Devo ammettere che sempre più credo di essere diventato un vecchio sospettoso. E la cosa non mi fa per niente piacere. Per cui quando sento Tremonti dire ai giovani industriali che bisogna dare contorni reali alla libertà d’impresa, faccio forza sulle mie reazioni istintive e mi dico che un aumento di libertà non può essere assolutamente un male: chi può essere contrario alla libertà?
Poi ascolto ancora e sento il ministro dire che «l’idea è semplice. Si tratta di aggiungere all’articolo 41 della Costituzione il principio del riconoscimento della responsabilità alla persona. Poi la segnalazione di inizio attività, l’autocertificazione, l’idea dei controlli ex post e infine il riconoscimento della buona fede». Questi passi devono essere affrontati subito, «attraverso una legge ordinaria» e poi «blindati con legge costituzionale».
Torno a leggermi l’evidentemente lacunoso articolo 41 che recita: «L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali».
Ma cosa c’entra «il principio del riconoscimento della responsabilità alla persona»? Chissà. Ma io non sono un costituzionalista e, quindi, devo credere al ministro se dice che questo migliorerà tutto senza disequilibrare un articolo che sembra un mirabile esempio di architettura costituzionale, capace di tutelare i diritti di tutte le parti.
Quasi mi convinco, ma ascolto ancora e sento sempre lo stesso ministro, sempre lo stesso Tremonti, dire: «La via giusta è quella di Pomigliano d’Arco». E qui non serve sapere di Costituzione; basta aver ascoltato Marchionne, amministratore delegato della Fiat che «lapidario nella sua chiarezza», così lo ha definito Bombassei, ha dato regole precise per orari, ritmi, limitazioni ferree alle discussioni, alle proteste, agli scioperi e poi ha concluso che i sindacati possono discutere, ma che, o accettano le su proposte, o Pomigliano chiude e la Fiat va a produrre la Panda in qualche altro Paese in cui il costo del lavoro è minore. La Cgil lo definisce un ricatto e linguisticamente non vedo proprio come si potrebbe chiamarlo diversamente.
E allora, da vecchio sospettoso, mi viene davvero il dubbio che l’aumento di libertà d’impresa visto da Berlusconi e dal suo ministro più potente corrisponda a una diminuzione di diritti per i lavoratori.
A sostegno della mia evidente parzialità, vorrei citare due grandi personaggi. Il socialista Filippo Turati (per Berlusconi probabilmente sarà uno stalinista, ma vi assicuro che era un socialista) disse che «le libertà sono tutte solidali. Non se ne offende una senza offenderle tutte». Il filosofo tedesco Immanuel Kant scrisse in Per la pace perpetua: «La violazione dei diritti avvenuta in un punto della terra è avvertita in tutti i punti». Libertà e diritti, appunto.
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