sabato 2 maggio 2020

Le parole del virus: Competenza

In questo terribile periodo dominato dal coronavirus sono molte le parole di cui abbiamo scoperto, o riscoperto, il vero significato. Sembra doveroso fissare questi pensieri in una specie di piccolo vocabolario per non dimenticarli quando questo orrore sarà passato.
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Letteratura e filmografia non lasciavano dubbi: la paura e il terrore bloccano l’intelligenza e inducono a prendere decisioni sbagliate e spesso di grande pericolo, mentre il primo rasserenarsi della situazione permette di ritrovare la lucidità necessaria per uscire definitivamente dalle peste. Il Covid-19 ci ha dimostrato che talora, per alcuni, accade esattamente il contrario.

Pensateci: quando è arrivata la pandemia il panico è stato forte e diffuso, eppure la maggior parte della gente non ha perso la testa e si è rivolta, per trovare le soluzioni, a chi ne aveva la competenza scientifica. Ora, mentre grazie ai loro suggerimenti, la situazione si sta lentamente alleggerendo, anche se si è ancora ben lontani dal poter scrivere la parola “fine”, sembra che alcuni – e non pochi – stiano entrando in confusione visto che sdegnosamente rifiutano le opinioni di coloro che finora hanno tenuto a galla una barca che è ancora sballottata dalle onde di una tempesta. Una certa tranquillità, insomma, ha messo da parte la competenza e l’ha fatta sostituire con l’arroganza.

Prendete Matteo Renzi. Il 22 febbraio afferma: «Penso che sia molto importante che la politica ascolti la scienza». E sentitelo il 28 aprile: «Questo Dpcm è un errore politico, economico e costituzionale. Politico perché delega al comitato tecnico scientifico una scelta politica: contemperare i rischi». A prima vista, nulla da eccepire: è giusto che gli esperti presentino le proprie conclusioni e poi siano gli eletti – in altri tempi si sarebbe potuto dire i delegati dal popolo e non dalle segreterie dei partiti – a decidere. Ma a guardare meglio qualcosa stride, visto anche che il comitato scientifico che affianca il governo ha annunciato, e poi confermato, delle cifre apocalittiche di colpiti dal coronavirus in maniera tanto grave da dover essere ricoverati in terapia intensiva, se non si procederà alle riaperture con una gradualità necessaria a comprendere velocemente se si è imboccata la strada giusta, o se serve adottare qualche correttivo.

Dall’altra parte Renzi, la destra, le organizzazioni delle categorie economiche, insistono, invece, per una riapertura molto più veloce e a spingere in questo senso concorrono, per ognuno, motivazioni diverse: dalla ricerca di visibilità politica, all’opposizione fatta a prescindere, alla comprensibile preoccupazione per una stagnazione economica che colpisce per primi chi i beni di consumo li produce, chi li commercializza e chi per loro lavora.

Ma, al di là di questo, da una parte stanno i ragionamenti di scienziati nei quali fino a pochi giorni fa si era riposta la massima fiducia perché in questa situazione avevano dimostrato di aver previsto quasi tutto quello che sarebbe successo e avevano indicato le giuste contromisure. Dall’altra ci sono più preoccupazioni che previsioni da parte di economisti che nella storia italiana recente non hanno certamente brillato per la loro capacità di preveggenza e di cura. Tanto – dicono – se non andrà bene potremo tornare velocemente indietro.

Per tentare cancellare l’immagine di competenza conquistata dagli scienziati, in tutto lo schieramento che vuole una riapertura veloce ci si continua a lamentare perché la scienza non dà una risposta precisa alla domanda su quale data sarà quella in cui si potrà riprendere la vita normale. Non passa neppure per la testa l’eventualità che una risposta precisa non ci sia perché dichiaratamente non è possibile darla.

Ma se vogliamo abbassarci sullo stesso piano ponendo domande alle quali non si può dare una risposta precisa, proviamo a chiedere dopo quante centinaia di morti in più si deciderà di fare retromarcia? E chiediamo anche se lo sforzo anche economico di una riapertura troppo avventuristica seguita da una nuova chiusura non finirebbe per provocare ancora più danni ai portafogli di imprenditori ed esercenti e al lavoro in genere.

In questa battaglia sulla riapertura, però, è in gioco non soltanto il destino economico di milioni di persone e di un Paese che deve trovare il modo di far coesistere – cosa che non è mai riuscita all’ex Ilva di Taranto – la salute e la salvezza delle vite umane con le necessità economiche di una popolazione. Si è ancora davanti al ricatto che impone di mettere a repentaglio la propria vita in cambio di lavoro; una faccenda orrenda che ricorda molto da vicino sia i tempi in cui l’Italia mandava al Belgio minatori, di cui 136 morirono a Marcinelle, per avere in cambio carbone, sia le tante guerre nelle quali a finire in prima linea non sono mai coloro che decidono che in prima linea ci si deve andare.

È in gioco proprio il concetto di competenza, un valore che è stato cancellato da una rincorsa al ribasso da parte di coloro che proprio nella competenza altrui vedevano un ostacolo alla carriera propria; un valore che, con fatica, stava riprendendo il suo posto di preminenza sulla strada delle decisioni da prendere e che oggi viene nuovamente schernito e messo in un angolo da coloro che lo vedono soltanto come un ostacolo alle proprie volontà.

Ma non sanno che a fare così si rischiano sempre disastri? Certamente sì, ma sono sempre convinti che i disastri travolgeranno gli altri. Mai loro stessi. Se posso dare loro un consiglio di lettura, segnalerei “La conoscenza e i suoi nemici”, di Tom Nichols, sottotitolato “L’era dell’incompetenza e i rischi per la democrazia”.

Le altre parole: Abbraccio, Ambiente, Anonimo, Ansia, Anziano, Burocrazia, Confine, Democrazia, Denaro, Dignità, Diritti, Dubbio, Empatia, Eroismo, Europeismo, Fede, Futuro, Guerra, Indignarsi, Infodemia, Lavoro, Lettura, Libertà, Linguaggio, Memoria, Natura, Opinione, Paesaggio, Paura, Quarantena, Regole, Resistenza, Scelta, Scienza, Scuola, Sogno, Solidarietà, Tempo, Uguaglianza, Vulnerabilità, Zelo.


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