sabato 27 novembre 2010

Un’esca nel mare di liquami

Bisogna ammetterlo: la Gelmini ha ragione quando dice che non capisce perché gli studenti protestino per difendere i “baroni” universitari. Intendo, ovviamente, che ha ragione quando dice che non capisce. Perché gli studenti salgono sui monumenti e sui tetti, scendono in strada, occupano facoltà, presidiano rettorati, dipingono cartelli di protesta, urlano slogan nei cortei non per difendere i baroni ma per contestare tutte le mille carognate che nella legge di riforma universitaria sono poste attorno a quell’unica norma che il ministro chiama in causa in ogni suo intervento.
Una norma, tra l’altro, che potrebbe anche essere approvata, ma è sicuramente debolissima, visto che si propone di abbattere il nepotismo diretto impedendo di partecipare ai concorsi di docenza a figli e parenti di docenti della medesima università, ma che non tocca né la possibilità del “posto di scambio” tra i parenti di docenti di università diverse, né quella del posto concesso all’amico proprio o di amici potenti. È una norma che rende un po’ più complicata la parentocrazia, ma non si sogna minimamente di andare a toccare l’essenza stessa dei concorsi e delle commissioni per cancellare quelle negatività che possono mettere in secondo piano la tanto sbandierata meritocrazia.
La Gelmini, curiosamente ma evidentemente, pensa davvero che gli universitari siano la parte meno intelligente del Paese se pensa di infinocchiarli presentando loro un’unica esca appetibile che galleggia in un mare di liquami, da portarsi a casa in un pacco unico, talmente velenosi che vanno a cancellare le autonomie economiche – e quindi scientifiche ed etiche – delle università. Quelle autonomie sancite dalla Costituzione.
Perché, secondo il disegno suo o di chi glielo ha dettato, appare evidente che le università dovrebbero essere costrette, per sopravvivere, a mettersi economicamente a disposizione delle industrie che così potranno indirizzare le ricerche dove meglio loro aggrada risparmiando anche le spese di laboratori scientifici interni. E le facoltà che alle industrie non interessano, che chiudano pure.
La storia insegna che è sempre da diffidare quando i re o gli imperatori dicono che i baroni vanno cancellati perché hanno troppo potere. Di solito questo succede perché vogliono andare a occupare anche quelle residue sacche di potere di cui finora non sono ancora riusciti a impadronirsi.
Ma vi sembra verosimile che davvero a Berlusconi, Gelmini, Brunetta, Bondi e compagnia interessi quella cultura che, secondo l’illuminato Tremonti, «non dà da mangiare»?

mercoledì 24 novembre 2010

Parole geneticamente modificate

Nella serata di Ballarò abbiamo sentito il principe dei mistificatori, ovviamente Silvio Berlusconi, che dava del mistificatore a Giovanni Floris per la trasmissione di un servizio nel quale si vedevano le immagini delle promesse fatte dal presidente del Consiglio sulla risoluzione in pochi giorni del problema dei rifiuti in Campania e in cui poi si mandava in onda la visione delle piramidi di immondizie che intasano le strade oggi. E l’ineffabile Berlusconi alzava la voce sostenendo che lui non aveva assolutamente mentito.
Ora, stante il fatto che anche il megalomane più spinto ben difficilmente può pensare di realizzare le cose soltanto promettendole o desiderandole, la spiegazione di una simile impudente e imprudente telefonata in diretta televisiva senza accettare qualunque forma di pur promesso contraddittorio, si può trovare soltanto nella convinzione che si possa impunemente e in eterno trasformare il significato delle parole, attività che il presidente del consiglio pro tempore ha splendidamente praticato in questi anni, abusando di termini come "libertà" e "amore", ma anche "lodo" e "fare" e, ovviamente, "democrazia" e "popolo" per far passare messaggi totalmente distorti utilizzando vocaboli ai quali ha finito per rubare l’originario dna per sostituirlo con un altro al fine di dare dare vita a PGM (parole geneticamente modificate) molto diverse - pur se apparentemente uguali - da quelle originali e create esclusivamente per essere funzionali ai suoi bisogni.
E questa mistificazione non viene fatta soltanto da lui e dagli specialisti Bonaiuti e Capezzone, ma da tutti i suoi accoliti. Prendete, per esempio, il direttore generale della Rai, Mauro Masi: oltre il 90 per cento dei giornalisti della Rai partecipa al voto di sfiducia nei suoi confronti e oltre il 90 per cento dei votanti lo sfiducia. La reazione di Masi è: «Vogliono intimidirmi». Per fortuna, questa volta, gli rispondono: «No. A nessuno interessa di intimidirti. Quasi tutti, invece, vogliono che tu te ne vada». Lui fa finta di niente, ma almeno non tenta più di mistificare con le parole il risultato.
Ecco, forse uno degli errori più gravi fatti da noi è stato quello di non essere puntiglioso nel difendere le parole dalle violenze di Berlusconi, dei berlusconiani e dei leghisti. Difendendo le parole avremmo difeso anche la comprensione effettiva di quello che stava succedendo e quindi avremmo difeso la democrazia e anche noi stessi.

lunedì 15 novembre 2010

Ignoranza costituzionale

Come sempre i momenti potenzialmente più pericolosi sono quelli in cui chi si rende conto di avere le spalle al muro pensa di non avere più nulla da perdere ed è disposto a intraprendere qualsiasi mossa avventata e pericolosa per gli altri pur di tentare di togliersi dalle panie di una rete che sta per imprigionarlo. E, riferendosi a Berlusconi, i vocaboli usati non sono casuali.
Il presidente del Consiglio pro tempore, infatti, le sta tentando tutte pur di riuscire a mantenere per sé quella sedia che lo mette momentaneamente al riparo da quei giudizi che non è ancora riuscito a impedire cambiando le leggi, o ritardando tanto i processi da farli cadere in prescrizione.
Minaccia, copiando Bossi, di far scendere in strada milioni di italiani per una sorta di guerra civile nel caso non restasse a capo del governo presente o prossimo che sia – e tenta di far perdere di valore la mozione di sfiducia presentata alla Camera, facendo presentare al Senato – dove conta di avere ancora una risicata maggioranza – una mozione di fiducia non si sa su cosa.
Poi vorrebbe che Napolitano sciogliesse soltanto la Camera, dov’è in minoranza, sperando che nuove elezioni gli diano una nuova maggioranza. Si appella all’articolo 88 della Costituzione che permette al Presidente della Repubblica di sciogliere uno solo dei due rami del Parlamento, ma dimentica sia che la prerogativa di scioglimento spetta esclusivamente al Presidente della Repubblica, sia che questa possibilità è stata usata una sola volta, nella seconda legislatura, quando il Senato interruppe anticipatamente il suo mandato, che allora era di sei anni, per permettere di appaiare costituzionalmente le durate dei due rami del Parlamento.
Quando Prodi godeva della maggioranza alla Camera, ma non al Senato, un’ipotesi di scioglimento a metà non fu nemmeno ventilato.
Ma nella sua ignoranza costituzionale Berlusconi è in ottima compagnia con i suoi ministri. Sacconi a Cividale ha detto «che gli italiani non possono essere espropriati del loro diritto di scegliere chi li guida». Ma il ministro non sa che il «chi li guida» costituzionale non è il presidente del Consiglio, bensì il Parlamento che a sua volta è formato dagli eletti le cui funzioni primarie sono fissate dall’articolo 67 della tanto trascurata Costituzione: «Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato».

Il vero rischio è che a furia di sentire le baggianate di Berlusconi e dei suoi, aumentino quelli disposti a credere alla loro realtà virtuale. Per questo oggi parlare senza stancarsi di ribadire i fatti non è soltanto doveroso: è davvero obbligatorio.

venerdì 12 novembre 2010

Quali sgravi fiscali?

Provate a mettere insieme queste due notizie. La prima è che le industrie vedono aumentare l’export, mentre precipitano le vendite in Italia. La seconda dice che le industrie chiedono sgravi fiscali perché – sostiene il presidente Calligaris – le industrie devono essere più competitive. Nel comparare queste informazioni non vi sembra che qualcosa strida?
Se l’export sta aumentando, questo significa che la competitività non manca. Se la vendita in Italia crolla, vuol dire che scarseggiano sempre di più i denari per acquistare. E allora, invece che provvedere a sgravi fiscali per aiutare aziende che, per la stragrande maggioranza, pensano a migliorare i bilanci e non certo a far crescere l’occupazione, non sarebbe meglio disporre sgravi fiscali sul lavoro e aumentare di molto i controlli antievasione?
Forse, così facendo, il mercato interno riprenderebbe gradualmente vigore, le aziende, già competitive all’estero, potrebbero aumentare le quote di vendite sul mercato interno e tutto questo potrebbe anche far ricrescere l’occupazione ridando fiato e dignità a milioni di persone e aiutando anche le casse pubbliche che attualmente stanno impegnando molti soldi nel sostegno dei cassintegrati e dei disoccupati.
Non è, evidentemente, una proposta che ci si possa attendere da Confindustria, ma potrebbe benissimo figurare tra i progetti di un centrosinistra che, oltre al bene del Paese, deve anche cercare di riconquistare una parte consistente di quello che dovrebbe essere il suo elettorato.

giovedì 11 novembre 2010

L’etica e la convenienza

Finalmente sembra proprio che stia per finire. Il berlusconismo sta affogando negli stessi liquami che ha prodotto e in questo appare già un minimo di Giustizia, di quella con la “G” maiuscola. Ma quando parlo di liquami non mi riferisco soltanto a quelli degli scandali sessuali di cui oggi tutti parlano e che hanno messo alla berlina l’Italia in tutto il mondo. Perché uno degli errori più clamorosi e più gravidi di conseguenze pericolose per il futuro sarebbe quello di pensare che il governo Berlusconi è finito per un soprassalto di moralità da parte degli italiani, religiosi o laici che siano.
Berlusconi ci ha fatto indignare e vergognare, ma soprattutto ha fallito dal punto di vista economico, sociale e politico. E a farlo andare a casa è stato il fatto che molti settori – ovviamente i più potenti – della società italiana non si sono più sentiti tutelati – o meglio, coperti – da lui che ormai da troppi anni sta passando molto più tempo a difendere se stesso e i suoi affari che la situazione generale di un Paese che ormai è diventato una specie di colabrodo che sarà molto difficile far tornare nuovamente in grado di galleggiare.
Sarebbe davvero un errore imperdonabile pensare che certi strati di questa nazione abbiano riacquistato quella moralità che evidentemente ancora non c’è, se si continua a trattare così i lavoratori pensando che il lavoro serva soltanto come fine per incrementare gli utili di bilancio e non come mezzo per dare pane e dignità alle famiglie e ai giovani. Se si continua a comportarsi come aguzzini nei confronti di esseri umani – ripeto, esseri umani – che fuggono da guerre, vessazioni, fame e malattie endemiche, per paura di perdere qualche privilegio, o per il fastidio di dire di no a chi chiede un aiuto per strada. Se si continua a sostenere che il fare sia più importante del ragionare. Se si pensa di poter costruire qualcosa che vada oltre a una nuova legge elettorale con Gianfranco Fini che – sarà sicuramente una mia limitazione – non riesco a dimenticare che è padre delle leggi Bossi-Fini e Fini-Giovanardi e che continuo a ricordare nella sala di comando delle forze del cosiddetto ordine poi condannate per le violenze gratuite e usate con efferatezza contro manifestanti inermi al G8 di Genova, mentre quelli davvero violenti se ne restavano intoccati.
Da troppi anni la propaganda berlusconiana ha demolito, soprattutto attraverso trasmissioni televisive schifose o almeno vuote, ogni senso di moralità e di valori. Da troppi anni si sono cancellati reati che continuano a restare peccati non soltanto religiosi, ma anche e soprattutto laici, come – per fare un esempio soltanto – il falso in bilancio. Da troppi anni il denaro, il successo, la bellezza e il godimento sono diventati le mete cui deve tendere a ogni costo.
Illudersi che dopo questi massicci avvelenamenti ventennali ci possa essere un soprassalto etico capace di cancellare in pochi mesi i guasti di due decenni sarebbe una follia.
La realtà è che Berlusconi cade perché non conviene più. E il centrosinistra deve convincere la popolazione che votare per il Pd e i suoi alleati è conveniente. E lo deve fare presentando al più presto un programma chiaro, onesto, efficace e credibile.
Contemporaneamente deve anche impegnarsi a ridare valori a un’Italia che se li è lasciati cancellare con vigile indolenza o compiacente complicità. Ma sarà un compito molto più difficile. E ci vorrà uno sforzo lungo e pesante da parte di tutti; non soltanto da parte della politica.

giovedì 4 novembre 2010

Sommare e non sottrarre

Devo confessarvi che resto un po’ sgomento davanti alla questione del crocifisso, sia pensando alla sentenza della corte europea, sia alle reazioni, favorevoli e contrarie che siano, visto che stiamo parlando di fede, una delle cose più personali che ci siano. Parlando di un simile argomento, diventa obbligatorio confessare che sono un non non credente in cui la doppia negazione non vuole assolutamente presupporre una fede, ma soltanto il fatto che sono uno che nulla sa, tranne il fatto che mai saprà; che al massimo vorrebbe.
Però un’idea ce l’ho: provate ad aggiungere, invece che a sottrarre. Pensate a pareti scolastiche prive di ogni simbolo e provate a immaginarle, invece, con accanto al crocifisso anche la stella di David, e la mezzaluna e stella, e – perché no? – un mulinello di preghiera buddhista. Pensateci e vedrete che a nessuno sarà tolto qualcosa, ma a tutti qualcosa in più sarà dato. Anche all’ateo e all’agnostico che sapranno di non aver coartato nessuno proibendogli di vedere qualcosa che magari lo conforta.
È una cosa che mi è stata insegnata in gioventù, al liceo, senza parole ma con i fatti da quello che noi chiamavamo don Eugenio e che fino a poche settimane fa tutti hanno chiamato monsignor Ravignani, vescovo di Trieste. Era il nostro catechista in una classe in cui c’erano anche degli ebrei. Per non farli sentire a disagio, se volevano restare con noi durante l’ora di religione, non ha mai pensato di togliere il crocifisso: semplicemente ha fatto affiggere sugli stipiti delle porte quei piccoli portarotoli delle preghiere del Deuteronomio – i mezuzah – che non mancano mai nelle case degli ebrei.
Mi chiedo, da laico convinto, perché proibire a chi crede di esprimere il proprio credo? Taluni dicono: in Arabia non ci lasciano neppure fare il segno della croce. E allora? Se uno è illiberale dobbiamo diventare illiberali anche noi? Cioè non dobbiamo crescere, ma scegliere di abbruttirci? E, magari, scendendo sempre più in basso, di incontrare anche i leghisti che dicono di essere cattolici praticanti e contemporaneamente negano in maniera abietta ogni amore per il prossimo, negando loro la pietà anche quando sono morti da seppellire. Ma quale cristianesimo praticano? Quale Vangelo hanno letto?
Le risposte a certe schifezze saranno sempre troppo tiepide, sempre troppo poco indignate se non si vuole lasciare che negli animi più deboli crescano i germi della criminale e crudele stupidità della xenofobia e del razzismo. Un po’ meno di settant’anni fa è successo in Germania e i frutti velenosi di quel far finta di non vedere sono maturati fino alla shoah.
Se non crediamo, poco ci può interessare che un crocifisso sia solo, in compagnia, o non ci sia affatto su un muro di un’aula scolastica, ma, se ci crediamo, possiamo davvero pensare che Cristo esca diminuito dalla vicinanza con un altro simbolo? Oppure dall’assenza del suo?

Distrazioni e collezioni

Vi devo confessare che molto spesso apro il mio blog e, invece di scrivere quello che mi passa per la mente, mi fermo e chiudo pensando più o meno che non è possibile continuare a scrivere ogni santo giorno che c’è qualcosa che non va. E sento che anche molti altri dicono che non è possibile continuare quotidianamente a imprecare e a spiegare perché così non può andare avanti.
È un errore; comune, ma grave. E non soltanto perché l’indignazione non può essere valida soltanto a giorni alternati, ma anche e soprattutto perché Berlusconi e i suoi infarciscono la nostra vita di schifezze contando proprio su una nostra saturazione e su un eccesso di buona educazione per sdoganare tutto, ma proprio tutto.
Fateci caso: esce la notizia che Berlusconi interviene direttamente e pesantemente su una questura per rimettere in libertà una minorenne che partecipava alla sue feste in villa, una ragazza fermata per furto e già segnalata per prostituzione; e lo fa spacciandola per la nipote di Mubarak. Ebbene l’attenzione da questo incredibile abuso di potere - che in qualunque Paese del mondo avrebbe già fatto sparire Berlusconi dalla vita pubblica – viene distratto dalla parte pecoreccia dello scandalo.
Quando questa, però, comincia a diventare troppo ingombrante per l’elettorato cattolico, visto che si fanno vive altre giovanissime ragazze disponibili che dicono di aver partecipato alle feste in villa, Berlusconi svia l’attenzione generale attaccando gli omosessuali e strizzando l’occhio alla parte più conservatrice e integralista della cattolicità.
Se l’ultima brillante idea suscita reazioni indignate in tutto il mondo, anche nelle cancellerie, pur di non far continuare a parlare di queste cose, in soccorso a Berlusconi corre il direttore artistico del festival di Sanremo, Gian Marco Mazzi, che annuncia che sul palco saranno cantate sia “Bella ciao”, sia “Giovinezza”, quasi l’inno della libertà e quello della dittatura potessero essere messi sul medesimo piano, anche ricordando che da quelli che cantarono la prima nacquero una democrazia e la più bella Costituzione del mondo e che da quelli che cantarono la seconda nacquero le leggi razziali e le guerre coloniali.
Circa un anno fa su questo blog scrissi “L’elogio della pernacchia” perché davvero questo può essere l’unico metodo serio ed efficace per interloquire con una maggioranza che continua a fare cose terribilmente dannose per la comunità, a straparlare, a opporre soltanto decibel straripanti a fatti e a ragionamenti.
Forse non sarà molto educato accogliere così, anche individualmente, le parole di un vecchio malato, sessuomane e omofobo, angosciato dalla possibilità di dover rendere conto davanti a un tribunale di molte sue azioni. E sicuramente fare pernacchie non è politicamente qualificante né edificante, non fa crescere il livello culturale, né presuppone uno sforzo di miglioramento sociale.
Ma l’unica alternativa è trovare un altro sistema per far capire non soltanto a lui e ai suoi dipendenti che non ne possiamo più dei suoi trucchi, ma soprattutto per far entrare nella mente di tantissimi italiani che la verità non è la propaganda che quotidianamente ci dispensa. E che non siamo più disposti neppure a farci distrarre senza fine, a sostituire davanti alla nostra attenzione una notizia orrenda con una ancora peggiore. Noi tutte queste brutture non le sostituiamo l'una con l'altra: le collezioniamo tutte nella nostra memoria.

mercoledì 27 ottobre 2010

Costituzione ed economia

Per Emma Marcegaglia sembra essere diventato una specie di mantra. «Il Paese – dice – non può permettersi una crisi» di Governo, «non può pensare di andare a elezioni anticipate e ad una campagna elettorale disastrosa in un momento come questo».
A prima vista sembra essere una frase quasi ovvia, ma ci piacerebbe molto se la presidente di Confindustria si chiedesse anche se può questo Paese permettersi di rimanere ulteriormente paralizzato da un governo che da anni non ha fa nulla né per l’economia, né per i suoi cittadini e che si occupa quasi esclusivamente di risolvere, fuori dalle aule dei tribunali, i problemi giudiziari di Berlusconi?
La risposta, mai nettamente esplicita, è sempre sottintesa con forza dagli ambienti confindustriali e dice più o meno così: finiamola di parlare dei problemi di Berlusconi con la giustizia e concentriamoci sull’economia.
Possiamo essere d’accordo se questo vuol dire che non si parla più di lodi, leggi ad personam, processi brevi e via inventando.
Ma se invece vuol dire che – ammesso che questo governo abbia capacità e armi per farlo – per salvare le industrie (e sperabilmente l’economia, anche se nessuno parla di occupazione) occorre lasciar sacrificare la Costituzione e i suoi mirabili equilibri sull’altare degli interessi personali del presidente del Consiglio pro tempore, allora fermiamoci pure. Dalle crisi economiche si può uscire stringendo la cinghia; per tornare a regole democratiche dopo averle perse, i sacrifici da chiedere alla gente possono essere molto più forti.

lunedì 18 ottobre 2010

Pensieri e sondaggi

Il cancelliere tedesco Angela Merkel, parlando al congresso giovani della CDU, afferma che il modello di una Germania multiculturale, nella quale coabitano armoniosamente culture differenti, è «completamente fallito». Non lo dice perché ci creda, ma soltanto perché sta cercando di recuperare spazio a destra in un momento in cui i sondaggi la danno in calando.
Negli Stati Uniti Obama sceglie di non appoggiare la proposta californiana di liberalizzare la vendita della marijuana non perché ne sia convinto, ma in quanto i sondaggi gli fanno scegliere quella strada.
A Roma, davanti a una manifestazione sindacale della Fiom, una parte del centrosinistra, storce il naso perché alcuni sondaggi dicono che è più utile stare con i cosiddetti benpensanti che con chi è senza lavoro, o sta rischiando di perderlo, e che comunque arriva a stento a fine mese.
Non occorre ricordare che Berlusconi, vero maestro in questo campo, ascoltando i sondaggi non soltanto diventa di volta in volta operaio o imprenditore, laico o clericale, filoarabo o filoisraeliano, amico della Russia, degli Stati Uniti, della Cina, della Libia e di tutto il resto del mappamondo, ma addirittura inventa lusinghieri risultati di sondaggi che lo riguardano perché è convinto che tutti ragionino come lui.
Verrebbe davvero voglia di alzare bandiera bianca e rassegnarsi al fatto che è il pubblico – in pratica il mercato – a ispirare la politica, ma non si può davvero capitolare così. È compito della politica pensare al bene della società e progettarlo, a prescindere da quello che pensano alcuni, o anche tanti, in quel momento. E poi di sottoporre il proprio progetto al giudizio della gente.
Oggi sembra che nella maggior parte dei casi i progetti non esistano più; che gli stessi pensieri non esistano più.
Sarei curioso di vedere cosa succederebbe se qualcuno provasse a impostare la propria azione sul ragionamento, sul rigore e sulla coerenza basata sui valori nei quali crede. Probabilmente i sondaggi mi danno torto, ma credo davvero che riuscirebbe ad avere successo.

domenica 3 ottobre 2010

Un dio che spero non esista

La bestemmia di Berlusconi è stata sicuramente, come ha detto “L’Osservatore Romano”, «una deplorevole offesa ai credenti», ma è anche stata di grande utilità non per mettere in luce la già ampiamente conosciuta bassezza, non soltanto in centimetri, del presidente del consiglio, ma anche – e forse soprattutto – per gettare nuova luce sui rapporti tra la Chiesa e Dio.
Ci sono persone che non credono in Dio e bestemmiano quasi sovrapensiero, quasi fosse un normale intercalare, e quindi non se ne pentono. Ce ne sono altre che bestemmiano in momenti di particolare tensione e se ne sentono fortemente colpevoli. Altre ancora che nominano il nome di Dio invano in momenti difficili e se ne dolgono, ma sono anche convinti che Dio li perdonerà: «Le bestemmie degli alpini non salgono al cielo», dice un detto famoso coniato dalle penne nere durante la prima guerra mondiale. Tutte queste categorie di persone sono comunque convinte che Dio abbia nei nostri confronti un giudizio univoco davanti a un univoco comportamento.
Grazie alla bestemmia di Berlusconi apprendiamo, invece, che nelle alte sfere della Chiesa qualcuno – forse uno solo, o almeno speriamolo – pensano che Dio cambi il proprio giudizio a seconda dell’importanza delle persone coinvolte. E così sentiamo monsignor Fisichella, presidente del Pontificio consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione, che aveva accolto con grande favore la squalifica per calciatori e allenatori sorpresi a bestemmiare sul campo di gioco, affermare che, per quanto riguarda Berlusconi, ci sono casi in cui «bisogna saper contestualizzare».
A dargli una teorica man forte si precipita l’ineffabile e rigidissimo Giovanardi, un vero fondamentalista cattolico a parole per quello che gli interessa, che afferma che molto più grave della bestemmia è «registrare una conversazione privata e renderla pubblica».
Ma torniamo a Fisichella che ha sempre sostenuto a spada tratta – lo ricordo molto bene in un dibattito con lui che ho moderato a Illegio – la lotta contro il “relativismo etico” e la perdita dei valori della nostra società, ma che dimentica tutto per inchinarsi davanti al signore. Quello con la “s” minuscola, ovviamente, anche perché pro tempore; mentre quello con la “S” maiuscola è per l’eternità.
E fermiamoci anche a considerare che nella Chiesa – a differenza di quello che pensavamo – evidentemente esistono svariati Dei diversi tra loro, perché fortunatamente quello di Fisichella non è certamente uguale a quello della quasi totalità dei preti, vescovi e cardinali.
Io non so se credere o meno a Dio. Ma ho una certezza: quello di Fisichella – ingiusto e prono al supposto potere terreno – spero davvero che non esista.

martedì 28 settembre 2010

Da silenziosa a sonnacchiosa

Forse la cosa più incredibile di questo mondo, almeno nei Paesi cosiddetti democratici, è vedere la quantità di persone povere, di quelle che non arrivano a fine mese, o che vi arrivano con difficoltà, di quelle che sentono ancora vivi in sé i concetti e i valori di uguaglianza e di solidarietà – e, tutte insieme, avrebbero sicuramente una stragrande maggioranza – abbiano lasciato che il denaro diventasse l’unico vero dio davanti al quale tutto – loro compresi – bisogna sacrificare.
L’esempio della proposta dell’unificazione delle due Università esistenti nel Friuli Venezia Giulia va esattamente in questo senso: non è tenuto in nessuna considerazione il fatto che, soprattutto in cultura, la molteplicità di apporti corrisponde a un aumento esponenziale di ricchezza intellettuale, né che intere generazioni abbiano lottato per dare anche al Friuli un centro di irradiazione culturale legato al territorio e alle sue tradizioni. E neppure il proponente si sente in crisi perché da una parte, sia pure da alleato, sostiene il federalismo e dall’altra il centralismo.
Il fatto è che della cultura interessa ben poco alla classe politica che oggi ha in mano il potere; se, poi, non le dà addirittura fastidio. Il fatto è che la voglia di accorpamento universitario va esattamente nella stessa direzione della riforma Gelmini per la scuola: tagli di finanziamenti che corrispondono anche a tagli di qualità. E se poi scomparirà la capacità della nostra nazione di reggere il passo di altri che sulla cultura e sulla ricerca investono davvero, quelli saranno problemi di coloro che arriveranno al potere in futuro.
Ma ancora più incredibile è che nessuno insorga non soltanto quando si taglia il bene pubblico per non spendere troppo, ma che la pace regni sovrana quando anche la pubblica utilità viene distrutta nel nome del guadagno. Grida vendetta al cielo, infatti, il fatto che la sanità si vanti di aver chiuso i bilanci con utili di milioni di euro, mentre diminuiscono i posti letto per le degenze e mentre medici e infermieri continuano a lamentarsi di essere in cronico sottorganico.
Una volta si parlava di maggioranza silenziosa. Ora sarebbe meglio parlare di maggioranza sonnacchiosa. Per svegliarla occorrerebbe, se non una voce unica, almeno non quel brusio discordante di baruffe intestine a cui purtroppo in troppi si sono rassegnati.

martedì 7 settembre 2010

Non è ignoranza, ma disprezzo

La conclusione alla quale sono giunti Berlusconi e Bossi nel vertice di Arcore sarebbe grottesca se non rischiasse di diventare drammatica. I due capi della maggioranza, infatti, hanno intenzione di andare da Napolitano a chiedere le dimissioni di Fini che, secondo loro, non dovrebbe più essere presidente della Camera perché non più super partes.
L’enormità della cosa è tale che rischia di far perdere di vista alcuni punti fondamentali.
Il primo: probabilmente sperano che qualcuno dica che neppure il presidente del Senato Schifani è – come infatti non è – super partes. Ma non è questo il punto perché nessuno si aspetta che il presidente di un ramo del Parlamento dimentichi d’un tratto la sua storia politica. E infatti negli oltre sessant’anni della Repubblica le polemiche su questo tema non sono state poche, ma nessuno finora si era mai sognato di chiedere le dimissioni dell’accusato.
Il secondo: se le dimissioni le chiedessero loro, o tentassero di far votare la sfiducia alla Camera, la cosa avrebbe almeno un qualche fondamento giuridico, ma chiedere a Napolitano che imponga le dimissioni a Fini è un non senso costituzionale e logico talmente enorme che viene naturale pensare che venga proposto soltanto per tendere una trappola all’obbligata risposta negativa del Presidente della Repubblica.
Il terzo: anche in questa azione appare evidente l’insofferenza che Berlusconi e Bossi – guarda caso i più convinti sostenitori della legge porcata che permette loro di essere designatori e “proprietari” degli eletti – hanno per il Parlamento, soprattutto quando non sono più sicuri di poter contare su una maggioranza schiacciante. Perché è evidente che se è il Parlamento che ha eletto Fini, deve essere il Parlamento stesso a detronizzarlo.
Il quarto: il rischio maggiore per chi vuole che finalmente questa maggioranza cessi di spadroneggiare sull’Italia e di rovinarla è quello di pensare che si tratti di ignoranza di chi non sembra conoscere la Costituzione. In realtà, invece, loro la conoscono benissimo, ma la disprezzano profondamente perché profondamente disprezzano le regole, a meno che non possano chiamarle in loro soccorso.
E il disprezzo delle regole non è proprio soltanto di Berlusconi, ma di tutto il berlusconismo. Per rendersene conto, basta leggere cos’ha detto il presidente della giunta regionale del Friuli Venezia Giulia, Renzo Tondo, a Pordenone per supportare il suo vicepresidente Ciriani che vorrebbe importare nella Destra Tagliamento il “modello Marchionne” per attirare, con l’esca di minori diritti e salvaguardie per i lavoratori, altre industrie su questo territorio. Tondo ha detto: «Il patto è una parola superata; servono i fatti, quello che si fa».
Non servono molti commenti su cosa Tondo pensa degli accordi tra due parti, quando questi patti diventano fastidiosi per la parte sua. Serve invece impegnarsi per mandare questi signori a casa nel più breve tempo possibile.

lunedì 30 agosto 2010

Eppure ci stupiamo ancora

Che fossero 200, 300 o 500, che venissero pagate 50 o 70 euro a testa (a patto che non ne parlassero con i giornalisti), la sostanza non cambia. A Gheddafi in visita ufficiale a Roma, è stato messo a disposizione uno stuolo di ragazze avvenenti perché potesse parlare loro sostenendo che l’islam deve diventare la religione d’Europa.
Visto il Paese in cui stiamo vivendo e le persone che lo governano, nulla dovrebbe più stupirci, ma credo meriti mettere in luce alcuni punti che in una nazione normale porterebbe alla “squalifica” sia chi queste cose le fa, sia chi gliele permette di fare.
Non colpisce il silenzio di Berlusconi che con il leader libico ha in corso anche affari aziendali, oltre che vergognosi compromessi statali sui diritti umani.
Colpisce, invece, la posizione dei cristiani al governo, come il purissimo ciellino Lupi che sottolinea: «Gheddafi può dice ciò che vuole, il governo non è in imbarazzo». Che il Vaticano taccia è, invece, del tutto normale perché molto raramente reagisce a caldo, mentre immancabilmente fa sentire il suo credo e il suo peso non in “tempo reale”.
Diverte amaramente l’imbarazzo della Lega, che, preoccupata che la Libia si arrabbi e non imprigioni più coloro che vengono respinti da Maroni, preferisce tacere lasciando soltanto a quel pazzerellone di Borghezio di esprimere quello che vorrebbe dire contro gli islamici che da anni sono accusati da Bossi e dai suoi di invadere l’Europa.
Ma quello che mi colpisce di più è che ancora quella figura che occupa la sedia del presidente del Consiglio, continui a ricevere voti e sostegni da svariate categorie di cittadini italiani. I cattolici, per esempio, che il cardinale Bagnasco ha accusato di dirsi cristiani più a parole che nei fatti. Ma anche le donne che ancora una volta vengono considerate da Berlusconi soltanto oggetti da utilizzare per quello che serve sul momento: oggetti di piacere, da prendere in giro nelle barzellette, da esibire come proprietà, da cedere all’amico Gheddafi perché faccia bella figura anche lui; o, meglio, perché creda di farla.
Perché non sono stati mandati 200, 300 o 500 uomini? Non ritengo sia perché Berlusconi creda che i maschietti si sarebbero più facilmente ribellati, visto che è molto abituato ai servitori. Più probabilmente perché sono meno belli da vedere e lui voleva fare bella figura con l'amico che aveva fatto scoppiare in volo l'aereo passeggeri soprra Lockerbie? Comunque Berlusconi dimostra vergognosamente ancora una volta di considerare le donne una sottospecie in vendita. E sì, perché, tra l'altro, pare certo che Gheddafi non sapesse che le ragazze erano pagate per partecipare al suo comizio parareligioso. Ci resta anche la curiosità di sapere se Berlusconi abbia fatto pagare l’agenzia che le ha reclutate di tasca sua, oppure di tasca nostra.

giovedì 26 agosto 2010

Il prossimo o il più vicino?

Devo ammettere che l’uscita di Giorgio Vittadini leader di Comunione e Liberazione al meeting di Rimini, mi ha fatto l’effetto di un raggio di sole che spazza le nuvole di un cielo cupo. Dopo che Famiglia Cristiana ha accusato Berlusconi di voler comandare solo lui e di avere diviso i cattolici italiani, l’ineffabile Vittadini ha detto che la posizione di dura critica il settimanale cattolico «è vecchia, parziale. Parte da una visione moralistica invece che dalla proposta di valorizzare il desiderio più vero delle persone. Se si riduce il desiderio ai propri schemi moralistici, non si pone nessuna radice per il cambiamento».
Davanti a una frase così, posso tirare un sospiro di sollievo perché il moralismo è scomparso dall’orizzonte cattolico, ma devo anche aggrottare la fronte perché, pur bazzicando da molto più tempo di quanto mi piaccia confessare in ambienti cattolici o paracattolici, mi rendo conto che della Chiesa e del Vangelo non ho capito proprio nulla perché proprio la Chiesa – almeno quella di Vittadini – non è moralista e, anzi, sprona le persone a valorizzare i loro desideri più veri perché questa è l’unica strada per arrivare al cambiamento.
Io – lo confesso – avevo capito tutt’altro. Avevo percepito, evidentemente in maniera falsa, che la morale fosse un caposaldo irrinunciabile di ogni buon cattolico e che fosse proprio la rigidità della Chiesa nell’applicazione di questa morale almeno in alcuni punti della vita civile - anche se la medesima rigidità non si applicava molto ad altri - ad avere dato le maggiori dimostrazioni di moralismo. Mi ero sentito dire che la mortificazione dei propri desideri in funzione della morale e comunque di disegni superiori era un pregio e non un difetto. Avevo creduto che fossero persone serie tutti coloro – alti prelati e Papi compresi – che da sempre parlano della conservazione come un valore che soltanto in rari casi può cedere il passo al riformismo.
Ora i casi sono due: o Vittadini e io parliamo di realtà del tutto diverse, oppure mi attendo di vedere mutamenti imminenti e stravolgenti nel comportamento della Chiesa e della stessa Comunione e Liberazione.
Ma c’è anche una terza ipotesi: che Vittadini – come il Berlusconi che tanto ammira – usi la religione per fare politica. Anzi, che usi un simulacro della religione per darsi una giustificazione di stare dalla parte politica che maggiormente se trascura il sociale e chi sta peggio e che è alleata e sostenuta dalla Lega che, con il suo razzismo, è la vera negazione dell’evangelico amore per il prossimo. A meno che per “prossimo” non si intenda soltanto “il più vicino”

domenica 22 agosto 2010

La cultura del ragionare

In questa estate che sta ponendo le basi per il fallimento politico, dopo che si è abbondantemente consumato quello programmatico, di Berlusconi, mi sembra il caso di guardare a cosa sta succedendo nel Friuli Venezia Giulia, dove nella maggioranza tutti fanno a gara per far finta che a livello nazionale non stia succedendo nulla.
Lasciamo pur perdere quelli dell'Udc che già da qualche anno avrebbero potuto recepire quello che dice il loro punto di riferimento primario, quel Casini che continua a ripetere che ogni alleanza con Berlusconi e i suoi è del tutto impossibile, se non per tempo breve e determinato al fine di dare vita a un governo di solidarietà nazionale che risolva un paio di problemi - tra cui quello di cambiare una legge elettorale schifosa e antidemocratica - prima di rimandare gli italiani alle urne. Ma d'altro canto anche i leghisti («Mai con Casini», dice Bossi) fanno lo stesso.
Ma sono i berlusconiani e i finiani a rappresentare davvero il massimo della capacità di far finta di niente per il timore di perdere potere e poltrone. E, per tentare di stornare l'attenzione dai loro problemi, tentano di creare nuove polemiche con la solita impudenza.
L'ultima è davvero rimarchevole: a tutti i livelli stanno attaccando il comune di Udine perché, a loro dire, sta «realizzando una cultura tutta politicizzata». Questa parte politica, che in realtà è davvero una fazione, anche se accusa di faziosità gli altri, è davvero assolutamente impermeabile al senso del ridicolo.
Pensate soltanto al Mittelfest che dal centrodestra è stato affidato alla sciagurata presidenza Devetag. Il risultato economico è che si è passati da un sensibile avanzo di bilancio a un profondo disavanzo. Quello artistico parla di una catastrofe qualitativa e quantitativa. Quello partecipativo mette in evidenza sbigliettamenti terribilmente bassi.
Ma forse quello che mette maggiormente in luce la faziosità della fazione berlusconiana e leghista di questa regione, va ricercata proprio nelle scelte cultural-politiche che non sono state certamente al di sopra delle parti: l'anno scorso uno degli incontri è stato dato direttamente in gestione agli uomini di Gladio che hanno reclamato a gran voce riconoscimenti e onori dallo Stato, ma che si sono ben guardati dal ricordare che l'esplosivo che ha dilaniato i carabinieri a Peteano era uscito proprio da un loro nascondiglio di armi. Come sempre se ne è dimenticato Cossiga.
Ora, per dimostrare di essere sopra le parti, tracciano già trionfanti bilanci per “Bianco e nero”, una manifestazione che deve ancora cominciare e che, presentando due mostre di fotografie e una di disegni, ha ottenuto ufficialmente 400 mila euro di contributi. A stanziare questi soldi - e forse anche altri - sono gli stessi che li hanno tolti a quegli attori e artisti regionali che la destra accusa il centrosinistra di non utilizzare.
Bene ha fatto il sindaco Honsell a rispondere a tono alle accuse. L'unica cosa che non mi trova d'accordo con lui è quando dice: «Alle sterili polemiche preferiamo la cultura del fare». Questa è una frase molto cara a Berlusconi e ai suoi. Io continuo a preferire la cultura del ragionare.

venerdì 9 luglio 2010

Il peso delle parole

Nei giorni del G8 di Genova eravamo rimasti sconvolti dalla violenza usata da polizia e carabinieri nei confronti dei manifestanti - soprattutto contro quelli pacifici - e da quello che aveva detto l’allora ministro dell’Interno, Scajola, dopo le prime accuse di brutalità gratuita e di manomissione delle prove a carico delle forze dell’ordine. «Di fronte alla violenza – cito tra virgolette – lo Stato non ha colpe, deve tutelare l’ordine pubblico. Se qualche singolo, tra le forze dell’ordine, ha abusato del suo potere per commettere queste violenze, questa non è responsabilità dello Stato». Mentre l’articolo 28 della Costituzione recita: «I funzionari e i dipendenti dello Stato sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti. In tali casi la responsabilità civile si estende allo Stato e agli enti pubblici».
Adesso, nell’arco di un paio di giorni, abbiamo visto manganellare, nell’ordine: i terremotati dell’Aquila che protestavano perché la ricostruzione non è neppure cominciata mentre si chiedevano loro le tasse arretrate; alcuni disabili che manifestavano contro la manovra che taglierà molti degli aiuti statali ai portatori di handicap; gli operai di un’azienda milanese che erano in pacifico corteo per protestare perché stanno restando senza lavoro e non vedono nessuno che cerchi concretamente di alleviare la drammatica situazione loro e di altri milioni di italiani.
Tutto questo mentre Berlusconi e Tremonti fanno una riunione privata, decidono tra loro di blindare la legge finanziaria che sempre loro due avevano preparato e se ne escono annunciando che la fiducia sarà chiesta sia alla Camera, sia al Senato. Poi Berlusconi, con la sua solita improntitudine nel travisare il significato delle parole e dei fatti, dice anche che «la fiducia è una prova di coraggio» perché se non passa «si va tutti a casa», sapendo benissimo che i parlamentari della maggioranza – ormai designati da lui e da Bossi e non più eletti direttamente dagli elettori – non possono palesemente seguire la loro coscienza, ma devono votare secondo gli ordini ricevuti.
Io ho grande rispetto delle parole e dei fatti e, quindi, a questo punto non so se si possa già parlare a tutto titolo di dittatura, ma sono assolutamente certo che non si può più parlare di democrazia.

martedì 29 giugno 2010

Dracula e i donatori di sangue

Al peggio davvero non c'è mai fine. La giunta di questa regione - a voler essere delicatissimi - non ha mai entusiasmato, ma adesso le prospettive sono da horror. Dare l'assessorato alla Cultura alla Lega, infatti, è come assegnare a Dracula la presidenza dell'Associazione dei donatori di sangue.
Si dirà che dall'altra parte il passaggio del Welfare a Molinaro può far tirare un sospiro di sollievo. È vero, ma soltanto in piccola parte perché la titolarità di un assessorato può voler dire qualcosa, ma l'influenza di questa Lega che si sente dominatrice e l'asservimento del Pdl significa molto di più. E tutti sappiamo bene che il partito di Bossi, nella sua anticostituzionalità diffusa, si fonda su pochi, ma ben precisi caposaldi: soprattutto sull'aterofobia - se proprio non vogliamo chiamarlo razzismo - e sul profondo disprezzo per la cultura nella speranza di riuscire a proporre un simulacro di cartapesta alternativo dedicato specialmente a leggende, riti bislacchi e falsità.
Inoltre, se il passaggio del Welfare a Molinaro e all'Udc (persone e partito che non si capisce bene cosa ci stiano a fare in questa maggioranza) può far sperare in qualcosa di meno schifoso nel breve periodo, nel lungo la distruzione della cultura non potrà che portare acqua alle parti che amano le divisioni, i localismi, il disprezzo e l’odio per chi è sentito diverso.
Ma vi sembra davvero che si possa assistere in silenzio a questa progressiva distruzione  di tutto quanto è stato costruito con fatica in più di mezzo secolo? È davvero inevitabile che le lancette dell'orologio del tempo debbano fare un balzo indietro di questa portata mentre intorno regna la rassegnazione? Vi pare davvero possibile che la colpa sia sempre di qualcun altro e non anche nostra, proprio di ognuno di noi?
Scriviamo, parliamo riuniamoci. A nessuno sarà lecito dire: io non sapevo.

venerdì 25 giugno 2010

La classifica della vergogna

Siamo ultimi. Ed è davvero una vergogna. Ma cosa avete capito? Non sto parlando di calcio. L’eliminazione degli azzurri mi ha provocato un po’ di delusione temperata dalla coscienza che nello sport talvolta si vince, talvolta si perde e che quasi sempre il verdetto è quello giusto. Quello che mi fa davvero vergognare è la vicenda Brancher che fa precipitare l’Italia veramente all’ultimo posto del mondo in quanto a decenza istituzionale, politica e sociale.
Istituzionale perché degrada le istituzioni a servizi per gli interessi personali propri e degli amici; politica perché distrugge sempre di più l’immagine di coloro che dovrebbero cercar di fare il bene dei cittadini; sociale perché sbriciola ulteriormente la coesione di una società in cui si affrontano fazioni sempre più divise su quei temi etici che tanto erano cari a Bobbio e che ora per molti sono soltanto dei fastidiosi impicci.
Riassumiamo. Un signore, Aldo Brancher, caro amico del presidente del Consiglio, viene nominato ministro in un dicastero creato appositamente per lui, di cui non è certo neppure il nome – per non dire delle competenze – unicamente per dargli la possibilità di usufruire del cosiddetto “legittimo impedimento” al fine di evitare di presenziare alle udienze del processo in cui è imputato per appropriazione indebita nella scalata Bpi all’Antonveneta. E il “legittimo impedimento”, immediatamente richiesto, consisterebbe nel fatto che deve sistemare le cose e gli affari del suo nuovo ufficio.
Almeno Lippi, dopo la disfatta della nazionale di calcio ha detto che si assume tutte le responsabilità. Berlusconi, ideatore e firmatario di questa vergogna, sicuramente direbbe che la responsabilità è di quei comunisti che non ci sono proprio più, ma di cui ci sta facendo venire davvero una struggente nostalgia.

giovedì 17 giugno 2010

Lavoro per diritti

Possiamo pensarci su quanto vogliamo, ma i fatti sono semplici: la Fiat dice: o voi italiani vi adattate ai ritmi, alle regole e agli stipendi dei polacchi, oppure Pomigliano d’Arco chiuderà. E dico voi italiani e parlo anche di stipendio perché è ovvio che se la linea di tagliare i diritti civili agli operai di Pomigliano passerà, tra non molto gli stessi tagli se li vedranno proporre anche tutti gli altri operai italiani; e perché anche il costo tra non molto entrerà in ballo.
Non accuso la Fiat, anche se fin quando c’era da attingere indirettamente alle casse dello Stato tramite gli incentivi alla rottamazione, si è ben guardata dal fare la faccia cattiva. Accuso l’intera Italia – tutti noi compresi – perché ha lasciato prosperare questa mentalità mostruosa in cui l’unico parametro sul quale si fa base per il ragionamento è il guadagno; e neppure un guadagno a lungo termine, ma quello immediato che decide i destini degli amministratori delegati.
Ma, se davvero abbiamo superato il concetto dello schiavismo, come si può pensare di cedere diritti in cambio di lavoro? Ma, visto che ci riempiamo la bocca con la parola Europa, ci rendiamo conto che la Fiat innesta una lotta tra poveri perché contemporaneamente ricatta (mi spiace, ma non c’è altra parola più adatta) gli operai italiani e, se il ricatto andrà a buon fine, probabilmente affamerà gli operai polacchi che finora ha ritenuto utile sfruttare e che ora sta meditando di abbandonare? Ma se era prevedibile la reazione dei vertici della Confindustria, come si fa a non inorridire davanti a due sindacati come Cisl e Uil che abdicano al loro compito di difendere i lavoratori per difendere soltanto il loro stipendio?
E scarsa soddisfazione sarà pensare che saranno le stesse regole del mercato a distruggere i disegni degli affamatori di uomini perché nel mercato circoleranno sempre meno quei soldi che sono indispensabili per sostenere il consumismo che è l’anima del mercato stesso. Scarsa soddisfazione anche perché il crollo della struttura industriale del Paese sta trascinando ineluttabilmente con sé le classi più deboli. Sempre nella più totale indifferenza di chi ci governa e che crede di essere personalmente al riparo da questi rischi.

domenica 13 giugno 2010

Libertà e diritti

Devo ammettere che sempre più credo di essere diventato un vecchio sospettoso. E la cosa non mi fa per niente piacere. Per cui quando sento Tremonti dire ai giovani industriali che bisogna dare contorni reali alla libertà d’impresa, faccio forza sulle mie reazioni istintive e mi dico che un aumento di libertà non può essere assolutamente un male: chi può essere contrario alla libertà?
Poi ascolto ancora e sento il ministro dire che «l’idea è semplice. Si tratta di aggiungere all’articolo 41 della Costituzione il principio del riconoscimento della responsabilità alla persona. Poi la segnalazione di inizio attività, l’autocertificazione, l’idea dei controlli ex post e infine il riconoscimento della buona fede». Questi passi devono essere affrontati subito, «attraverso una legge ordinaria» e poi «blindati con legge costituzionale».
Torno a leggermi l’evidentemente lacunoso articolo 41 che recita: «L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali».
Ma cosa c’entra «il principio del riconoscimento della responsabilità alla persona»? Chissà. Ma io non sono un costituzionalista e, quindi, devo credere al ministro se dice che questo migliorerà tutto senza disequilibrare un articolo che sembra un mirabile esempio di architettura costituzionale, capace di tutelare i diritti di tutte le parti.
Quasi mi convinco, ma ascolto ancora e sento sempre lo stesso ministro, sempre lo stesso Tremonti, dire: «La via giusta è quella di Pomigliano d’Arco». E qui non serve sapere di Costituzione; basta aver ascoltato Marchionne, amministratore delegato della Fiat che «lapidario nella sua chiarezza», così lo ha definito Bombassei, ha dato regole precise per orari, ritmi, limitazioni ferree alle discussioni, alle proteste, agli scioperi e poi ha concluso che i sindacati possono discutere, ma che, o accettano le su proposte, o Pomigliano chiude e la Fiat va a produrre la Panda in qualche altro Paese in cui il costo del lavoro è minore. La Cgil lo definisce un ricatto e linguisticamente non vedo proprio come si potrebbe chiamarlo diversamente.
E allora, da vecchio sospettoso, mi viene davvero il dubbio che l’aumento di libertà d’impresa visto da Berlusconi e dal suo ministro più potente corrisponda a una diminuzione di diritti per i lavoratori.
A sostegno della mia evidente parzialità, vorrei citare due grandi personaggi. Il socialista Filippo Turati (per Berlusconi probabilmente sarà uno stalinista, ma vi assicuro che era un socialista) disse che «le libertà sono tutte solidali. Non se ne offende una senza offenderle tutte». Il filosofo tedesco Immanuel Kant scrisse in Per la pace perpetua: «La violazione dei diritti avvenuta in un punto della terra è avvertita in tutti i punti». Libertà e diritti, appunto.

venerdì 11 giugno 2010

Ci si deve mettere la faccia

Giornate orrende, queste, per il nostro Paese. L'ennesima fiducia usata per approvare al Senato la legge sulle intercettazioni lascia capire che tra circa un mese lo stesso sistema sarà adottato alla Camera e che noi in quel momento avremo perso una bella fetta di libertà e di democrazia.
Dico "noi" non riferendomi alla mia categoria secondaria, quella dei giornalisti, ma a quella primaria, quella dei cittadini. Perchè saranno tutti a soffrirne. Tutti tranne, ovviamente, coloro che pensano che prima o poi avranno o già hanno qualcosa da nascondere e hanno la possibilità di imporre a tutti l'ignoranza.
Perché questa legge prima ancora di colpire la libertà di stampa, colpisce la lotta al crimine, blocca i movimenti investigativi delle forze dell'ordine e dei magistrati. Poi, dopo questo, colpisce la stampa impedendo di far sapere quel poco che resterà da sapere. E così riesce anche a mutilare la democrazia perché chi non sa non può decidere.
Potrei scrivere pagine e pagine su queste cose, ma la cosa più importante da dire è che nulla cambierà se tutti noi non ci impegneremo in prima persona, nelle rispettive competenze, ma anche nelle chiacchiere di ogni giorno perché questo obbrobrio venga cancellato al più presto.
Mugugnare non basta più. Bisogna parlare e urlare, se serve. Bisogna arrabbiarsi davvero. Ho sempre odiato il concetto di clandestinità. Disapprovare in silenzio oggi non sarebbe alto che clandestinità. Questo è uno di quei momenti in cui non si può delegare nulla a nessuno, né a partiti, né a sindacati, né a nesun'altra organizzazione. Tutti devono metterci propria la faccia.

giovedì 10 giugno 2010

A casa non basta

In questi ultimi tempi ho scritto poco su questo blog, anche perché mi rodeva dentro la frequente critica che per cambiare la situazione non bisogna attaccare Berlusconi, ma proporre qualcosa di meglio e di credibile. Ho sbagliato. E la prova la si è avuta più chiaramente di sempre nel suo show alla Confartigianato, quando ha attaccato la Costituzione in maniera ancora più violenta ed esplicita del solito chiedendo da cancellarla in toto e di riscriverne un'altra; con la medesima irresponsabile facilità con cui si potrebbe scrivere un compitino dal titolo "i miei desideri personali".
Capisco bene che per uno che ha giurato più volte il falso sulla testa dei suoi figli, giurare il falso sulla Costituzione deve apparire meno che niente, ma così non può essere per noi. Bersani ha perfettamente ragione quando dice: «Su quelle pagine ha giurato, quindi se non gli piacciano se ne vada a casa». Perché,  anche se alcuni preferiscono non ricordarlo, una repubblica è la casa di tutti i suoi cittadini e non soltanto di chi temporaneamente è designato a governarla.
E poi se, con questo "inferno" di regole, tutti coloro che l'hanno preceduto sono riusciti a portare l'Italia dalla disastrosa situazione del dopoguerra a quella posizione di preminenza di cui lui tanto si vanta, allora probabilmente sarebbe il caso che Berlusconi, se non riesce a governare, più che andare a casa, debba andare a nascondersi. Anche se mai sarà possibile dimenticare i disastri etici e materiali che ha firmato.
Non credo che per tornare a sentire di vivere in una democrazia si debba necessariamente trovare da presentare qualcosa di meglio di Berlusconi. La vera impresa sarebbe riuscire a trovare qualcosa di peggio.

lunedì 31 maggio 2010

Bavagli e manette

Per primo ne parla il procuratore antimafia Piero Grasso;  un approfondimento arriva da Walter Veltroni; la conferma, definitiva e ufficiale, la firma Carlo Azeglio Ciampi, allora presidente del Consiglio e poi presidente della Repubblica: la strage di 5 persone del maggio 1993 all’Accademia dei Georgofili di Firenze e le bombe che esplosero quasi contemporaneamente a San Giorgio in Velabro e a San Giovanni in Laterano a Roma causando altri 22 feriti, furono sicuramente eseguite dalla mafia, ma videro coinvolti anche pezzi deviati dello Stato che ne disegnarono la regia.
Al di là del relativo sconcerto davanti alla conferma di connivenze tra malavita e parti deviate di istituzioni, relativo perché da sempre se ne sussurrava, ma mai lo si era detto chiaro e forte, e al di là del disagio causato dal rendersi conto che ci sono voluti 17 anni perché queste verità fossero portate a galla da persone, pur degne, che sapevano e che avrebbero dovuto parlare prima, la cosa che più lascia senza fiato è che anche questi fatti continueranno a restare avvolti dal mistero e non perché non si riuscirà a dipanare la matassa di complicità e di connivenze, ma perché non si lascerà neppure cominciare l’opera di chiarificazione.
Il Pd domanda che si vada fino in fondo alla questione, i Verdi presentano una denuncia alla Procura di Roma. E il Pdl che fa? Per bocca dell’ineffabile Fabrizio Ciccitto, dice un no netto perché, afferma, è una «caccia alle streghe» e un tentativo di «ricreare nel Paese un clima giustizialista».
Ma cercare la verità su fatti terribili che non sono opinione, ma realtà è una caccia alle streghe? Tentare di capire chi ha davvero gestito la strategia della tensione e chi ha stretto patti con Cosa Nostra è essere giustizialisti? Cercare assassini e mandanti non è una cosa che ogni Stato, anche non tanto libero e non tanto democratico, dovrebbe fare sempre?
Questa è davvero la prova che in realtà la legge contro le intercettazioni non disdegna di mettere il bavaglio alla stampa, ma che il suo scopo principale è quello di mettere le manette alla magistratura.

venerdì 14 maggio 2010

Felicemente isolato

In un momento di dilagante sfiducia è davvero gratificante trovare almeno alcuni motivi per essere contenti e oggi per questa personale rasserenazione devo ringraziare direttamente Renzo Tondo e Silvio Berlusconi.
Il primo, intervenendo nella polemica legata ai manifesti sponsorizzati dal Comune di Udine per la giornata mondiale contro l’omofobia, dice che Honsell ha isolato politicamente il capoluogo del Friuli. Neppure gli passa per la testa che l’isolamento in un mare di amministrazioni targate Pdl e Lega possa essere una bella cosa, apprezzata da un buon numero di cittadine e cittadini. Anzi, probabilmente dalla maggioranza degli udinesi, visto che sono stati loro a eleggere Honsell.
Neppure è assalito dal sospetto che parlare di isolamento di questo comune è una specie di autoaccusa perché lascia capire che la Regione da lui presieduta si comporta diversamente – probabilmente anche a livello di contributi – quando deve trattare con le amministrazioni di centro-destra rispetto a quando deve farlo con quelle di centro-sinistra.
Il secondo motivo di gioia è dato dalla frase di Berlusconi che, parlando degli ultimi scandali legati al costruttore Anemone, ha detto: «Licenzierò chi ha sbagliato». Non dice «indurrò alle dimissioni», o «espellerò dal partito», o «additerò anch’io al pubblico ludibrio». No! Dice proprio «Licenzierò», confermando così che ministri, sottosegretari, senatori, deputati, eletti e designati vari (anzi, nella maggior parte dei casi queste ultime due categorie coincidono) in tutte le amministrazioni sparse per la penisola sotto il simbolo del Pdl, lui li ritiene null’altro che dipendenti.
Grazie, dunque, a Tondo e a Berlusconi: mi hanno fatto rendere conto di quanto sia felice di essere isolato.

martedì 11 maggio 2010

Quando la cultura dà fastidio

Devo ammettere che mi stupisco per come riescano a stupirmi ancora le immancabili prese di posizione di esponenti del centro-destra e della Lega contro le manifestazioni culturali, che quasi sempre hanno successo anche perché permettono a molta gente di evadere da quella prigione televisiva di squallore urlato ed esibito che è stato realizzato dapprima da Mediaset e che poi ha ampiamente contagiato e corrotto anche le reti Rai.
A leggere le dichiarazioni di Massimo Blasoni (Pdl) e di Pietro Fontanini (Lega) contro vicino/lontano cadono le braccia. Non tanto per la loro pochezza, ma per la tristezza che l’Italia sia scesa tanto in basso da poter eleggere personaggi simili: «Si è rivelata più una kermesse politica che una manifestazione culturale». È stato «l’ennesimo palcoscenico attraverso cui fare politica mascherata da cultura». «Non ci può essere alcun dibattito quando le prese di posizione degli invitati sono a senso unico». «Sempre gli stessi ospiti, tutti schierati e lontanissimi dal sentire della gente comune». Sono queste alcune frasi pronunciate dai due brillanti esponenti della destra.
Allora, per prima cosa, è evidente che in loro manca totalmente la coscienza che tutto nella vita è fare politica e, quindi, anche il fare cultura è fare politica. Loro sono convinti che fare politica sia soltanto esercitare – e auspicabilmente senza essere disturbati – il potere che viene dato dai voti e che, quindi, il fare politica sia riservato soltanto a chi ha vinto. Non sono neppure sfiorati dal sospetto che la base della democrazia consista nel fatto che non sempre la maggioranza – qualunque maggioranza sia – è contemporaneamente anche nel giusto.
Ove queste due categorie coincidessero sempre, non ci sarebbe più motivo per andare alle urne e, infatti, tutte le dittature hanno sempre messo in pratica questa inevitabile conseguenza alla loro convinzione di essere sempre dalla parte del giusto.
Molto interessante, poi, è il concetto del dibattito che, evidentemente deve essere quello al quale ci hanno abituato i talk show: un urlio continuo e sgangherato in cui vince non chi ha più idee, ma chi ha più voce. Il dibattito vero a loro fa orrore e lo evitano scientemente salvo poi lamentarsi perché non ci partecipano.
Basterebbe pensare a come hanno ridotto il povero e glorioso Mittelfest da quando se ne sono impadroniti. Un esempio per tutti: l’incontro dedicato a Gladio in cui gli ineffabili gladiatori hanno potuto atteggiarsi a eroi salvatori della patria e nel quale nessuno ha potuto ricordare che è stato appurato senza dubbio alcuno che è stato da uno dei loro nascondigli di armi – quello di Aurisina - che è uscito l’esplosivo che ha dilaniato i carabinieri a Peteano.
Padoa Schioppa, riferendosi a vicino/lontano, ha detto: «Manifestazioni come questa sono la risposta più bella all’indifferenza; sono un seme di cittadinanza fecondo». E prima o dopo, anche se a Blasoni e a Fontanini darà molto fastidio, quel seme finirà per dare frutti non solo di cittadinanza, ma anche e soprattutto di umanità nei confronti dei più deboli e di chi non è esattamente come noi.