mercoledì 27 maggio 2020

Il concetto di rischio

Nell’ultimo “Eppure...”, intitolato “Curiosità doverose”, ho provato ad affrontare il problema dell’obbligo per la politica di riferirsi alla scienza e di prendere in seria considerazione le sue conclusioni, nei casi, come pandemie, terremoti, o altri disastri naturali e no, ma anche in presenza di novità tecnologiche, in cui la scienza stessa possa dare parametri certi per giudicare, dati concreti con cui i cittadini possano ragionare su quello che è chiamato “rischio” e che può essere esemplificato con la domanda: «Quante vittime siamo disposti ad accettare in cambio di qualche risparmio?».

Sul concetto di rischio il professor Marcello Riuscetti, geologo e sismologo, mi ha inviato alcune righe che ben volentieri riporto: «Il rischio, come tu ben sai, è la probabilità di un evento dannoso e, quindi non può che essere calcolato. Accettato che questa ovvietà sia da tutti compresa, rimane da stabilire come si possa utilizzare ai fini pratici il “rischio calcolato”. Io sono stupito che nessuno nei vari “thinktanks” che assistono il governo abbia ragionato in termini di “rischio accettabile” (un patrimonio concettuale del Progetto Finalizzato Geodinamica, elaborato dal professor Giuseppe Grandori, ndr) che, solo, può utilmente indirizzare un’azione di governo, posto che il perseguire il rischio zero significa porsi un obiettivo impossibile. Quindi una scelta difficile, ma non impossibile, potrebbe essere: quali costi sono disposto ad affrontare per ridurre di una certa percentuale le vittime, o altre scelte consimili basate su criteri esclusivamente economici. È da tener presente che introdurre nei calcoli il costo della vita umana richiede un approccio che noi non siamo culturalmente preparati ad affrontare. Non è così negli Stati Uniti dove in campo assicurativo, per esempio, il valore della vita umana viene calcolato sulla base della capacità di produrre reddito cosicché assicurare contro il crollo di un edificio che ospita grandi studi legali ha un costo molto maggiore di quello riferito a una scuola con la medesima popolazione. Condividi?».

Un’esposizione chiara e una domanda apparentemente semplice, in quanto, di primo acchito, una risposta affermativa sembra voler dire «Approvo questa esposizione». Subito dopo, però, ci si rende conto che troppo spesso, la nostra smania di risparmiare tempo ci porta non soltanto a rischiare di sbagliare per mancanza di riflessione, ma anche a essere troppo vaghi nelle risposte e, quindi, a rischiare di dare vita a sgradevoli e pericolosi equivoci.

Per capirci meglio, ritengo utile partire dalla constatazione che in alcuni campi e in alcuni Paesi la vita umana acquista valori differenti a seconda dei parametri che si scelgono. Il professor Riuscetti dice che questo è «un approccio che noi non siamo culturalmente preparati ad affrontare», però parla anche di “rischio accettabile”. Apparentemente questi due concetti appaiono in stridente contraddizione, ma così non è, proprio perché la scienza mira a rendere concreti i sogni, ma non si sogna minimamente, a differenza della pubblicità e, in troppi casi, della politica, di spacciare come reali determinati miraggi.

Per capire che le due affermazioni non si contraddicono, ma che, anzi, la prima è la base fondamentale per praticare la seconda, ci è utile un concetto geometrico, quello dell’“asintoto”, parola che deriva dal greco e che è composta da un’alfa privativo che significa no e dal verbo sympìptein che significa congiungere, cioè che non tocca: in pratica si tratta di una retta alla quale la curva di una funzione si avvicina, ma senza mai toccarla. Quindi, se in realtà non possiamo sapere con esattezza come si comporterebbe una funzione all'infinito, conosciamo bene, però, come all'infinito si comporta una retta e se troviamo l’equazione della retta che accompagna la funzione all’infinito, cioè l’asintoto, appunto, potremo tracciare il grafico della funzione che tende all'infinito con buona approssimazione. In parole meno attentamente rigorose, si sta parlando di una retta alla quale una curva si avvicina continuamente, ma senza mai riuscire ad arrivare a quello zero di distanza che significherebbe contatto.

Riportato al nostro discorso, il significato è che le scienze da sempre, nel campo della riduzione del rischio, sanno che mai arriveranno a creare un rischio zero, ma sanno anche che un ulteriore avvicinamento dalla posizione occupata in quel momento sarà sempre possibile e, quindi, non si stancherà mai di cercare nuove strade che possano salvare anche soltanto una vita umana in più. Perché ogni vita è preziosa, a prescindere da quanto sia in grado di produrre, da quanta ricchezza possegga, da che età abbia. Anche perché i disastri, di qualunque tipo, colpiscono dove vogliono, quasi mai dando avvertimenti tempestivi e sicuramente mai andando a scegliere che tipo di vittime fare. Anche perché da ognuno ci si può attendere qualcosa di fondamentale per un’altra persona, o per un’intera comunità.

Un semplice «Condivido», sarebbe stato, dunque, del tutto sbagliato perché avrebbe potuto innescare tutta una serie di equivoci. E sul concetto espresso dal professor Riuscetti non è possibile avere dubbi, visto che il mio interlocutore, già quando la ricostruzione ancora non era conclusa, continuava a richiamare l’attenzione di tutti sulla necessità di mettere in sicurezza anche gli edifici della zona non propriamente epicentrale, che oggi sono più pericolosi di quelli costruiti, o riadattati con severe norme antisismiche.

E lo stesso concetto di approccio al rischio va applicato in ogni campo: dai sismi, alle pandemie, alle sostanze chimiche, alle esalazioni venefiche, agli sversamenti inquinanti, alle onde elettromagnetiche. Perché il concetto di “rischio accettabile” è e deve essere in continua evoluzione; deve tendere costantemente allo zero anche se si sa che quell’obbiettivo non potrà essere mai raggiunto, ma soltanto ulteriormente avvicinato.

Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/

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