Nell’ultimo “Eppure...”, intitolato “Curiosità doverose”,
ho provato ad affrontare il problema dell’obbligo per la politica di
riferirsi alla scienza e di prendere in seria considerazione le sue
conclusioni, nei casi, come pandemie, terremoti, o altri disastri
naturali e no, ma anche in presenza di novità tecnologiche, in cui la
scienza stessa possa dare parametri certi per giudicare, dati concreti
con cui i cittadini possano ragionare su quello che è chiamato “rischio”
e che può essere esemplificato con la domanda: «Quante vittime siamo
disposti ad accettare in cambio di qualche risparmio?».
Sul concetto di rischio il
professor Marcello Riuscetti, geologo e sismologo, mi ha inviato alcune
righe che ben volentieri riporto: «Il rischio, come tu ben sai, è la
probabilità di un evento dannoso e, quindi non può che essere calcolato.
Accettato che questa ovvietà sia da tutti compresa, rimane da stabilire
come si possa utilizzare ai fini pratici il “rischio calcolato”. Io
sono stupito che nessuno nei vari “thinktanks” che assistono il governo
abbia ragionato in termini di “rischio accettabile” (un patrimonio
concettuale del Progetto Finalizzato Geodinamica, elaborato dal
professor Giuseppe Grandori, ndr) che, solo, può utilmente indirizzare
un’azione di governo, posto che il perseguire il rischio zero significa
porsi un obiettivo impossibile. Quindi una scelta difficile, ma non
impossibile, potrebbe essere: quali costi sono disposto ad affrontare
per ridurre di una certa percentuale le vittime, o altre scelte
consimili basate su criteri esclusivamente economici. È da tener
presente che introdurre nei calcoli il costo della vita umana richiede
un approccio che noi non siamo culturalmente preparati ad affrontare.
Non è così negli Stati Uniti dove in campo assicurativo, per esempio, il
valore della vita umana viene calcolato sulla base della capacità di
produrre reddito cosicché assicurare contro il crollo di un edificio che
ospita grandi studi legali ha un costo molto maggiore di quello
riferito a una scuola con la medesima popolazione. Condividi?».
Un’esposizione chiara e una
domanda apparentemente semplice, in quanto, di primo acchito, una
risposta affermativa sembra voler dire «Approvo questa esposizione».
Subito dopo, però, ci si rende conto che troppo spesso, la nostra smania
di risparmiare tempo ci porta non soltanto a rischiare di sbagliare per
mancanza di riflessione, ma anche a essere troppo vaghi nelle risposte
e, quindi, a rischiare di dare vita a sgradevoli e pericolosi equivoci.
Per capirci meglio, ritengo utile
partire dalla constatazione che in alcuni campi e in alcuni Paesi la
vita umana acquista valori differenti a seconda dei parametri che si
scelgono. Il professor Riuscetti dice che questo è «un approccio che noi
non siamo culturalmente preparati ad affrontare», però parla anche di
“rischio accettabile”. Apparentemente questi due concetti appaiono in
stridente contraddizione, ma così non è, proprio perché la scienza mira a
rendere concreti i sogni, ma non si sogna minimamente, a differenza
della pubblicità e, in troppi casi, della politica, di spacciare come
reali determinati miraggi.
Per capire che le due affermazioni
non si contraddicono, ma che, anzi, la prima è la base fondamentale per
praticare la seconda, ci è utile un concetto geometrico, quello
dell’“asintoto”, parola che deriva dal greco e che è composta da un’alfa
privativo che significa no e dal verbo sympìptein che significa
congiungere, cioè che non tocca: in pratica si tratta di una retta alla
quale la curva di una funzione si avvicina, ma senza mai toccarla. Quindi, se in realtà non possiamo sapere con esattezza come si
comporterebbe una funzione all'infinito, conosciamo bene, però, come
all'infinito si comporta una retta e se troviamo l’equazione della retta
che accompagna la funzione all’infinito, cioè l’asintoto, appunto,
potremo tracciare il grafico della funzione che tende all'infinito con
buona approssimazione. In parole meno attentamente rigorose, si sta
parlando di una retta alla quale una curva si avvicina continuamente, ma
senza mai riuscire ad arrivare a quello zero di distanza che
significherebbe contatto.
Riportato al nostro discorso, il
significato è che le scienze da sempre, nel campo della riduzione del
rischio, sanno che mai arriveranno a creare un rischio zero, ma sanno
anche che un ulteriore avvicinamento dalla posizione occupata in quel
momento sarà sempre possibile e, quindi, non si stancherà mai di cercare
nuove strade che possano salvare anche soltanto una vita umana in più.
Perché ogni vita è preziosa, a prescindere da quanto sia in grado di
produrre, da quanta ricchezza possegga, da che età abbia. Anche perché i
disastri, di qualunque tipo, colpiscono dove vogliono, quasi mai dando
avvertimenti tempestivi e sicuramente mai andando a scegliere che tipo
di vittime fare. Anche perché da ognuno ci si può attendere qualcosa di
fondamentale per un’altra persona, o per un’intera comunità.
Un semplice «Condivido», sarebbe
stato, dunque, del tutto sbagliato perché avrebbe potuto innescare tutta
una serie di equivoci. E sul concetto espresso dal professor Riuscetti
non è possibile avere dubbi, visto che il mio interlocutore, già quando
la ricostruzione ancora non era conclusa, continuava a richiamare
l’attenzione di tutti sulla necessità di mettere in sicurezza anche gli
edifici della zona non propriamente epicentrale, che oggi sono più
pericolosi di quelli costruiti, o riadattati con severe norme
antisismiche.
E lo stesso concetto di approccio
al rischio va applicato in ogni campo: dai sismi, alle pandemie, alle
sostanze chimiche, alle esalazioni venefiche, agli sversamenti
inquinanti, alle onde elettromagnetiche. Perché il concetto di “rischio
accettabile” è e deve essere in continua evoluzione; deve tendere
costantemente allo zero anche se si sa che quell’obbiettivo non potrà
essere mai raggiunto, ma soltanto ulteriormente avvicinato.
Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/
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