domenica 10 maggio 2020

Le parole del virus: Solitudine

In questo terribile periodo dominato dal coronavirus sono molte le parole di cui abbiamo scoperto, o riscoperto, il vero significato. Sembra doveroso fissare questi pensieri in una specie di piccolo vocabolario per non dimenticarli quando questo orrore sarà passato.
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Almeno in parte lo si sarebbe potuto immaginare, ma le immagini di quella folla senza mascherine e con tanti contatti fisici all’ora dell’aperitivo sui Navigli di Milano ha sorpreso anche il meno ottimista sulla durata del nuovo senso di responsabilità degli italiani nel difendere se stessi e tutta la comunità dal Covid-19. Poi il sindaco Giuseppe Sala ha minacciato la chiusura della zona, l’infettivologo Massimo Galli ha dichiarato di temere che questa breccia, se non bloccata subito, possa far crollare la diga. E tutti si sono domandati cosa possa aver provocato questa nuova epidemia di incoscienza collettiva.

Insomma, sembra evidente che tra le tante conseguenze imposte dalla lotta al coronavirus, una delle più importanti, ma anche delle più sottovalutate, sia stata quella solitudine che, a ben guardare, era già stata anticipata inconsciamente nella scelta dell’orrenda locuzione “distanziamento sociale” al posto di “distanziamento fisico”, quasi a sottolineare che il metro abbondante di distanza richiesto tra le persone non era soltanto funzionale a bloccare il passaggio del virus da un corpo all’altro, ma lasciava anche presupporre una qualche ulteriore incomunicabilità tra le persone: in definitiva, una scomposizione della società. Quasi un modo per fissare che dal concetto di solitudine si sarebbe passati velocemente alla tangibile realtà di tante solitudini.

Se così è stato, appare quasi inevitabile la reazione di tanti milanesi: stupida, insensatamente temeraria, ma del tutto istintiva, come del tutto istintiva – e, quindi, non ragionata – è la ricerca di un abbraccio da parte di una persona cara alla fine di un lungo viaggio, o nel momento in cui una situazione di pericolo appare superata. Il problema è che il “viaggio” è ancora ben lontano dalla conclusione e che il pericolo è sempre incombente in maniera terribile.

Del resto il concetto di solitudine ha subito nei secoli vari cambiamenti nel grado di accettazione, o, addirittura, di desiderabilità, ma ha sempre portato con sé un vago sentore di tristezza, noia, sacrifici, sospetto e diffidenza. Ha avuto un momento in cui la solitudine è diventata di moda, pur sempre sotto una cappa di malinconia, in una certa fase del romanticismo che la vedeva come una possibile esperienza capace di trasformare chi la praticava, sia sul piano spirituale, sia su quello emotivo. Oggi generalmente si pensa alla solitudine come a una sensazione di avvilimento, quasi come se si fosse scollegati dal mondo: “distanziamento sociale”, appunto.

È, insomma, qualcosa da evitare anche perché, come molte altre parole, anche la solitudine ha allargato il ventaglio dei suoi significati. Ha aggiunto, infatti, al concetto di isolamento fisico, anche quello del doloroso sradicamento da un contesto di affetti e amicizie, di un’emozione che rischia concretamente di portare verso lo scoramento, o, ancor peggio, alla depressione. Ed è stato proprio in questo senso che si è cominciato a dire di “sentirsi soli” anche mentre si è circondati da tante altre persone, magari in un’affollatissima via, o piazza, di una città. Magari, anche se l’apparenza è del tutto diversa, proprio come sui Navigli di Milano.

Un’altra considerazione che si può trarre da questa “corsa al contatto umano” è che evidentemente i social si sono confermati un ben misero surrogato digitale dell’interazione diretta tra le persone ed è apparso tristemente inadeguato definire “amici” coloro con i quali si intrattengono fugaci rapporti telematici. Sono, ovviamente, soprattutto i giovani a praticare i social e sono stati soprattutto loro a precipitarsi nelle strade alla ricerca di quel calore umano senza “distanziamenti” che prima del coronavirus comunque avvertivano, anche senza cercarlo, durante le attività della giornata e di cui, in questi ultimi mesi, hanno avvertito acutamente una mancanza che ha messo a nudo i limiti delle cosiddette frequentazioni a distanza che non permettono, però, di percepire le sfumature si stato d’animo negli occhi, nel gesticolare, nella postura, nel protendere una mano, nel lasciarsi andare a un gesto di affetto.

Identificare la parola “amico” usata nei social con l’identico vocabolo adoperato nella vita reale, sarebbe un po’ come dire che elemosina e carità siano la stessa cosa, mentre, invece, aiutare con qualche soldo chi ne ha bisogno è cosa degnissima, ma estremamente meno ricca della carità, visto che in latino “caritas”, da cui deriva, indica l’amore che dovrebbe unire ogni essere umano al proprio prossimo. E, a proposito di prossimo, visto quello che è accaduto, andrebbe anche sottolineato che la prossimità è una vicinanza che non è da misurare in centimetri, ma in contatto umano.

In momenti in cui domina quella che Papa Francesco ha definito “la cultura dello scarto”, quello che è accaduto sui Navigli può essere, dopo aver stigmatizzato la sua assurda rischiosità, molto utile per riportare in primo piano alcune cose di grande importanza tra cui, per esempio, quella che è chiamata “confidenza” nel suo significato primario di fidarsi reciprocamente l’uno dell’altro, una realtà della quale noi percepiamo quasi sempre soltanto uno dei suoi due aspetti fondamentali, quello più faticoso e rischioso del dare fiducia agli altri, del mettersi nelle loro mani. Mentre, invece, ne trascuriamo l’altro aspetto: quello del fatto che anche gli altri si fidano di noi e che, quindi, ci sentiamo compresi, e, dunque, ci sentiamo più autenticamente noi stessi. È una realtà magnificamente descritta dal filosofo e teologo Raimon Panikkar: «Nella confidenza – ha scritto – l’uomo incontra se stesso; forse si scopre per la prima volta. I nostri occhi hanno bisogno di riflettersi in un’altra persona forse anche per poter essere. Sulla Terra non esiste “logos” (parola) senza “dia-logos” (colloquio)»

Se riuscissimo a capire e ad assimilare che questa realtà può esistere anche a distanza fisica, ma non sociale, e anche tra diversi, ma non pregiudizialmente opposti, molti dei problemi della nostra società svanirebbero come neve al sole.

Le altre parole: Abbraccio, Ambiente, Anonimo, Ansia, Anziano, Burocrazia, Competenza, Confine, Coraggio, Cultura, Democrazia, Denaro, Dignità, Diritti, Dubbio, Economia, Empatia, Eroismo, Europeismo, Fede, Futuro, Guerra, Indignarsi, Infodemia, Lavoro, Lettura, Libertà, Linguaggio, Memoria, Natura, Opinione, Paesaggio, Paura, Pubblico, Quarantena, Regole, Resistenza, Responsabilità, Rispetto, Scelta, Scienza, Scuola, Sport, Sogno, Solidarietà, Tempo, Uguaglianza, Vulnerabilità, Zelo.


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