In questo
terribile periodo dominato dal coronavirus sono molte le parole di cui
abbiamo scoperto, o riscoperto, il vero significato. Sembra doveroso
fissare questi pensieri in una specie di piccolo vocabolario per non
dimenticarli quando questo orrore sarà passato.
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Le
previsioni sono disastrose e si prolungano ben oltre la data in cui,
dopo la scoperta, la produzione e l’applicazione del vaccino, sarà
decretata la sconfitta del Govid-19. Il Fondo monetario internazionale,
infatti, ha decretato che si attende per quest’anno un calo del Pil
europeo del 7,1 per cento con un rimbalzo del 4,8 nel 2021, con l’Italia
ancora una volta fanalino di coda con un decremento del 9,1 quest’anno e
una ricrescita sempre del 4,8 il prossimo. Ancora più traumatiche le
previsioni per la disoccupazione da parte dell’Organizzazione mondiale
del lavoro che parla di una perdita di 25 milioni di posti che si
aggiungerebbero ai 188 milioni di disoccupati già esistenti. Per
l’Italia non vengono date cifre assolute, ma si parla di una crescita
dei senza lavoro fino al 17 per cento.
Dato per assodato che la prima
preoccupazione in questo momento rimane quella di salvare vite e di
assicurare un futuro abbastanza prossimo nel quale si potrà agire senza
avere sulla testa la spada di Damocle del coronavirus, resta il fatto
che anche alla crisi del lavoro è necessario dare grande attenzione,
tenendo ben presente che è cominciata molto prima dell’arrivo di una
pandemia che, da parte sua, la sta soltanto aggravando ulteriormente.
Nel trattare la parola “lavoro” non è
possibile dimenticare che l’articolo 1 della nostra Costituzione lo
pone come fondamento della Repubblica, sottintendendo che la sua
funzione non è soltanto quella di produrre beni e di creare le
condizioni economiche perché possano essere distribuiti, ma soprattutto
di dare dignità e autonomia ai cittadini. Quindi, se il reddito di
cittadinanza, o di catastrofe, è oggi assolutamente necessario per
venire incontro alle più elementari necessità di sopravvivenza per
tantissime persone, è altrettanto incontrovertibile che sarà necessario
tentare di cambiare l’intero mondo del lavoro perché altrimenti la
platea di coloro che potranno davvero sentirsi autonomi nei pensieri e
nelle scelte calerà vertiginosamente dando sempre più spazio a coloro
che sono dipendenti non dello Stato, ma dallo Stato; con tutte le
conseguenze che questo può comportare.
È un argomento di una complessità
enorme che non può essere risolto con ricette miracolistiche che
agiscano come una bacchetta magica che possa rimettere tutto a posto in
un baleno. Non è successo con la rivoluzione industriale, tra la fine
del XVIII e l’inizio del XIX secolo, in cui le macchine hanno permesso
di cancellare un numero infinito di mestieri e per uscire dalla quale
sono stati necessari decenni e decenni di cambiamenti e di progressi.
Non può succedere neppure con la rivoluzione informatica che ha reso
obsoleto un altro grandissimo numero di occupazioni, ponendo tutta una
serie di interrogativi ai quali non siamo ancora in grado di dare
risposte certe.
Pensiamo, per esempio, al
telelavoro, o all’ancor meno rigido smart working in cui non sono
fissati stabilmente neppure la sede o l’orario di lavoro, ma soltanto
l’obbiettivo che il lavoratore deve raggiungere. Detto così, e senza
ulteriori approfondimenti, da molti, che dimenticano che l'uomo è stato
fin dalla preistoria un animale sociale, questa nuova condizione
lavorativa è indicato come una parte della soluzione. Ma al di là della
necessità di praticarlo il più possibile nei tempi del coronavirus,
proprio per impedire il contagio, fa venire moltissimi dubbi tra i quali
il primo è costituito dal fatto che sposta i posti di lavoro, ma, di
per sé, non ne crea neppure uno nuovo.
Poi l’azienda, pur se indubbiamente
risparmia sulle spese per la sede che può diventare più piccola e meno
attrezzata, corre alcuni rischi. Intanto diventano inevitabilmente più
rare, difficili e meno comunicative le riunioni nelle quali molto spesso
si trovano direzioni, o soluzioni, che sono fondamentali per il
benessere dell’azienda stessa. E viene necessariamente anche a mancare
quella vicinanza continua che può anche essere fastidiosa, ma spesso è
elemento fondamentale per creare quello “spirito di squadra” che
talvolta fa oltrepassare difficoltà altrimenti non superabili.
E, dal punto di vista del lavoratore
– che nelle pubblicità che decantano il telelavoro appaiono sempre
sorridenti e felici – la drastica diminuzione di spostamenti e il
possibile calo di stress, riescono a controbilanciare il piacere di
sentirsi, appunto, parte di una squadra che mira verso un medesimo
obbiettivo? Ma, soprattutto, proprio in un momento in cui i più recenti
contratti di lavoro sembrano servire a tutto meno che a difendere i
lavoratori, la polverizzazione e la dispersione del corpo aziendale
inevitabilmente finirà per rendere ancora più difficile non soltanto
l’attività sindacale, ma addirittura il sorgere di una coscienza che
metta in luce le necessità comuni di tutti coloro che lavorano e
sottolinei l’opportunità di collaborare per soddisfarle. E non soltanto a
livello economico, ma principalmente di tutele e di sicurezze.
Insomma, uscire da questa
contingenza negativa sarà molto faticoso, non soltanto perché oltre alla
parte produttiva è in crisi anche quella distributiva, ma anche in
quanto non basterà riaprire fabbriche e negozi, ma bisognerà escogitare
nuovi sistemi che interpretino nella maniera migliore le nuove
situazioni che inevitabilmente si creano con innovazioni alle quali
troppo spesso non si fa troppo caso, sperando che l’inerzia di certe
situazioni ormai stabilizzate riesca a superare indenne i nuovi
ostacoli.
Ma non succede mai. Anche perché
quasi sempre si punta a far adattare le esigenze degli uomini a quelle
delle tecnologie, mentre dovrebbe succedere esattamente il contrario.
Le altre parole: Abbraccio, Ambiente, Anonimo, Burocrazia, Confine, Democrazia, Denaro, Dignità, Dubbio, Empatia, Eroismo, Europeismo, Fede, Futuro, Infodemia, Libertà, Memoria, Natura, Paesaggio, Quarantena, Scelta, Sogno, Solidarietà, Tempo, Vulnerabilità.
Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/
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