sabato 11 aprile 2020

Le parole del virus: Quarantena

In questo terribile periodo dominato dal coronavirus sono molte le parole di cui abbiamo scoperto, o riscoperto, il vero significato. Sembra doveroso fissare questi pensieri in una specie di piccolo vocabolario per non dimenticarli quando questo orrore sarà passato.
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La prima volta che abbiamo sentito nominare la parola “quarantena” si era ancora in febbraio e, pensando a coloro che dovevano osservarla per non diffondere il Covid-19 che li aveva già aggrediti, o per essere sicuri di non essere già contagiati, pur senza sintomi, abbiamo pensato: «Poveretti: dover restare chiusi in casa per tutto questo tempo».


Quando il 10 marzo Giuseppe Conte ha annunciato che avrebbe firmato il decreto “Io resto a casa”, con il quale il governo estendeva a tutto il territorio nazionale le misure già valide per la Lombardia e per altre 14 province italiane, il «Poveretti» ha acquistato più peso perché ha riguardato tutti, e, quindi anche noi che abbiamo cominciato a prefigurarci un periodo che ritenevamo abbastanza simile agli arresti domiciliari, ma, comunque, con qualche possibilità di uscire per «comprovate esigenze lavorative, o situazioni di necessità», tra cui motivi di salute, o acquisti di generi necessari per vivere. Per il resto, a togliere ogni tentazione di uscire, oltre alla raccomandazione di usare il più possibile il telelavoro, erano sospesi da subito eventi pubblici e manifestazioni di ogni tipo, chiusi asili, scuole e università, ma anche chiese, biblioteche, bar, ristoranti, palestre e piscine.

E si è cominciato a ricordare che in origine il termine “quarantena” voleva significare proprio quaranta giorni di quello che oggi viene chiamato “distanziamento sociale” per gli esseri umani che si temeva potessero portare su di sé malattie contagiose. Sono venute alla mente immagini di imbarcazioni che issavano la bandiera gialla della quarantena, tenute alla fonda un po’ al largo perché si temeva che qualche persona imbarcata potesse essere affetta da vaiolo o altri flagelli. Ma si è anche realizzato che ormai di quarantena si parlava quasi esclusivamente per gli animali domestici che i padroni volevano far entrare in un paese diverso da quello in cui stavano di solito.

Poi quasi tutti hanno tirato un sospiro di sollievo quando hanno realizzato che il vocabolo “quarantena” ha mantenuto nei secoli lo stesso significato di separazione dagli altri, ma che la sua durata è sensibilmente diminuita in quanto differisce fra le varie malattie, in rapporto al relativo periodo d’incubazione che, comunque, ai canonici quaranta giorni non si arriva praticamente mai.

Ebbene i quaranta giorni noi li toccheremo domenica 19. E poi, di certo li supereremo in quanto almeno fino al 3 maggio di considerare chiusa la quarantena non si parlerà proprio. Magari, con rigorosa attenzione alle misure di sicurezza individuale per chi lavora, riapriranno un bel po’ di fabbriche, e anche alcuni negozi. Ma da casa si continuerà a non poter uscire perché, visto il ritmo non troppo sostenuto del calo dei contagi, si rischierebbe in poche ore di gettare al macero settimane di sacrifici, di veder riempirsi di nuovo le terapie intensive e di continuare a veder morire troppa gente.

È inutile discutere: a mettere la firma sul documento che sancirà la fine di questa prima fase dovrà certamente essere la politica, ma l’unica che potrà stilare il testo del documento che poi sarà vidimato e diffuso da Palazzo Chigi sarà la scienza quando sarà sicura che l’epidemia sarà circoscritta e che, soprattutto si potrà tornare a circolare ben difesi da presidi sanitari individuali certi e non scarsi; fino a quando non sarà trovato quel vaccino che andrà a far riporre il Covid-19 in quel cupo archivio nel quale sono relegati virus e batteri di malattie che in altri tempi hanno fatto strage di esseri umani, ma che poi proprio dagli esseri umani sono state messi in condizione di non nuocere più.

La cosa più curiosa – e forse consolante – è che questo nuovo allungamento di una quarantena che, come numeri di giorni, per la Lombardia e altre 14 provincie è già stata completata e che per tutti gli altri sarà superata tra una settimana non ha destato ondate di protesta, crisi di nervi, o moti di ribellione. Probabilmente il coronavirus è riuscito a farci ritrovare, almeno temporaneamente, quelle scale di valori di cui talvolta ci dimentichiamo e ci ha fatto rimettere nella giusta posizione la salute a la vita nostra e dei nostri simili.

C’è – è vero – la protesta degli imprenditori e di coloro che si rendono conto che, se non riprendono a lavorare diventerà sempre più diffuso l’esaurimento delle risorse economiche necessarie anche soltanto per nutrirsi. Ma in questo caso sembra che ci si avvicini a delle soluzioni che mantengono una specie di quarantena in cui, però, le persone non sono chiuse in casa, ma all’interno dei presidi adatti e sufficienti a non far né entrare, né uscire il virus.

Del resto l’adattabilità dell’uomo ha davvero pochi limiti e non va assolutamente confusa con la rassegnazione che vorrebbe che si accettasse senza ribellioni qualunque cosa capiti, o venga imposta. L’adattabilità, invece, è la voglia di lottare combinata alla determinazione di farlo nella maniera più utile possibile per sé e per gli altri.

Le altre parole: Abbraccio, Ambiente, Anonimo, Burocrazia, Confine, Democrazia, Denaro, Dignità, Empatia, Europeismo, Fede, Futuro, Infodemia, Libertà, Natura, Scelta, Sogno, Solidarietà, Tempo, Vulnerabilità.


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