In questo
terribile periodo dominato dal coronavirus sono molte le parole di cui
abbiamo scoperto, o riscoperto, il vero significato. Sembra doveroso
fissare questi pensieri in una specie di piccolo vocabolario per non
dimenticarli quando questo orrore sarà passato.
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Come
abbiamo già visto, non sono poche le parole che, a seconda del contesto
in cui sono inserite, acquistano significati diversi, se non
addirittura divergenti. “Zelo”, per esempio, può avere una valenza
positiva quando lo si usa per riferirsi a un «fervido, operoso impegno
che si spiega e si dimostra in un’attività, o per la realizzazione di un
fine». Ma, più fedelmente alla sua radice etimologica che affonda nel
greco antico in cui “zélos” significa “spirito di emulazione”, ha anche
una connotazione negativa, o quantomeno limitativa, visto che va a
indicare «chi si impegna per pura ambizione, o tornaconto personale, o
uscendo indebitamente dal limite delle proprie mansioni e competenze,
intromettendosi in questioni e faccende che non lo riguardano».
Nell’epoca del Covid-19 lo zelo è
apparso in tutte e due le sue forme; e con rimarchevole forza in
entrambe le varianti di significato.
Nel primo senso, quello decisamente
positivo, lo zelo ha certamente animato in maniera ammirevole medici,
infermieri, volontari e tutti coloro che si sono dati da fare per
limitare in qualche modo i danni la prima fase della pandemia, quella
che, senza la loro opera, avrebbe potuto tramutarsi in un’ecatombe
ancora peggiore di quello che comunque è stata.
Nella seconda eventualità, quella
negativa, c’è il sospetto molto forte che quel tipo di zelo abbia
animato e stia spingendo, soprattutto a livello politico, in una specie
di corsa a chi riesce ad apparire più bravo, una corsa resa possibile
anche da un assurdo accavallarsi di leggi, decreti, regolamenti e
attribuzioni che danno vita a istruzioni spesso divergenti, nascendo dai
conflitti di competenze tra il governo centrale e le giunte regionali, a
dimostrazione che il decentramento è cosa buona e giusta per molti
aspetti della vita delle amministrazioni locali, ma che, in certi casi
non si dovrebbe mai prescindere da un’unitarietà decisionale che, se
manca, rischia di mettere a rischio la vita stessa dei cittadini.
Il caso del coronavirus e
dell’inizio della cosiddetta “Fase 2” è addirittura emblematico. Sono
settimane che si sente discutere su come deve avvenire questo delicato
passaggio dalla chiusura praticamente totale dei rapporti interpersonali
a una qualche liberalizzazione che preveda anche la graduale riapertura
di altre realtà produttive e distributive al di là di quelle definite
di prima necessità che non hanno mai chiuso.
Sono settimane che si sentono gli
scienziati predicare prudenza perché se il coronavirus ha rallentato il
ritmo di contagio non è perché si sia indebolito nella sua virulenza, o
per la scoperta di qualche farmaco miracoloso, ma soltanto in quanto il
cosiddetto “distanziamento sociale” ha dato i frutti sperati e, cioè ha
reso molto più difficile il passaggio del Covid-19 da una persona a
un’altra. Se tutto questo cessasse, visto anche l’altissimo numero di
portatori asintomatici, si rischierebbe una recrudescenza con risultati
forse addirittura più drammatici della prima ondata dell’epidemia.
Sono settimane che si sentono gli
industriali agitare il reale rischio che un’ulteriore inattività forzata
rischi di mettere definitivamente a terra molte più aziende, provochi
un numero dilagante di disoccupazioni e finisca per rendere ancora più
disastrosa la situazione del bilancio dello Stato, cosa che richiederà
nuovi, pesanti sacrifici.
Sono settimane che si assiste a
dibattiti infiammati tra chi pensa di più alla prudenza necessaria per
non perdere altre vite umane e chi, invece, dà la precedenza alle
motivazioni economiche. Dibattiti molto spesso aspri che sono proseguiti
anche nel Consiglio dei ministri di ieri in cui coloro che
parteggiavano per prolungare l’attenzione si sono scontrati con quelli
che volevano la liberalizzazione, rappresentati dalla ministra
Bellanova, fedelissima ripetitrice delle parole di Renzi, ai quali non
bastava che la riapertura fosse graduale, ma la volevano quasi tutta e
comunque subito.
Alla fine, dopo lunghissime
discussioni, si è arrivati a un compromesso che fissa al 4 maggio
l’apertura della Fase 2 e che prevede alcuni gradi di progressive
aperture. Tutto definito? Assolutamente no perché Veneto, Friuli Venezia
Giulia e Liguria hanno deciso – ognuna con modalità un po’ diverse tra
loro – di anticipare l’apertura a oggi stesso perché – dicono i
presidenti delle giunte regionali (il termine governatore è altisonante,
ma non esiste da nessuna parte, se non nelle loro autodefinizioni e
sulle pagine dei giornali che raccolgono le loro parole) – le loro
regioni sono le più brave, quelle che meglio hanno saputo contenere il
contagio.
Al di là del fatto che, a parità di
disposizioni fino a ieri in vigore, le differenze in termini di contagi,
ricoveri e decessi vanno ascritte alla maturità del comportamento
sociale dei cittadini e alle differenze di possibilità di operare nei
vari ospedali e da parte dei vari medici, oltre che all’inadeguatezza di
non pochi amministratori di RSA e case di riposo, quanto al futuro,
quali garanzie ci saranno che questo parziale “liberi tutti” non liberi
anche il Covid-19? Anche tenendo conto che, almeno nella nostra regione,
si era sentito ripetere più e più volte che mai si sarebbero emanate
disposizioni meno severe di quelle previste a livello nazionale.
Poi, si tratterà certamente di una
combinazione, ma vi è capitato, forse, di notare che tutte e tre le
regioni che vogliono seguire una propria strada più veloce per uscire
dall’epoca del virus sono amministrate da maggioranze che sono opposte a
quella che regge il governo del Paese?
Le altre parole: Abbraccio, Ambiente, Anonimo, Anziano, Burocrazia, Confine, Democrazia, Denaro, Dignità, Dubbio, Empatia, Eroismo, Europeismo, Fede, Futuro, Indignarsi, Infodemia, Lavoro, Lettura, Libertà, Linguaggio, Memoria, Natura, Opinione, Paesaggio, Paura, Quarantena, Regole, Resistenza, Scelta, Scienza, Sogno, Solidarietà, Tempo, Uguaglianza, Vulnerabilità.
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