In questo
terribile periodo dominato dal coronavirus sono molte le parole di cui
abbiamo scoperto, o riscoperto, il vero significato. Sembra doveroso
fissare questi pensieri in una specie di piccolo vocabolario per non
dimenticarli quando questo orrore sarà passato.
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La
prima volta che abbiamo sentito nominare la parola “quarantena” si era
ancora in febbraio e, pensando a coloro che dovevano osservarla per non
diffondere il Covid-19 che li aveva già aggrediti, o per essere sicuri
di non essere già contagiati, pur senza sintomi, abbiamo pensato:
«Poveretti: dover restare chiusi in casa per tutto questo tempo».
Quando il 10 marzo Giuseppe Conte ha
annunciato che avrebbe firmato il decreto “Io resto a casa”, con il
quale il governo estendeva a tutto il territorio nazionale le misure già
valide per la Lombardia e per altre 14 province italiane, il
«Poveretti» ha acquistato più peso perché ha riguardato tutti, e, quindi
anche noi che abbiamo cominciato a prefigurarci un periodo che
ritenevamo abbastanza simile agli arresti domiciliari, ma, comunque, con
qualche possibilità di uscire per «comprovate esigenze lavorative, o
situazioni di necessità», tra cui motivi di salute, o acquisti di generi
necessari per vivere. Per il resto, a togliere ogni tentazione di
uscire, oltre alla raccomandazione di usare il più possibile il
telelavoro, erano sospesi da subito eventi pubblici e manifestazioni di
ogni tipo, chiusi asili, scuole e università, ma anche chiese,
biblioteche, bar, ristoranti, palestre e piscine.
E si è cominciato a ricordare che in
origine il termine “quarantena” voleva significare proprio quaranta
giorni di quello che oggi viene chiamato “distanziamento sociale” per
gli esseri umani che si temeva potessero portare su di sé malattie
contagiose. Sono venute alla mente immagini di imbarcazioni che issavano
la bandiera gialla della quarantena, tenute alla fonda un po’ al largo
perché si temeva che qualche persona imbarcata potesse essere affetta da
vaiolo o altri flagelli. Ma si è anche realizzato che ormai di
quarantena si parlava quasi esclusivamente per gli animali domestici che
i padroni volevano far entrare in un paese diverso da quello in cui
stavano di solito.
Poi quasi tutti hanno tirato un
sospiro di sollievo quando hanno realizzato che il vocabolo “quarantena”
ha mantenuto nei secoli lo stesso significato di separazione dagli
altri, ma che la sua durata è sensibilmente diminuita in quanto
differisce fra le varie malattie, in rapporto al relativo periodo
d’incubazione che, comunque, ai canonici quaranta giorni non si arriva
praticamente mai.
Ebbene i quaranta giorni noi li
toccheremo domenica 19. E poi, di certo li supereremo in quanto almeno
fino al 3 maggio di considerare chiusa la quarantena non si parlerà
proprio. Magari, con rigorosa attenzione alle misure di sicurezza
individuale per chi lavora, riapriranno un bel po’ di fabbriche, e anche
alcuni negozi. Ma da casa si continuerà a non poter uscire perché,
visto il ritmo non troppo sostenuto del calo dei contagi, si
rischierebbe in poche ore di gettare al macero settimane di sacrifici,
di veder riempirsi di nuovo le terapie intensive e di continuare a veder
morire troppa gente.
È inutile discutere: a mettere la
firma sul documento che sancirà la fine di questa prima fase dovrà
certamente essere la politica, ma l’unica che potrà stilare il testo del
documento che poi sarà vidimato e diffuso da Palazzo Chigi sarà la
scienza quando sarà sicura che l’epidemia sarà circoscritta e che,
soprattutto si potrà tornare a circolare ben difesi da presidi sanitari
individuali certi e non scarsi; fino a quando non sarà trovato quel
vaccino che andrà a far riporre il Covid-19 in quel cupo archivio nel
quale sono relegati virus e batteri di malattie che in altri tempi hanno
fatto strage di esseri umani, ma che poi proprio dagli esseri umani
sono state messi in condizione di non nuocere più.
La cosa più curiosa – e forse
consolante – è che questo nuovo allungamento di una quarantena che, come
numeri di giorni, per la Lombardia e altre 14 provincie è già stata
completata e che per tutti gli altri sarà superata tra una settimana non
ha destato ondate di protesta, crisi di nervi, o moti di ribellione.
Probabilmente il coronavirus è riuscito a farci ritrovare, almeno
temporaneamente, quelle scale di valori di cui talvolta ci dimentichiamo
e ci ha fatto rimettere nella giusta posizione la salute a la vita
nostra e dei nostri simili.
C’è – è vero – la protesta degli
imprenditori e di coloro che si rendono conto che, se non riprendono a
lavorare diventerà sempre più diffuso l’esaurimento delle risorse
economiche necessarie anche soltanto per nutrirsi. Ma in questo caso
sembra che ci si avvicini a delle soluzioni che mantengono una specie di
quarantena in cui, però, le persone non sono chiuse in casa, ma
all’interno dei presidi adatti e sufficienti a non far né entrare, né
uscire il virus.
Del resto l’adattabilità dell’uomo
ha davvero pochi limiti e non va assolutamente confusa con la
rassegnazione che vorrebbe che si accettasse senza ribellioni qualunque
cosa capiti, o venga imposta. L’adattabilità, invece, è la voglia di
lottare combinata alla determinazione di farlo nella maniera più utile
possibile per sé e per gli altri.
Le altre parole: Abbraccio, Ambiente, Anonimo, Burocrazia, Confine, Democrazia, Denaro, Dignità, Empatia, Europeismo, Fede, Futuro, Infodemia, Libertà, Natura, Scelta, Sogno, Solidarietà, Tempo, Vulnerabilità.
Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/
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