In questo
terribile periodo dominato dal coronavirus sono molte le parole di cui
abbiamo scoperto, o riscoperto, il vero significato. Sembra doveroso
fissare questi pensieri in una specie di piccolo vocabolario per non
dimenticarli quando questo orrore sarà passato.
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«Così
come il comandamento “Non uccidere” pone un limite chiaro per
assicurare il valore della vita umana, oggi dobbiamo dire “No” a
un’economia dell’esclusione e della inequità. Questa economia uccide.
Non è possibile che non faccia notizia il fatto che muoia assiderato un
anziano ridotto a vivere per strada, mentre lo sia il ribasso di due
punti in borsa. Questo è esclusione. Non si può più tollerare il fatto
che si getti il cibo, quando c’è gente che soffre la fame. Questo è
inequità. Oggi tutto entra nel gioco della competitività e della legge
del più forte, dove il potente mangia il più debole. Come conseguenza di
questa situazione, grandi masse di popolazione si vedono escluse ed
emarginate: senza lavoro, senza prospettive, senza vie di uscita. Si
considera l’essere umano in se stesso come un bene di consumo, che si
può usare e poi gettare. Abbiamo dato inizio alla cultura dello “scarto”
che, addirittura, viene promossa. Non si tratta più semplicemente del
fenomeno dello sfruttamento e dell’oppressione, ma di qualcosa di nuovo:
con l’esclusione resta colpita, nella sua stessa radice, l’appartenenza
alla società in cui si vive, dal momento che in essa non si sta nei
bassifondi, nella periferia, o senza potere, bensì si sta fuori. Gli
esclusi non sono “sfruttati”, ma sono rifiuti, “avanzi”».
Queste parole sono state scritte da
Papa Francesco nel novembre del 2013, nella sua prima Esortazione
apostolica, la “Evangelii gaudium”. A quasi sette anni di distanza
potrebbero essere riproposte senza dover cambiare neppure una virgola.
Anzi, lo sdegno potrebbe ribollire ancora più forte al di sotto delle
parole perché ancora una volta, e in maniera più vergognosa di sempre,
si è visto che ai protagonisti di tutta la finanza e di buona parte
dell’economia non interessa davvero nulla della sorte degli uomini e
delle donne che non siano loro stessi.
Durante i momenti peggiori della
crisi umanitaria fatta scoppiate dal Covid-19 abbiamo visto le
quotazioni di borsa muoversi come se nulla stesse succedendo attorno,
come se nel mondo non stessero morendo centinaia di migliaia di persone,
come se la povertà non stesse incombendo su milioni di uomini e di
donne. Anzi, forse certi rialzi sono stati realizzati proprio nei
momenti di più acuto orrore. A guardare l’agitarsi di una Borsa valori
non può non venire in mente un covo di allibratori che cercano di sapere
in anticipo se un cavallo è imbolsito, se è in forma, oppure se è
dopato.
E anche l’economia – non quella
spicciola che permette la vita di milioni di persone, ma quella che si
autodefinisce “dispensatrice di ricchezza” – in questo periodo sembra
aver fatto di tutto per non distinguersi, almeno quanto a insensibilità,
dalla finanza. Il neo presidente di Confindustria Carlo Bonomi si
scaglia contro il governo perché distribuisce «soldi a pioggia senza
metodo», tranne quello di cercar di far sopravvivere chi non ha neppure
quel che serve per mangiare, mentre, a suo dire, dovrebbe darli agli
imprenditori, magari a quelli che non si sono mai fermati, o a quelli
che accusano perdite settimanali superiori alla dichiarazione dei
redditi dell’anno prima, o a quelli che vanno a pagare le tasse in
Olanda, o in altri paradisi fiscali, e non in Italia e ora chiedono
aiuti a fondo perduto.
Intanto sono pochissimi coloro che
si vantano di essere economisti e che cominciano a pensare che tutto il
sistema andrebbe cambiato perché questo ha soltanto creato, e poi
esacerbato, disuguaglianze senza che ormai si tenti neppure di
dissimulare che ormai sono sempre di più quelli che non vogliono creare
ricchezza, bensì profitto.
E sono gli stessi che già negli anni
Novanta facevano finta di non vedere cose che scrivevamo perché
sembravano così evidenti che anche chi di economia sa ben poco non
poteva non vedere. E, cioè, che tanti più sarebbero stati i disoccupati e
tanti più i lavoratori precari e pagati al limite della sussistenza,
tanti meno sarebbero stati coloro che avrebbero potuto permettersi di
acquistare molti prodotti e perfino alcuni generi di prima necessità,
innescando, così, una reazione a catena che, visto che non è stata
bloccata in tempo, ha finito per spingere nel baratro quel consumismo su
cui si è basata l’economia del mondo Occidentale, un consumismo che,
per sopravvivere a se stesso, pretenderebbe un giro sempre più vorticoso
di merci e, ovviamente, di denaro. Molti di coloro, insomma, che si
sono dichiarati paladini del capitalismo, ne hanno indebolito e
compromesso profondamente le stesse fondamenta soltanto per calcoli di
tornaconto individuale.
Ma non basta, perché è dalla
compressione del tempo in un presente dilatato all’inverosimile che il
consumismo trae la sua linfa vitale in quanto, non riservando energie e
risorse per un futuro che non si vuole vedere, si finisce per
indirizzarle in maniera praticamente esclusiva sull’oggi. Con
l’aggravante che non ci si rende conto che sono i desideri attuali ad
aver creato il consumismo, mentre sono quelli della sicurezza per il
domani ad avere formato il capitalismo e che è proprio la convivenza tra
queste due realtà, che sembrano strettamente imparentate, ad avere
creato una crisi di cui non si vede la fine, in quanto sono
inconciliabili visto che il consumismo trae linfa da un continuo
movimento di denaro, mentre il capitalismo e la finanza tendono, per
incrementarlo, a farlo muovere soltanto virtualmente.
E, a proposito di contraddizioni, si
è visto ancora una volta che passare dall’Europa dei mercati all’Europa
dei popoli non è facile perché democrazia vuol dire ricerca di
equilibri, mentre concorrenza e mercato sono, invece, ricerca di
disequilibri. È una pura constatazione che deriva anche dal fatto che in
questa nostra epoca si finisce per privilegiare il pensiero semplice
rispetto a quello complesso, il pensiero corto, che arriva a breve
distanza temporale, rispetto a quello lungo che si spinge a
considerazioni strategiche e non solo tattiche. E la democrazia è un
pensiero lungo e complesso, che si proietta nel futuro e richiede grandi
sforzi per essere mantenuto vivo. Insomma, non è possibile basare
l’Europa Unita soltanto sull’economia: servono disperatamente anche
politica ed etica; cultura e visione sociale delle cose.
Se poi ci soffermiamo sull’enorme
debito che già abbiamo e che doverosamente si ingigantirà ancora, allora
ci si rende ancor più conto che dall’inferno del coronavirus dovrebbero
uscire almeno alcuni insegnamenti: che ci si salva soltanto agendo
insieme, che per poter agire insieme occorre abbassare, se non
eliminare, le diseguagliane e che per ottenere uguaglianze di fatto
occorrerebbe un’enorme flessibilità, cioè la capacità di trovare le
soluzioni giuste non proseguendo testardamente sulla propria strada
abituale, ma cercando altri percorsi più fruttuosi per tutti.
Le altre parole: Abbraccio, Ambiente, Anonimo, Ansia, Anziano, Burocrazia, Competenza, Confine, Coraggio, Cultura, Democrazia, Denaro, Dignità, Diritti, Dubbio, Empatia, Eroismo, Europeismo, Fede, Futuro, Guerra, Indignarsi, Infodemia, Lavoro, Lettura, Libertà, Linguaggio, Memoria, Natura, Opinione, Paesaggio, Paura, Pubblico, Quarantena, Regole, Resistenza, Responsabilità, Rispetto, Scelta, Scienza, Scuola, Sogno, Solidarietà, Tempo, Uguaglianza, Vulnerabilità, Zelo.
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