In questo
terribile periodo dominato dal coronavirus sono molte le parole di cui
abbiamo scoperto, o riscoperto, il vero significato. Sembra doveroso
fissare questi pensieri in una specie di piccolo vocabolario per non
dimenticarli quando questo orrore sarà passato.
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La
pandemia causata dal Covid-19 ha riportato alla superficie del
dibattito sociale e politico parole delle quali si pensava fossero
perdute quasi anche le tracce: “pubblico”, per esempio, con il suo
naturale opposto, “privato”. Il riprendere del dibattito vero e proprio è
inevitabilmente rinviato a quando l’emergenza potrà essere dichiarata
conclusa, ma sicuramente non potrà essere nuovamente sepolto sotto
montagne di sabbia.
Ovviamente in questa circostanza
questi due termini si sono tirati in ballo riferendosi alla sanità e a
rinfocolare polemiche che con gli anni si erano attenuate, ma mai
spente, è stato proprio il coronavirus che ha messo in luce
l’inadeguatezza nazionale dei posti letto di terapia intensiva che ha
talora costretto gli operatori sanitari a scelte strazianti. Ebbene, ci
si è resi conto che, per quanto riguarda la terapia intensiva, il
contributo del settore privato è stato trascurabile, se non addirittura
nullo, e che questa carenza è perfettamente logica, visto che la terapia
intensiva non può assicurare quegli introiti che in un settore privato
sono necessari non soltanto per portare i bilanci in pareggio, ma anche
per spremerne guadagni da distribuire tra gli investitori che altrimenti
si allontanerebbero dal settore.
Vale la pena di sunteggiare
brevemente i passaggi che hanno visto nascere la Sanità pubblica. Nel
1958 sorge il Ministero della sanità, scorporando l’Alto commissariato
per l’igiene e la salute pubblica dal Ministero dell’interno. Nel 1968 è
riformato il sistema degli ospedali, prima gestiti da varie
associazioni, trasformandoli in enti pubblici e disciplinandone
organizzazione, funzioni e finanziamenti. Nel 1974 una legge estingue i
debiti accumulati dagli enti mutualistici nei confronti di quelli
ospedalieri, e trasferisce l’assistenza ospedaliera alle regioni. Nel
1978 è soppresso il sistema mutualistico e nasce, con decorrenza 1º
luglio 1980, il Servizio sanitario nazionale il cui principio guida è,
nelle intenzioni dei suoi ideatori, quello della sanità come bene
universalmente fruibile. E già del 2 luglio 1980 una parte della società
comincia l’opera di progressivo indebolimento del settore pubblico per
rafforzare quello privato riuscendo abbastanza recentemente a creare le
“aziende” sanitarie. E, come sempre, il nome non è soltanto apparenza,
ma sostanza.
Ora da più parti si leva la
richiesta di restituire al settore pubblico della Sanità le prerogative
per le quali è nato. Ed è curioso che, mentre da noi il dibattito resta
sospeso, all’estero l’Italia sia citata come esempio da studiare e da
seguire nei principi fondamentali per una sanità che curi con identico
riguardo ogni cittadino. In tal senso in questi mesi si sono sentiti
richiami del genere nel Regno Unito, in Francia, negli Stati Uniti, in
qualche altro Paese europeo, ma forse il più esplicito è il discorso
pronunciato da Pablo Iglesias, leader di “Podemos”, alle “Cortes” spagnole.
Tocca molti argomenti politici e vi suggerisco di ascoltarlo integralmente (dura 3’37”) collegandovi a https://www.facebook.com/massimilianococcia/videos/10223505283889033/.
Ma nei passaggi legati a questo tema sostiene che ci sono «consensi
trasversali» sulla «difesa della sanità pubblica perché quando qualcuno
ha bisogno di cure viene curato senza che nessuno gli chieda per quale
partito abbia votato», ma anche «sul fatto che bisogna smetterla con i
tagli e con la situazione di precarietà che colpisce il personale
sanitario di questo Paese». Poi mette in luce come «le delocalizzazioni
abbiano reso vulnerabile l’industria della nostra patria lasciandoci
alla mercé dei mercati internazionali, perché non potevamo produrre né
le mascherine, né i respiratori necessari al nostro Paese». E rileva che
la Costituzione democratica spagnola del 1978 «si ispira in gran parte
alla Costituzione italiana del 1948».
Nel suo “Contratto sociale”
Jean-Jacques Rousseau afferma che «il patto fondamentale della società
mette un’uguaglianza mo¬rale e legale al posto di ciò che la natura
aveva potuto stabili¬re come ineguaglianza fisica fra gli uomini».
Quindi la funzione di una società giusta è quella di stabilire
un’ugua¬glianza artificiale e, a questo proposito, John Stuart Mill fa
un ulteriore passo in avanti sostenendo che non ci si può accontentare
della semplice uguaglianza davanti alla legge, ma bisogna perseguirla in
ogni momento che consacri come legittime alcune disuguaglianze. Ed è
difficile sostenere che la sanità privata non rappresenti una di queste
disparità.
Voglio portarvi un solo esempio:
quando un luminare lascia la sanità pubblica per passare al settore
privato lo fa dichiaratamente per trovare migliori attrezzature e
organizzazione, o minore burocrazia. Probabilmente lo fa anche per
incrementare i propri guadagni, ma è del tutto legittimo, visto che il
Giuramento di Ippocrate impone di salvare vite, non di rinunciare a
guadagnare più denaro. L’importante, però, non è valutare il
comportamento dei medici, ma le condizioni dei pazienti. Ebbene, mentre
nel pubblico un qualunque malato aveva la possibilità di essere
visitato, oppure operato, da quel luminare, con il suo passaggio al
settore privato nel suo studio, o nella sua sala operatoria potranno
entrare soltanto coloro che hanno le disponibilità economiche per
poterselo permettere. È la materializzazione palmare di una delle
diseguaglianze più odiose, quella che cancella in parte il diritto alla
salute.
Ogni crisi, contro nemici visibili, o
invisibili, crea solidarietà ed eroi. Il senso che accomuna le persone
che, temendo il virus, ridanno l’importanza che merita all’intero
settore della Sanità pubblica e la credibilità che hanno coloro che si
sono sacrificati per salvare tutti gli altri possono essere due
catalizzatori fondamentali per reindirizzare nella direzione
dell’uguaglianza sociale la barra di uno Stato che non può non volere
difendere al massimo grado i propri cittadini, perché, se non lo fa,
significa che non gli interessa neppure difendere se stesso.
Le altre parole: Abbraccio, Ambiente, Anonimo, Ansia, Anziano, Burocrazia, Competenza, Confine, Coraggio, Cultura, Democrazia, Denaro, Dignità, Diritti, Dubbio, Empatia, Eroismo, Europeismo, Fede, Futuro, Guerra, Indignarsi, Infodemia, Lavoro, Lettura, Libertà, Linguaggio, Memoria, Natura, Opinione, Paesaggio, Paura, Quarantena, Regole, Resistenza, Responsabilità, Scelta, Scienza, Scuola, Sogno, Solidarietà, Tempo, Uguaglianza, Vulnerabilità, Zelo.
Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/
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