In questo
terribile periodo dominato dal coronavirus sono molte le parole di cui
abbiamo scoperto, o riscoperto, il vero significato. Sembra doveroso
fissare questi pensieri in una specie di piccolo vocabolario per non
dimenticarli quando questo orrore sarà passato.
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Almeno
in parte lo si sarebbe potuto immaginare, ma le immagini di quella
folla senza mascherine e con tanti contatti fisici all’ora
dell’aperitivo sui Navigli di Milano ha sorpreso anche il meno ottimista
sulla durata del nuovo senso di responsabilità degli italiani nel
difendere se stessi e tutta la comunità dal Covid-19. Poi il sindaco
Giuseppe Sala ha minacciato la chiusura della zona, l’infettivologo
Massimo Galli ha dichiarato di temere che questa breccia, se non
bloccata subito, possa far crollare la diga. E tutti si sono domandati
cosa possa aver provocato questa nuova epidemia di incoscienza
collettiva.
Insomma, sembra evidente che tra
le tante conseguenze imposte dalla lotta al coronavirus, una delle più
importanti, ma anche delle più sottovalutate, sia stata quella
solitudine che, a ben guardare, era già stata anticipata inconsciamente
nella scelta dell’orrenda locuzione “distanziamento sociale” al posto di
“distanziamento fisico”, quasi a sottolineare che il metro abbondante
di distanza richiesto tra le persone non era soltanto funzionale a
bloccare il passaggio del virus da un corpo all’altro, ma lasciava anche
presupporre una qualche ulteriore incomunicabilità tra le persone: in
definitiva, una scomposizione della società. Quasi un modo per fissare
che dal concetto di solitudine si sarebbe passati velocemente alla
tangibile realtà di tante solitudini.
Se così è stato, appare quasi
inevitabile la reazione di tanti milanesi: stupida, insensatamente
temeraria, ma del tutto istintiva, come del tutto istintiva – e, quindi,
non ragionata – è la ricerca di un abbraccio da parte di una persona
cara alla fine di un lungo viaggio, o nel momento in cui una situazione
di pericolo appare superata. Il problema è che il “viaggio” è ancora ben
lontano dalla conclusione e che il pericolo è sempre incombente in
maniera terribile.
Del resto il concetto di
solitudine ha subito nei secoli vari cambiamenti nel grado di
accettazione, o, addirittura, di desiderabilità, ma ha sempre portato
con sé un vago sentore di tristezza, noia, sacrifici, sospetto e
diffidenza. Ha avuto un momento in cui la solitudine è diventata di
moda, pur sempre sotto una cappa di malinconia, in una certa fase del
romanticismo che la vedeva come una possibile esperienza capace di
trasformare chi la praticava, sia sul piano spirituale, sia su quello
emotivo. Oggi generalmente si pensa alla solitudine come a una
sensazione di avvilimento, quasi come se si fosse scollegati dal mondo:
“distanziamento sociale”, appunto.
È, insomma, qualcosa da evitare
anche perché, come molte altre parole, anche la solitudine ha allargato
il ventaglio dei suoi significati. Ha aggiunto, infatti, al concetto di
isolamento fisico, anche quello del doloroso sradicamento da un contesto
di affetti e amicizie, di un’emozione che rischia concretamente di
portare verso lo scoramento, o, ancor peggio, alla depressione. Ed è
stato proprio in questo senso che si è cominciato a dire di “sentirsi
soli” anche mentre si è circondati da tante altre persone, magari in
un’affollatissima via, o piazza, di una città. Magari, anche se
l’apparenza è del tutto diversa, proprio come sui Navigli di Milano.
Un’altra considerazione che si può
trarre da questa “corsa al contatto umano” è che evidentemente i social
si sono confermati un ben misero surrogato digitale dell’interazione
diretta tra le persone ed è apparso tristemente inadeguato definire
“amici” coloro con i quali si intrattengono fugaci rapporti telematici.
Sono, ovviamente, soprattutto i giovani a praticare i social e sono
stati soprattutto loro a precipitarsi nelle strade alla ricerca di quel
calore umano senza “distanziamenti” che prima del coronavirus comunque
avvertivano, anche senza cercarlo, durante le attività della giornata e
di cui, in questi ultimi mesi, hanno avvertito acutamente una mancanza
che ha messo a nudo i limiti delle cosiddette frequentazioni a distanza
che non permettono, però, di percepire le sfumature si stato d’animo
negli occhi, nel gesticolare, nella postura, nel protendere una mano,
nel lasciarsi andare a un gesto di affetto.
Identificare la parola “amico”
usata nei social con l’identico vocabolo adoperato nella vita reale,
sarebbe un po’ come dire che elemosina e carità siano la stessa cosa,
mentre, invece, aiutare con qualche soldo chi ne ha bisogno è cosa
degnissima, ma estremamente meno ricca della carità, visto che in latino
“caritas”, da cui deriva, indica l’amore che dovrebbe unire ogni essere
umano al proprio prossimo. E, a proposito di prossimo, visto quello che
è accaduto, andrebbe anche sottolineato che la prossimità è una
vicinanza che non è da misurare in centimetri, ma in contatto umano.
In momenti in cui domina quella
che Papa Francesco ha definito “la cultura dello scarto”, quello che è
accaduto sui Navigli può essere, dopo aver stigmatizzato la sua assurda
rischiosità, molto utile per riportare in primo piano alcune cose di
grande importanza tra cui, per esempio, quella che è chiamata
“confidenza” nel suo significato primario di fidarsi reciprocamente
l’uno dell’altro, una realtà della quale noi percepiamo quasi sempre
soltanto uno dei suoi due aspetti fondamentali, quello più faticoso e
rischioso del dare fiducia agli altri, del mettersi nelle loro mani.
Mentre, invece, ne trascuriamo l’altro aspetto: quello del fatto che
anche gli altri si fidano di noi e che, quindi, ci sentiamo compresi, e,
dunque, ci sentiamo più autenticamente noi stessi. È una realtà
magnificamente descritta dal filosofo e teologo Raimon Panikkar: «Nella
confidenza – ha scritto – l’uomo incontra se stesso; forse si scopre per
la prima volta. I nostri occhi hanno bisogno di riflettersi in un’altra
persona forse anche per poter essere. Sulla Terra non esiste “logos”
(parola) senza “dia-logos” (colloquio)»
Se riuscissimo a capire e ad
assimilare che questa realtà può esistere anche a distanza fisica, ma
non sociale, e anche tra diversi, ma non pregiudizialmente opposti,
molti dei problemi della nostra società svanirebbero come neve al sole.
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