venerdì 8 maggio 2020

Le parole del virus: Economia

In questo terribile periodo dominato dal coronavirus sono molte le parole di cui abbiamo scoperto, o riscoperto, il vero significato. Sembra doveroso fissare questi pensieri in una specie di piccolo vocabolario per non dimenticarli quando questo orrore sarà passato.
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«Così come il comandamento “Non uccidere” pone un limite chiaro per assicurare il valore della vita umana, oggi dobbiamo dire “No” a un’economia dell’esclusione e della inequità. Questa economia uccide. Non è possibile che non faccia notizia il fatto che muoia assiderato un anziano ridotto a vivere per strada, mentre lo sia il ribasso di due punti in borsa. Questo è esclusione. Non si può più tollerare il fatto che si getti il cibo, quando c’è gente che soffre la fame. Questo è inequità. Oggi tutto entra nel gioco della competitività e della legge del più forte, dove il potente mangia il più debole. Come conseguenza di questa situazione, grandi masse di popolazione si vedono escluse ed emarginate: senza lavoro, senza prospettive, senza vie di uscita. Si considera l’essere umano in se stesso come un bene di consumo, che si può usare e poi gettare. Abbiamo dato inizio alla cultura dello “scarto” che, addirittura, viene promossa. Non si tratta più semplicemente del fenomeno dello sfruttamento e dell’oppressione, ma di qualcosa di nuovo: con l’esclusione resta colpita, nella sua stessa radice, l’appartenenza alla società in cui si vive, dal momento che in essa non si sta nei bassifondi, nella periferia, o senza potere, bensì si sta fuori. Gli esclusi non sono “sfruttati”, ma sono rifiuti, “avanzi”».

Queste parole sono state scritte da Papa Francesco nel novembre del 2013, nella sua prima Esortazione apostolica, la “Evangelii gaudium”. A quasi sette anni di distanza potrebbero essere riproposte senza dover cambiare neppure una virgola. Anzi, lo sdegno potrebbe ribollire ancora più forte al di sotto delle parole perché ancora una volta, e in maniera più vergognosa di sempre, si è visto che ai protagonisti di tutta la finanza e di buona parte dell’economia non interessa davvero nulla della sorte degli uomini e delle donne che non siano loro stessi.

Durante i momenti peggiori della crisi umanitaria fatta scoppiate dal Covid-19 abbiamo visto le quotazioni di borsa muoversi come se nulla stesse succedendo attorno, come se nel mondo non stessero morendo centinaia di migliaia di persone, come se la povertà non stesse incombendo su milioni di uomini e di donne. Anzi, forse certi rialzi sono stati realizzati proprio nei momenti di più acuto orrore. A guardare l’agitarsi di una Borsa valori non può non venire in mente un covo di allibratori che cercano di sapere in anticipo se un cavallo è imbolsito, se è in forma, oppure se è dopato.

E anche l’economia – non quella spicciola che permette la vita di milioni di persone, ma quella che si autodefinisce “dispensatrice di ricchezza” – in questo periodo sembra aver fatto di tutto per non distinguersi, almeno quanto a insensibilità, dalla finanza. Il neo presidente di Confindustria Carlo Bonomi si scaglia contro il governo perché distribuisce «soldi a pioggia senza metodo», tranne quello di cercar di far sopravvivere chi non ha neppure quel che serve per mangiare, mentre, a suo dire, dovrebbe darli agli imprenditori, magari a quelli che non si sono mai fermati, o a quelli che accusano perdite settimanali superiori alla dichiarazione dei redditi dell’anno prima, o a quelli che vanno a pagare le tasse in Olanda, o in altri paradisi fiscali, e non in Italia e ora chiedono aiuti a fondo perduto.
Intanto sono pochissimi coloro che si vantano di essere economisti e che cominciano a pensare che tutto il sistema andrebbe cambiato perché questo ha soltanto creato, e poi esacerbato, disuguaglianze senza che ormai si tenti neppure di dissimulare che ormai sono sempre di più quelli che non vogliono creare ricchezza, bensì profitto.

E sono gli stessi che già negli anni Novanta facevano finta di non vedere cose che scrivevamo perché sembravano così evidenti che anche chi di economia sa ben poco non poteva non vedere. E, cioè, che tanti più sarebbero stati i disoccupati e tanti più i lavoratori precari e pagati al limite della sussistenza, tanti meno sarebbero stati coloro che avrebbero potuto permettersi di acquistare molti prodotti e perfino alcuni generi di prima necessità, innescando, così, una reazione a catena che, visto che non è stata bloccata in tempo, ha finito per spingere nel baratro quel consumismo su cui si è basata l’economia del mondo Occidentale, un consumismo che, per sopravvivere a se stesso, pretenderebbe un giro sempre più vorticoso di merci e, ovviamente, di denaro. Molti di coloro, insomma, che si sono dichiarati paladini del capitalismo, ne hanno indebolito e compromesso profondamente le stesse fondamenta soltanto per calcoli di tornaconto individuale.

Ma non basta, perché è dalla compressione del tempo in un presente dilatato all’inverosimile che il consumismo trae la sua linfa vitale in quanto, non riservando energie e risorse per un futuro che non si vuole vedere, si finisce per indirizzarle in maniera praticamente esclusiva sull’oggi. Con l’aggravante che non ci si rende conto che sono i desideri attuali ad aver creato il consumismo, mentre sono quelli della sicurezza per il domani ad avere formato il capitalismo e che è proprio la convivenza tra queste due realtà, che sembrano strettamente imparentate, ad avere creato una crisi di cui non si vede la fine, in quanto sono inconciliabili visto che il consumismo trae linfa da un continuo movimento di denaro, mentre il capitalismo e la finanza tendono, per incrementarlo, a farlo muovere soltanto virtualmente.

E, a proposito di contraddizioni, si è visto ancora una volta che passare dall’Europa dei mercati all’Europa dei popoli non è facile perché democrazia vuol dire ricerca di equilibri, mentre concorrenza e mercato sono, invece, ricerca di disequilibri. È una pura constatazione che deriva anche dal fatto che in questa nostra epoca si finisce per privilegiare il pensiero semplice rispetto a quello complesso, il pensiero corto, che arriva a breve distanza temporale, rispetto a quello lungo che si spinge a considerazioni strategiche e non solo tattiche. E la democrazia è un pensiero lungo e complesso, che si proietta nel futuro e richiede grandi sforzi per essere mantenuto vivo. Insomma, non è possibile basare l’Europa Unita soltanto sull’economia: servono disperatamente anche politica ed etica; cultura e visione sociale delle cose.

Se poi ci soffermiamo sull’enorme debito che già abbiamo e che doverosamente si ingigantirà ancora, allora ci si rende ancor più conto che dall’inferno del coronavirus dovrebbero uscire almeno alcuni insegnamenti: che ci si salva soltanto agendo insieme, che per poter agire insieme occorre abbassare, se non eliminare, le diseguagliane e che per ottenere uguaglianze di fatto occorrerebbe un’enorme flessibilità, cioè la capacità di trovare le soluzioni giuste non proseguendo testardamente sulla propria strada abituale, ma cercando altri percorsi più fruttuosi per tutti.

Le altre parole: Abbraccio, Ambiente, Anonimo, Ansia, Anziano, Burocrazia, Competenza, Confine, Coraggio, Cultura, Democrazia, Denaro, Dignità, Diritti, Dubbio, Empatia, Eroismo, Europeismo, Fede, Futuro, Guerra, Indignarsi, Infodemia, Lavoro, Lettura, Libertà, Linguaggio, Memoria, Natura, Opinione, Paesaggio, Paura, Pubblico, Quarantena, Regole, Resistenza, Responsabilità, Rispetto, Scelta, Scienza, Scuola, Sogno, Solidarietà, Tempo, Uguaglianza, Vulnerabilità, Zelo.


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