In questo terribile periodo dominato dal
coronavirus sono molte le parole di cui abbiamo scoperto, o riscoperto,
il vero significato. Sembra doveroso fissare questi pensieri in una
specie di piccolo vocabolario per non dimenticarli quando questo orrore
sarà passato.
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In
questi mesi il Covid-19 ha inferto colpi terribili e ha anche causato
forti straniamenti facendo provare sensazioni di vuoto e di silenzio,
imponendo una specie di horror vacui soprattutto per il tempo liberato
più che libero. E il problema per più d’uno non è stato piccolo. A
superarlo più facilmente sono stati di certo coloro che da sempre amano
la lettura e anche i tanti che vi si sono avvicinati rendendosi conto
che proprio la lettura è l’unico modo sicuro per infrangere il monopolio
della tv e per riuscire a evadere dalla propria casa e visitare, senza
temere sanzioni, paesi e mondi che si trovano ben al di là dei 500 metri
di distanza definiti leciti dagli ultimi decreti.
Ciclicamente si sente dice che la
lettura è in crisi, che ormai è diventata l’ancella del cinema, ma non è
così in quanto i film – che pure sono arte di tutto rispetto – non
soltanto impegnano pure gli occhi, ma devono anche riassumere in tempi
accettabili quello che le pagine di un libro possono descrivere con
molti meno limiti e lasciando spazi infiniti alla libertà della
fantasia. E i riassunti, come quelli che una volta erano proposti dalla “Selezione del Reader’s Digest”, allontanano dalla lettura molte più persone di quante ne avvicinino.
A far sentire il bisogno di leggere
c’è stata anche l’obbligata chiusura delle librerie che ha dato origine a
crisi di astinenza e ridato fiato agli ebook che mai sono riusciti a
cancellare quella specie di bonario feticismo legato al frusciare della
carta, alla sua consistenza, al suo profumo. E alla fine ha messo in
chiaro che i libri hanno un fascino insostituibile, me che la lettura è
sempre lettura, a prescindere dallo sfondo sul quale appaiono le
lettere, le parole, le frasi; ha ricordato che un ebook è molto più
comodo da portare in viaggio che un’intera biblioteca, ma che una visita
in libreria è insostituibile perché solo i librai sanno segnalare,
consigliare, indicare.
E, a proposito di consigli, cos’è
meglio leggere in queste giornate? Un’ottima soluzione può essere quella
della rilettura di alcuni classici antichi e moderni, o un omaggio a
Sepulveda, ma può andar bene anche l’aiuto della saggistica, o
l’immergersi nelle atmosfere da thriller che attualmente è il genere che
propone più titoli.
Personalmente propenderei, però, per
indicare libri, o passi di libri che parlino di pandemie. Una specie di
masochismo letterario? Assolutamente no: soltanto la curiosità di
capire come già si siano vissute simili situazioni e come si sia
reagito. Del resto, non è che il panorama di scritti su questo argomento
sia vastissimo. Anzi. E sarebbe da capire meglio come mai gli uomini
amano raccontare le guerre, ma non le catastrofi. Forse perché davanti
alla natura si sentono comunque perdenti e le sconfitte si preferisce
dimenticarle.
Comunque, ecco un breve elenco di possibili letture, partendo, anche se la lascerei perdere, dalla “Bibbia” che nell’“Antico testamento” parla di epidemie nell’“Esodo”, nel “Deuteronomio”, e nei “Paralipomeni”, mentre il “Nuovo testamento” affronta il tema nell’“Apocalisse”. La lascerei perdere perché le “Sacre scritture”
sono del tutto indifferenti alla narrazione della malattia e puntano
tutto sulle cause, solitamente ascritte alla collera divina. Lo stesso
motivo sconsiglia anche la lettura della pestilenza che si diffonde tra i
greci davanti a Troia all’inizio dell’“Iliade”.
Discorso diverso per Tucidide che, ne “La guerra del Peloponneso”,
racconta con scrupolo di storico, la peste che nel V secolo a.C.
colpisce Atene all’inizio del conflitto contro Sparta e che costa la
vita a migliaia di persone tra cui Pericle. Alla stessa epidemia si
ispira Sofocle quando mette in scena l’“Edipo Re”, tragedia ambientata in una Tebe decimata dalla peste. La narrazione di Tucidide è ripresa poi dal latino Lucrezio nel “De rerum natura”
che evidenzia anche il decadimento di valori morali e costumi, con i
parenti che abbandonano i malati per paura del contagio e i defunti
sepolti in fosse comuni, senza funerali dignitosi.
E il declino morale è affrontato, nel “Decameron”,
anche da Giovanni Boccaccio, colpito dalla perdita di dignità della
popolazione, più che dimezzata a Firenze nel 1348. Poi si arriva a “I promessi sposi”,
romanzo in cui Alessandro Manzoni analizza con profondità le cause
della peste del 1630 a Milano, individuandone anche le circostanze che
l’hanno favorita: il tentativo di parte della popolazione di negare
l’esistenza del morbo, l’iniziale inazione delle autorità mediche e
politiche, la loro incapacità di applicare metodi efficaci e l’isteria
delle masse, con la richiesta pressante, per placare Dio, di una
processione che avrà l’unica funzione di allargare ulteriormente il
contagio.
Ne “La peste” di Albert
Camus il morbo invade Orano ed è l’allegoria del male (nella fattispecie
del nazismo) e della guerra: i protagonisti lottano contro l’epidemia,
ma sanno che il microbo rimarrà nascosto da qualche parte, pronto a
riemergere, proprio come il male che non può essere sconfitto totalmente
e non deve essere sottovalutato, né dimenticato. Gabriel García
Márquez, dal canto suo, in “Cent’anni di solitudine”, narra la
storia di un paese immaginario, Macondo, colpito dalla “peste
dell’insonnia”, che uccide la memoria e genera il caos in qualsiasi
forma di comunicazione umana e di epidemie parla anche in "L'amore ai tempi del colera". Jorge Amado, in “Teresa Batista stanca di guerre” racconta del vaiolo nero e Josè Saramago, in “Cecità” descrive un’epidemia che toglie la vista a quasi tutti.
Anche Daniel Defoe ha scritto un
romanzo sulla peste di Londra del 1665 e su pandemie di diverso genere
si basano anche i racconti "La peste scarlatta” di Jack London, “Il velo dipinto”, di William Somerset Maugham, “L’ultimo uomo” di Mary Shelley, e “La maschera della morte rossa”
di Edgar Allan Poe, mentre la fantascienza moderna non lesina racconti e
romanzi a opera di firme del periodo d’oro di questo genere letterario:
oltre al padre nobile Arthur Conan Doyle, ne hanno scritto Michael
Crichton, Frank Herbert, Thomas Page, Isaac Asimov, John Wyndham e tanti
altri.
A leggere questo materiale, si vede
che già quasi tutto, considerazioni puramente scientifiche a parte, era
prevedibile, perché già successo, o raccontato, e si capisce anche perché
in nessuna parte del mondo chi governa raccomanda ai suoi cittadini di
leggere di più.
D’altro canto, anche a livello non
governativo, ricordo che quand’ero giovane, mi sono sentito dire da più
d'uno: «Non leggere! Studia!».
Le altre parole: Abbraccio, Ambiente, Anonimo, Anziano, Burocrazia, Confine, Democrazia, Denaro, Dignità, Dubbio, Empatia, Eroismo, Europeismo, Fede, Futuro, Infodemia, Lavoro, Libertà, Memoria, Natura, Paesaggio, Quarantena, Scelta, Scienza, Sogno, Solidarietà, Tempo, Vulnerabilità.
Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/
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