In questo
terribile periodo dominato dal coronavirus sono molte le parole di cui
abbiamo scoperto, o riscoperto, il vero significato. Sembra doveroso
fissare questi pensieri in una specie di piccolo vocabolario per non
dimenticarli quando questo orrore sarà passato.
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Letteratura
e filmografia non lasciavano dubbi: la paura e il terrore bloccano
l’intelligenza e inducono a prendere decisioni sbagliate e spesso di
grande pericolo, mentre il primo rasserenarsi della situazione permette
di ritrovare la lucidità necessaria per uscire definitivamente dalle
peste. Il Covid-19 ci ha dimostrato che talora, per alcuni, accade
esattamente il contrario.
Pensateci: quando è arrivata la
pandemia il panico è stato forte e diffuso, eppure la maggior parte
della gente non ha perso la testa e si è rivolta, per trovare le
soluzioni, a chi ne aveva la competenza scientifica. Ora, mentre grazie
ai loro suggerimenti, la situazione si sta lentamente alleggerendo,
anche se si è ancora ben lontani dal poter scrivere la parola “fine”,
sembra che alcuni – e non pochi – stiano entrando in confusione visto
che sdegnosamente rifiutano le opinioni di coloro che finora hanno
tenuto a galla una barca che è ancora sballottata dalle onde di una
tempesta. Una certa tranquillità, insomma, ha messo da parte la
competenza e l’ha fatta sostituire con l’arroganza.
Prendete Matteo Renzi. Il 22
febbraio afferma: «Penso che sia molto importante che la politica
ascolti la scienza». E sentitelo il 28 aprile: «Questo Dpcm è un errore
politico, economico e costituzionale. Politico perché delega al comitato
tecnico scientifico una scelta politica: contemperare i rischi». A
prima vista, nulla da eccepire: è giusto che gli esperti presentino le
proprie conclusioni e poi siano gli eletti – in altri tempi si sarebbe
potuto dire i delegati dal popolo e non dalle segreterie dei partiti – a
decidere. Ma a guardare meglio qualcosa stride, visto anche che il
comitato scientifico che affianca il governo ha annunciato, e poi
confermato, delle cifre apocalittiche di colpiti dal coronavirus in
maniera tanto grave da dover essere ricoverati in terapia intensiva, se
non si procederà alle riaperture con una gradualità necessaria a
comprendere velocemente se si è imboccata la strada giusta, o se serve
adottare qualche correttivo.
Dall’altra parte Renzi, la destra,
le organizzazioni delle categorie economiche, insistono, invece, per una
riapertura molto più veloce e a spingere in questo senso concorrono,
per ognuno, motivazioni diverse: dalla ricerca di visibilità politica,
all’opposizione fatta a prescindere, alla comprensibile preoccupazione
per una stagnazione economica che colpisce per primi chi i beni di
consumo li produce, chi li commercializza e chi per loro lavora.
Ma, al di là di questo, da una parte
stanno i ragionamenti di scienziati nei quali fino a pochi giorni fa si
era riposta la massima fiducia perché in questa situazione avevano
dimostrato di aver previsto quasi tutto quello che sarebbe successo e
avevano indicato le giuste contromisure. Dall’altra ci sono più
preoccupazioni che previsioni da parte di economisti che nella storia
italiana recente non hanno certamente brillato per la loro capacità di
preveggenza e di cura. Tanto – dicono – se non andrà bene potremo
tornare velocemente indietro.
Per tentare cancellare l’immagine di
competenza conquistata dagli scienziati, in tutto lo schieramento che
vuole una riapertura veloce ci si continua a lamentare perché la scienza
non dà una risposta precisa alla domanda su quale data sarà quella in
cui si potrà riprendere la vita normale. Non passa neppure per la testa
l’eventualità che una risposta precisa non ci sia perché dichiaratamente
non è possibile darla.
Ma se vogliamo abbassarci sullo
stesso piano ponendo domande alle quali non si può dare una risposta
precisa, proviamo a chiedere dopo quante centinaia di morti in più si
deciderà di fare retromarcia? E chiediamo anche se lo sforzo anche
economico di una riapertura troppo avventuristica seguita da una nuova
chiusura non finirebbe per provocare ancora più danni ai portafogli di
imprenditori ed esercenti e al lavoro in genere.
In questa battaglia sulla
riapertura, però, è in gioco non soltanto il destino economico di
milioni di persone e di un Paese che deve trovare il modo di far
coesistere – cosa che non è mai riuscita all’ex Ilva di Taranto – la
salute e la salvezza delle vite umane con le necessità economiche di una
popolazione. Si è ancora davanti al ricatto che impone di mettere a
repentaglio la propria vita in cambio di lavoro; una faccenda orrenda
che ricorda molto da vicino sia i tempi in cui l’Italia mandava al
Belgio minatori, di cui 136 morirono a Marcinelle, per avere in cambio
carbone, sia le tante guerre nelle quali a finire in prima linea non
sono mai coloro che decidono che in prima linea ci si deve andare.
È in gioco proprio il concetto di
competenza, un valore che è stato cancellato da una rincorsa al ribasso
da parte di coloro che proprio nella competenza altrui vedevano un
ostacolo alla carriera propria; un valore che, con fatica, stava
riprendendo il suo posto di preminenza sulla strada delle decisioni da
prendere e che oggi viene nuovamente schernito e messo in un angolo da
coloro che lo vedono soltanto come un ostacolo alle proprie volontà.
Ma non sanno che a fare così si
rischiano sempre disastri? Certamente sì, ma sono sempre convinti che i
disastri travolgeranno gli altri. Mai loro stessi. Se posso dare loro un
consiglio di lettura, segnalerei “La conoscenza e i suoi nemici”, di
Tom Nichols, sottotitolato “L’era dell’incompetenza e i rischi per la
democrazia”.
Le altre parole: Abbraccio, Ambiente, Anonimo, Ansia, Anziano, Burocrazia, Confine, Democrazia, Denaro, Dignità, Diritti, Dubbio, Empatia, Eroismo, Europeismo, Fede, Futuro, Guerra, Indignarsi, Infodemia, Lavoro, Lettura, Libertà, Linguaggio, Memoria, Natura, Opinione, Paesaggio, Paura, Quarantena, Regole, Resistenza, Scelta, Scienza, Scuola, Sogno, Solidarietà, Tempo, Uguaglianza, Vulnerabilità, Zelo.
Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/
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