Forse la cosa più incredibile di questo mondo, almeno nei Paesi cosiddetti democratici, è vedere la quantità di persone povere, di quelle che non arrivano a fine mese, o che vi arrivano con difficoltà, di quelle che sentono ancora vivi in sé i concetti e i valori di uguaglianza e di solidarietà – e, tutte insieme, avrebbero sicuramente una stragrande maggioranza – abbiano lasciato che il denaro diventasse l’unico vero dio davanti al quale tutto – loro compresi – bisogna sacrificare.
L’esempio della proposta dell’unificazione delle due Università esistenti nel Friuli Venezia Giulia va esattamente in questo senso: non è tenuto in nessuna considerazione il fatto che, soprattutto in cultura, la molteplicità di apporti corrisponde a un aumento esponenziale di ricchezza intellettuale, né che intere generazioni abbiano lottato per dare anche al Friuli un centro di irradiazione culturale legato al territorio e alle sue tradizioni. E neppure il proponente si sente in crisi perché da una parte, sia pure da alleato, sostiene il federalismo e dall’altra il centralismo.
Il fatto è che della cultura interessa ben poco alla classe politica che oggi ha in mano il potere; se, poi, non le dà addirittura fastidio. Il fatto è che la voglia di accorpamento universitario va esattamente nella stessa direzione della riforma Gelmini per la scuola: tagli di finanziamenti che corrispondono anche a tagli di qualità. E se poi scomparirà la capacità della nostra nazione di reggere il passo di altri che sulla cultura e sulla ricerca investono davvero, quelli saranno problemi di coloro che arriveranno al potere in futuro.
Ma ancora più incredibile è che nessuno insorga non soltanto quando si taglia il bene pubblico per non spendere troppo, ma che la pace regni sovrana quando anche la pubblica utilità viene distrutta nel nome del guadagno. Grida vendetta al cielo, infatti, il fatto che la sanità si vanti di aver chiuso i bilanci con utili di milioni di euro, mentre diminuiscono i posti letto per le degenze e mentre medici e infermieri continuano a lamentarsi di essere in cronico sottorganico.
Una volta si parlava di maggioranza silenziosa. Ora sarebbe meglio parlare di maggioranza sonnacchiosa. Per svegliarla occorrerebbe, se non una voce unica, almeno non quel brusio discordante di baruffe intestine a cui purtroppo in troppi si sono rassegnati.
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