sabato 23 maggio 2020

Curiosità doverose

Come spesso succede, ancora una volta ai buoni propositi generali non corrispondono altrettanto valide applicazioni pratiche. Lo si è visto e lo si sta vedendo anche con il Covid-19, visto che, dopo aver supplicato la scienza, alla quale si sono tagliati per anni i fondi, di intervenire velocemente e con efficacia per difendere la comunità dagli effetti disastrosi del coronavirus, non appena le cose sono andate un po’ meglio, gli scienziati sono stati fatti rientrare nel recinto nel quale molto spesso la politica li rinchiude: quello dei rompiscatole.

Il problema non è quello che Renzi ha tentato furbescamente di condensare nella frase «La scienza non può sostituirsi alla politica», che afferma una realtà incontestabile. Il vero problema è che la politica, quando parla ai cittadini che dopo dovranno esprimere un proprio parere con il voto, evita di rendere palesi i veri termini della questione che, brutalmente, possono essere spesso condensati così: «Quante vittime siamo disposti ad accettare in cambio di questa novità che può portare maggiore ricchezza e/o maggiore comodità?». In definitiva: quanto siamo disposti a rinunciare in termini di salute delle persone, o almeno a rischiare, per ottenere qualcosa in cambio?

Messe in questi termini e allargando lo sguardo a molti altri argomenti, tutte le questioni avrebbero un sapore diverso e la decisione potrebbe essere presa almeno con consapevolezza ed equità sociale. Oppure, potrebbe essere rallentata mentre la scienza viene sollecitata a escogitare delle soluzioni che rendano più innocuo il progresso; cosa che, tra l’altro, avviene quasi sempre, ma con tempi più lunghi e non sempre legati alle necessità della gente.

Prendiamo, per esempio la tecnologia del 5G, che sarebbe la quinta generazione dei sistemi per la telefonia mobile che assicura il contemporaneo utilizzo delle infinite possibilità del proprio telefonino a un milione di persone per chilometro quadrato, cioè a una persona per metro quadrato e che prevede che l’importo complessivo per l’assegnazione delle frequenze relative superi i sei miliardi e mezzo di euro. Intorno a questa nuova tecnologia si sono viste prese di posizioni diversissime, che vanno dalla pretesa di assoluta inoffensività a quella di una pericolosità estremamente spinta, con mille sfumature diverse tra i due poli opposti. Curioso è anche il fatto che, politicamente, spesso le posizioni nazionali dei vari raggruppamenti non corrispondono a quelle locali.

Il problema maggiore è, come quasi sempre succede da qualche decennio a questa parte, che sempre più spesso la politica viene portata avanti su scelte di posizione più che su scelte di convinzione. Troppo spesso, per essere chiari, alcune prese di posizione sono dichiarate soprattutto perché sono la reazione quasi automatica di opposizione alle decisioni degli avversari del momento. E questo purtroppo accade anche davanti a problemi che non possono non restare nebulosi se non sono affrontati con le regole di una scienza che cerca dati di fatto e non quelle convenienze che, invece, sono di totale competenza della politica, ma soltanto quando si hanno in mano tutti gli elementi per decidere se di vera convenienza si tratta.

Torniamo al 5G sul quale troppo poco si è discusso a livello davvero scientifico. Si è parlato molto di economia e di vantaggi vari in una società che è convinta di migliorare se stessa soltanto se può aumentare quantità e velocità. Ci si è opposti troppo spesso soltanto ventilando complottismi che in tutti i campi hanno sempre il medesimo valore molto vicino allo zero. Dal punto di vista scientifico, invece, poco si è fatto, o, meglio, si sono effettuati controlli su una tecnologia nuovissima con strumenti e metodologie vecchie.

Personalmente non ho la minima competenza per stabilire se i rischi per la salute ci sono, se sono aumentati, o se tutto può essere accantonato con grande tranquillità, ma sono convinto che una democrazia matura dovrebbe sfruttare tutti gli strumenti a propria disposizione: la scienza soprattutto.

Pongo, per esempio una serie di domande le cui risposte dovrebbero essere rese note a tutti. È lecito definire la pericolosità di onde elettromagnetiche calcolando soltanto la quantità di quelle che arrivano in un’area predefinita? Se da un’antenna parte sempre una certa quantità di onde, quante antenne incidono sulla medesima area? Quanta differenza c’è tra l’emissione di un’antenna 5G e una di generazione precedente? È poi lecito trascurare l’attività di coloro che queste onde ricevono e che spesso, poi, con la loro attività, creano alte onde che rimandano verso le antenne per farle arrivare ai destinatari voluti, Se l’affollamento in un determinato luogo è fortissimo e se le attività di risposta sono altrettanto forti, ci sono conseguenze per le emissioni dei nostri telefonini? E, se non ci sono, perché per un certo periodo abbiamo sentito raccomandare di usare gli auricolari per non tenere a lungo il telefonino troppo vicino al cervello? E potrei proseguire a lungo con le mie curiosità.

Ecco: la politica dovrebbe essere sempre curiosa, come sempre desiderosi di conoscenza dovrebbero essere gli esseri umani. Se questo non accade, vuol dire che la politica ha perduto quello che dovrebbe essere un suo prerequisito fondamentale, oppure che preferisce lasciare nel vago alcune cose per poter prendere decisioni senza doverle spiegare troppo approfonditamente a chi poi sarà chiamato a votare.

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