale, o a quelle, ancor più
immotivatamente radicalizzate, davanti a una moviola che fa discutere
sull’esistenza di un gol, di un fuori gioco, o di un fallo.
Niente di grave, normalmente, ma se
il linguaggio e la sua comprensione, sono importanti in ogni circostanza
della vita, diventano basilari nei momenti di crisi. Ed è difficile
pensare a una crisi più profonda e ramificata di quella indotta dal
dilagare del Covid-19. Poiché la conoscenza dei fatti è fondamentale,
sia per decidere le direttive da impartire agli altri, sia per scegliere
se obbedire, o meno, a decreti e regolamenti, allora la cosa più
importante è capire se, al di là della buona o cattiva fede, quello che
ci viene proposto è realtà, oppure appartiene al mondo della fiction.
La cosa non è assolutamente facile,
anche perché le parole isolate sono realtà virtuali, mentre soltanto
quelle che appaiono in un testo e in un contesto hanno consistenza
reale. In questa serie, “Le parole del virus”, per esempio, il vocabolo
del titolo, da solo, resta senza quella sostanza che poi appare, invece,
nel contenuto del testo. E, purtroppo, noi di solito restiamo più
colpiti dalle parole, brevi e suggestive, che dalle frasi, complesse e
maggiormente capaci di distrarre.
A farci attenzione, si realizza
subito che il concetto di “bugia” è antichissimo, tanto che già nei
Dieci comandamenti si ammonisce: «Non dire falsa testimonianza», ma
soltanto con Sant’Agostino si comincia a cogliere l’aspetto linguistico
di una questione che fino ad allora era stata trattata soltanto sul
piano filosofico e teologico. Il santo di Ippona afferma: «Il linguaggio
è stato senza dubbio istituito non perché gli uomini si ingannino
reciprocamente, ma perché ciascuno porti a conoscenza degli altri i
propri pensieri. È per questo che usare il linguaggio per mentire,
contro il suo fine originario, è peccato». E il concetto è ripreso da
altri due dottori della Chiesa, Tommaso d’Aquino e Bonaventura da
Bagnoregio che affinano ancora di più il concetto: «La lingua dovrebbe
rivelare i pensieri, non nasconderli».
Lasciamo pur perdere il concetto di
peccato, ma in caso di falsificazione della realtà, appare evidente la
violazione del patto di reciproca fiducia che dovrebbe esistere tra
chiunque ha una responsabilità, anche deontologica, e chi di lui deve
fidarsi, tra eletti ed elettori, ma anche tra chi sa e chi di lui si
fida, in economia, nelle scienze, nella tecnica; nel racconto, appunto.
Con l’arrivo del coronavirus abbiamo
avuto prove tangibili che tutto questo camuffare la realtà è
diffusissimo in tutto il mondo, sia che provochi danni, magari per
interessi propri, sia che serva esclusivamente a far pensare di far
bella figura. Hanno colpito tutti le enormi differenze di percentuali
tra malati e sani, tra gravi e gravissimi, tra colpiti e deceduti nei
vari Paesi del mondo e, forse, anche tra le varie regioni italiane.
Difficile spiegarlo? Assolutamente
no: basti pensare alla profonda differenza sostanziale tra «È morto di
coronavirus» ed «È morto con il coronavirus». Basta decidere che nel
secondo caso la reale causa della morte va ascritta alla patologia più
antica e cronica, e le percentuali cambieranno in maniera sostanziale in
quanto, a parità di numeratore muterà sensibilmente il denominatore.
Con il risultato, saranno diversi anche i gradi di aggressività o di
letalità che attribuiamo al virus e, con loro, probabilmente
l’attenzione con cui metteremo in pratica le norme di difesa per noi e
per gli altri.
Insomma, non solo le parole, messe
in una frase, possono diventare bugiarde, ma anche i numeri possono
essere piegati ai propri intendimenti. E se anche i numeri non riescono a
dare più alcuna certezza, allora è semplicissimo passare dall’aggettivo
“scientifico” all’aggettivo “dogmatico” e per molti diventa quasi
naturale dare lo stesso peso a uno scienziato di fama e alla pur
utilissima Wikipedia; ma anche a qualunque strillo appaia su un social.
A far capire, però, la differenza
che corre tra scienza e propaganda basta quasi sempre ricordare che la
scienza, dopo ogni affermazione, di solito ripete «fino a quando non ne
sapremo di più», mentre la propaganda tenta sempre di gabellarci
pensieri personali come realtà granitiche.
Le altre parole: Abbraccio, Ambiente, Anonimo, Anziano, Burocrazia, Confine, Democrazia, Denaro, Dignità, Dubbio, Empatia, Eroismo, Europeismo, Fede, Futuro, Infodemia, Lavoro, Lettura, Libertà, Memoria, Natura, Paesaggio, Quarantena, Regole, Resistenza, Scelta, Scienza, Sogno, Solidarietà, Tempo, Vulnerabilità.
Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/
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